Aridaje. Alessio Di Mauro non l’ha capito che il mondo è cambiato e si ostina a fare satira, genere letterario che le persone perbene rifuggono come la peste. È un pericoloso estremista della vignetta, Di Mauro, uno degli ultimi giapponesi incapaci di arrendersi all’evidenza. S’attarda nella jungla (o jungherianamente nel bosco, fate voi), a vergare sberleffi e a fare le pulci a chi, bontà sua, ci vorrebbe insegnare come si sta al mondo, sussurrandoci cosa pensare e come farlo. Che gli Dèi ce lo conservino sempre così, Alessio.
È uscito, ormai da alcune settimane, il suo nuovo libro che si chiama Politically Scorrect, edito da Pagine per i Libri de Il Borghese. È una raccolta dissacrante e ingrata nei confronti del tratto distintivo di quella borghesia minuscola che si crede gigantesca, di quel servidorame egemone nei ranghi alti di un Paese colonizzato, a cui già un gigante, come Giorgio Gaber, in quel monumento poetico, filosofico e musicale che è stato “Se Fossi Dio” (e che come tutti i monumenti oggi rischia di essere tirato giù da qualche psicolabile coi capelli verdi e le idee confuse) seppe dedicare versi immortali:
Infatti non è mica normale che un comune mortale
Per le cazzate tipo compassione e fame in India
C’ha tanto amore di riserva che neanche se lo sogna
Che viene da dire
“Ma dopo come fa a essere così carogna?”
Carogna, già. Come quelli che aprono le braccia all’immigrazione indiscriminata in nome dei diritti affinché quei poveri cristi possano zappare e cogliere, a basso costo e senza alcuna tutela, costretti a vivere nei tuguri e nelle bidonville, gli ortaggi biologici con cui farsi la cenetta che preserva il pianeta.
Carogna, si capisce. Come quelli che hanno sempre il ditino alzato, che predicano sacrifici con il cachemire nuovo di zecca.
Carogna, certo. Come è da sempre il genere del moralista con l’aggravante del paternalismo. Che avrà dato a vedere di aver cambiato valori, gerarchie e abiti, ma che resta sempre quello che è: un ottuso bigotto che vorrebbe un mondo appecoronato ai desiderata dei suoi danti causa. Desideroso di poche cose, già, ma esose: una cattedra, una bacchetta, magari un auto-da-fé su cui sacrificare chiunque non la pensi come lui. Coltivando, ovviamente, una seriosità bizzoca che è, quella sì, vomitevole e deplorevole. Una carogna, lo è sempre seriamente.
La carrellata di vignette che Di Mauro ha dato alle stampe è una gragnuola di pernacchie alla Carogna Globale e Globalizzata. Ce n’è per tutti. Chi scrive non sa quanto durerà ma se l’epica, sostituita con le sciocchezze galattiche alla Star Wars, è già morta e sepolta da tempo, presto toccherà anche alla satira, per dirla con Quintiliano, che quella peste di Di Mauro cita nella sua nota al libro, è l’unico genere letterario prettamente latino. Speriamo solo che non se ne accorga l’immarcescibile Franceschini o qualche consigliere comunale (tanto il livello è lo stesso) e la proponga come bene immateriale dell’Unesco, insieme alla pizza, ai muretti a secco, alle splendide cornici dei festivalucci Pro Loco d’estate, alle canottiere di cotone, alla frittata di cipolle e rutto libero. Magari ci faccia qualche murale alla Jorit.
Ottavio Cappellani ha curato la prefazione e, ve ne prego, leggetela (insieme alla nota dell’autore) con estrema attenzione. C’è più verità in qualche paginetta di satiri (e che satiri!) che nell’intera campagna elettorale.
Perciò se non l’avete fatto, compratevelo subito, il libro. Viviamo tempi bui, al posto dei roghi di volumi c’è la chiavetta dell’algoritmo a far sparire testi e generi letterari scomodi. Fate presto, prima che la satira – che vi fanno credere sia quella dei Simpsons o delle battutine sui costumi – scompaia definitivamente dalla faccia tronfia della Terra dei Migliori.