La Rivoluzione 4.0 è la quarta rivoluzione industriale, basata sull’automazione, che dovrebbe semplificare i processi produttivi. L’intelligenza artificiale favorisce la produzione attraverso robot e “macchine intelligenti” con conseguente aumento della produttività degli impianti, contrazione dei costi e miglioramento della qualità dei prodotti. Un progetto neocapitalista che migliorerebbe anche la vita dei lavoratori, secondo il World Economic Forum, che ogni inverno tiene a Davos, in Svizzera, incontri in cui vengono discusse ed elaborate le politiche mondiali in settori come l’economia, il clima, il lavoro. Partecipano politici, economisti, banchieri, e spesso proprio i loro progetti diventano le agende concertate di vari governi.
Ma raramente le indicazioni che provengono dagli incontri di Davos migliorano la vita dei popoli. Semmai adeguano alla vita quotidiana i progetti del turbocapitalismo. L’esito? Gran parte della ricchezza del mondo è nelle mani di qualche decina di ipercapitalisti liberal, “illuminati di sinistra” che aspirano alla globalizzazione sfrenata per cancellare le identità dei popoli, le tradizioni, la storia e soprattutto la cultura (processo divenuto più rapido con la “woke culture” e la “cancel culture”).
L’integrazione fra lavoratori e robot, progetto allo studio da anni e base della Rivoluzione 4.0, ha lo scopo di sostituire la manodopera, accorciare i tempi raggiungere una produzione standardizzata secondo i dettami della globalizzazione. Per i liberal il passaggio al 4.0 è una fase di progresso; per i conservatori, i rischi sono molti (la visione materialista e la mercificazione del lavoro, fra gli altri). Il passaggio deve essere sottoposto a un ripensamento dell’organizzazione sociale, dei modelli produttivi, a una revisione del sistema-lavoro all’interno delle aziende per dare un ruolo centrale non alle macchine ma all’uomo, al lavoro, alla creatività e alla produzione concertata con il sistema-Paese. Mario Bozzi Sentieri, giornalista, economista ed esperto di tematiche sociali, componente del comitato redazionale dell’Istituto Stato e Partecipazione (Ispa), fa il punto in un importante libro da poco in distribuzione (La Rivoluzione 4.0. Roma vs Davos. Tra lavoro e partecipazione, edito da Eclettica, e prefato da Alessandro Amorese e Francesco Carlesi. Il libro nasce da varie riflessioni di Bozzi Sentieri apparse in passato anche su Barbadillo. L’autore chiarisce molti passaggi e offre analisi e spunti acuti su questa trasformazione in un periodo difficile come l’attuale, segnato da crisi sociale, economica, culturale. Il ricorso alle “macchine intelligenti” comporta un rischio evidente: l’automazione sostituisce i lavoratori in ampi settori e, in generale, riduce i posti di lavoro. E’ quindi importante identificare nuovi percorsi formativi e orientare gli investimenti. Ma non basta: bisogna mantenere una visione spirituale e valori culturali. L’autore indica il contrasto fra il transumanesimo (definizione del lavoro e della produzione automatizzata nella “società aperta” e neocapitalista) che supporta la Rivoluzione 4.0 e l’Umanesimo del lavoro (evidente il richiamo al filosofo Giovanni Gentile e alla filosofia della partecipazione) per cui è indispensabile “ritrovare l’Uomo-Lavoratore, dandogli adeguati strumenti di intervento/controllo, a partire dalle aziende, significa ritrovarne la dignità e l’autonomia rispetto all’invasività del macchinismo”, auspicando anche l’”ingaggio cognitivo”, la possibilità cioè, per gli operai, di contribuire al miglioramento del processo produttivo con propri interventi. Bozzi Sentieri illustra la necessità della partecipazione del lavoratore agli utili dell’impresa e di far sistema superando il potere della tecnica e affermando un’etica superiore a tutela dell’uomo. Passaggi che dovrebbero essere effettuati in sintonia con un nuovo sindacalismo adeguato ai tempi di cui l’autore traccia i contorni. Un libro da non perdere.
* La Rivoluzione 4,0. Roma vs Davos. Tra lavoro e partecipazione, Mario Bozzi Sentieri, Eclettica ed., pagg. 237, euro 17,00; prefazione di Alessandro Amorese e Francesco Carlesi
Vita e lavoro sono diventate ‘carne da cannone’ nel 1914 e forse anche prima… Non erano merce? Anche se avevano molti menestrelli nazionalisti in tutta Europa…