E’ notizia di giorni fa: in Grecia è stata fondata da esponenti di destra una rivista intitolata “ To Manifesto”, titolo in italiano e con l’impostazione grafica uguale a quella del “manifesto” comunista. Gli avvocati del quotidiano italiano hanno fatto già partire la diffida con la quale chiedono l’interruzione delle pubblicazioni. Un “plagio della destra”, lo hanno definito. Che la grafica sia uguale è vero, che si tratti di un plagio del titolo è discutibile. Infatti, il “Manifesto” fu usato, per la prima volta, nell’aprile del 1944 dal pubblicista barese ed ex combattente Pietro Marengo che fondò, così, la prima rivista neofascista durante l’occupazione angloamericana. La rivista fu stampata ufficialmente, e regolarmente registrata, con il numero del 29 aprile 1945. Fu, di fatto, la prima rivista neofascista in Italia. Raggiunse presto una buona diffusione e visto il consenso, nel luglio 1946, subito dopo il referendum istituzionale e l’amnistia Togliatti, Marengo lanciò un movimento politico, il Partito Nazionale Fusionista, che aveva lo scopo di fondere tutti i gruppi e movimenti neofascisti presenti in Italia. I punti programmatici ricalcavano i temi della rivista: anticomunismo e antiliberalismo, posizioni nazionaliste, le terre irredente, una opzione neocorporativa. Presto ci furono adesioni da tutta Italia: in pochi mesi 34 delegazioni provinciali, 580 sezioni, specie in Puglia e Sicilia, ma con forti presenze anche a Milano, Firenze, Roma. Circa due anni dopo, per ragioni interne e per la persecuzione di Marengo, il Partito confluì nel Movimento Sociale Italiano.
Fra il 1943 e il 1946, a Bari si pubblicavano numerose riviste politiche: “La Rassegna”, fondata con amici da Aldo Moro, rivista accusata dal PCI di conservatorismo e neofascismo, la prima serie de “l’Avanti” del periodo successivo al fascismo diretta da Eugenio Laricchiuta, con collaboratori Saragat e Nenni. Era pubblicata nel capoluogo pugliese “Italia del Popolo”, giornale degli azionisti e anche il primo giornale comunista non clandestino: “Civiltà proletaria”, diretto da Michele Pellicani, con Di Vittorio fra i collaboratori. In questo clima si collocava “Il Manifesto” di Marengo. Inoltre c’era Radio Bari, che dopo essere stata lo strumento della propaganda fascista verso i Balcani, con trasmissioni in varie lingue, era divenuta la testata antifascista per antonomasia. Da non dimenticare che a Bari si tenne il congresso del CLN.
Altra storia quella del “Manifesto” comunista che oggi si sente plagiato: fu un mensile pubblicato a Bari dal 1969 al 1971 dall’editore De Donato (fondatori Lucio Magri e Rossana Rossanda) trasformato nel 1971 in quotidiano da Luigi Pintor, Valentino Parlato, Rossana Rossanda, Luciana Castellina. Il nome della testata, insomma, fu ripreso da quello della rivista neofascista. Fu un plagio?
Caro Manlio, il nome della nostra testata riprende “il manifesto del partito comunista” di Marx ed Engels, pubblicato il 21 febbraio 1848.
Come noto, la rivista nata nel 1969 era uno strumento di riflessione nato all’interno del Pci.
Successivamente, dopo la radiazione del gruppo fondatore, il 28 aprile 1971 diventò un “quotidiano comunista” in aperta critica – da sinistra – all’Unione sovietica e alle scelte politiche del partito che li aveva radiati.
Tutto quello che scrivi nulla c’entra né con le origini della nostra impresa editoriale né con la recente e incredibile vicenda del plagio greco.