Visto che la Formula 1 si è concessa un fine settimana di pausa, vale la pena riprendere la recente affermazione ferrarista di Spielberg, sede del Gran Premio d’Austria.
Sul circuito ufficialmente denominato “Red Bull Ring”, le monoposto di casa non sono state eccelse.
Tuttavia, è stata proprio la F1-75 a mostrarsi in tutta la propria forza; o meglio, il Gran Premio austriaco ne ha rimarcato tanto i vizi, quanto le virtù.
Le vetture di Maranello hanno dimostrato forza e costanza sul passo di gara, una grande capacità nell’utilizzo degli pneumatici (emerso già nella finale della Sprint di sabato, sulle mescole medie); nel contempo, è però arrivata l’ennesima rottura del motore, questa volta per Sainz: una rottura che il Team Principal Mattia Binotto ha già dichiarato essere simile a quella occorsa a Leclerc in Azerbaigian.
Le Rosse in Austria erano le vetture più veloci del lotto, hanno potuto modulare le tattiche e allungare gli stint; Leclerc poi si è concesso il lusso di sorpassare Verstappen, in pista, per ben tre volte, andando a vincere.
Eppure, oltre all’episodio di Sainz, non sono mancate ulteriori preoccupazioni, quasi non a non voler arrivare una gioia completa.
Il finale difficile
Non fosse abbastanza, le ultime tornate sono state rese maggiormente difficoltose da un problema che ha interessato il pedale dell’acceleratore del Leclerc; acceleratore che una volta lasciato non si riusciva a riportare allo zero per cento, neanche nelle curve meno veloci.
I piloti, al di là dei manettini, operano “analogicamente” spingendo con i piedi sui due pedali e azionando con le dita le palette del cambio, frizione che sono nella parte posteriore del volante; poi il proscenio se lo prendono l’idraulica, la meccanica e l’elettronica.
In Formula 1, ormai da diverse stagioni, la gestione e il controllo dell’accelerazione e della frenata avvengono elettronicamente: nello specifico, spingendo il pedale dell’acceleratore non si tira più il “vecchio” cavo che apre la farfalla ma quest’ultima operazione, una volta operato con il piede, è attuata con l’ausilio di un sensore.
Il rischio più grande, a quel punto, rimanendo sempre un 15-20% di acceleratore aperto, insieme alla perdita del controllo del mezzo, poteva essere una reazione a catena, cominciando dall’eccessivo surriscaldamento dell’impianto frenante: con tutta questa tecnologia, infatti, è impossibile giocare con la frizione “manuale” (tenendola totalmente schiacciata in curva, per poi rilasciarla gradualmente in uscita, così da limitare il problema dell’acceleratore, pur sacrificando il freno motore), cercando di ovviare a questo genere di inconvenienti, specialmente nelle curve più lente dove bisogna frenare molto forte, a maggior ragione se l’abbassamento di velocità non può essere completo ma nel contempo si deve evitare lo spegnimento del motore, dovendo tenere la macchina “su di giri” per poi tornare a spingere in uscita di curva.
Oggi, sulle vetture da corsa, l’elettronica opera affinché, arrivato il propulsore a certi regimi di rotazione, non si inseriscano delle marce più basse, così da evitare o limitare il fuori giri, effetto assolutamente nocivo.
Fatta questa premessa, si capisce perché negli ultimi, palpitanti giri, Leclerc avesse difficoltà ad inserire le marce basse e specialmente ad affrontare il tornantino Remus, leggendo la macchina una incompatibilità tra quella farfalla non completamente chiusa e la necessità di una marcia inferiore, nel caso specifico la seconda.
A rendere ancora più complesso il tutto, la necessità di impostare le curve e frenare molto in anticipo rispetto ad una situazione di normalità.
La vittoria del monegasco insomma, la prima dai tempi di Melbourne, può dirsi impreziosita da quest’ultima variabile.
In Ferrari però c’è ancora molto lavoro da fare, in particolare alla voce affidabilità; la quale, a metà campionato, si sta dimostrando sempre di più come una delle principali protagoniste.