Fu Quentin Tarantino il primo a lanciare il sasso, sottolineando come il cinema italiano abbia prodotto ottimi film fra gli anni Cinquanta ed Ottanta, per poi andare in declino.
I film cui faceva riferimento il regista di Pulp Fiction sono gli spaghetti western, ma anche il filone poliziesco e dell’orrore firmato da nomi quali Corbucci, Lenzi, Deodato, Argento, Bava (Mario e Lamberto). Pellicole per le quali Tarantino ed i colleghi Eli Roth e Robert Rodriguez hanno una vera venerazione, ma meno note e meno apprezzate nel Bel Paese.
Già, perché da noi sono sono state a lungo bollate di serie B o destinate all’oblio poiché figlie di un’epoca ormai tramontata.
Anche i film di Sergio Leone (considerati dalla critica internazionale veri e propri capolavori) sembrano non ispirare le nuove leve del cinema nostrano, più orientate a commedie superficiali e strappalacrime, ai temi del sociale, alla delicata questione della discriminazione razziale e di genere… affrontati, peraltro, in chiave scontata e fin troppo leggera.
Sì, vero, il cinema può essere viatico di denuncia e di condanna del degrado materiale, umano, culturale della Società. E le produzioni impegnate ci sono sempre state. Ma in passato vi era più scelta, in base ai leciti gusti del pubblico pagante. Dunque, dopo aver visto La Classe Operaia va in Paradiso e Cittadino al di Sopra di Ogni sospetto, il pubblico poteva emozionarsi con gli inseguimenti di Maurizio Merli e di Tomas Milian, con lo sguardo penetrante del “marsigliese” Gastone Moschin e con le goliardate (già al tempo politicamente scorrette) del quintetto di Amici Miei. O terrorizzarsi di fronte a La Maschera del Demonio, a Profondo Rosso, all’Uccello dalle Piume di Cristallo. Insomma, c’era scelta e la passione per Dario Argento poteva serenamente convivere con il coinvolgimento emotivo per le trame di Elio Petri.
Usciti di scena i grandi del cinema italiano non vi è stato più alcun tentativo di seguirne le orme, né la volontà di capire che, se è vero che il cinema ha il compito di educare il pubblico, la sua funzione principale resta quella di intrattenerlo.
Mi perdoneranno i seguaci di Greta e di Blacks live matter: la proposta cinematografica nostrana, a dir poco martellante su razzismo, cambiamenti climatici ed accoglienza, insegue i trend di tendenza sui social network, allineandosi così alle richieste di un mondo delle spettacolo in verità ben poco interessato al sociale e molto più al come cavalcarlo per fini di guadagno.
Pace amore e solidarietà sono infatti valori importanti e che andrebbero trattati con la giusta attenzione e senza mai scadere nel banale perché si otterrebbe così l’effetto contrario: appiattimento della cultura valoriale e disinteresse da parte della gente a conoscerla e ad approfondirla.
Cosa che, peraltro, già accade. Perché stupirsi se le commedie politically uncorrect di Checco Zalone sbancano i botteghini? E se le pagine Facebook dedicate ai cine panettoni dei Vanzina contano oltre 100 k followers? Bisognerebbe semmai chiedersi perché il pubblico non più i film impegnati e quali siano, oggi, i suoi veri gusti.
Se il cinema statunitense post-pandemia ha saputo incastonare argomenti di stretta attualità (omosessualità, razzismo, femminismo) in trame avvincenti con Scream, Top Gun: Maverick e, ultimo in ordine di tempo, con lo storico-biografico Elvis (andatelo a vedere, merita davvero!), negli ultimi 12 mesi i titoli italiani davvero emozionanti sono stati ben pochi.
La Scuola Cattolica ha ricostruito magistralmente gli orrendi fatti di sangue del Circeo, ma si è soffermata troppo sull’origine sociale e sull’educazione degli stupratori: non va infatti dimenticato che il capo banda del Circeo non veniva dalla scuola cattolica e che, comunque, lo stupro è un orrendo crimine che non conosce distinzioni sociali, né fra i carnefici né fra le vittime.
Freaks out ha voluto giocare sul tema della diversità che si contrappone all’orrore nazista, proponendoci partigiani che tirano molotov con frombole giganti e che cantano Bella ciao. Insomma, una trama carina rovinata da un “omaggio” alla Resistenza da teatro dei pupi.
Sorvoliamo poi su C’era una volta il crimine in cui i nazisti sono sconfitti da Renatino De Pedis e da Edoardo Toscano, facendo così della Banda della Magliana… l’ eroe della pellicola… ma scherziamo!?
Se non si è in grado di analizzare la Storia in chiave critica, meglio lasciamola fuori dalle sale: nel tentativo di raccontarla, degnamente, sul grande schermo finiremmo infatti per ridurla ad una interpretazione fantasiosa, superficiale e “sciocchina”. E sulla Seconda Guerra Mondiale come sulla Banda della Magliana non ci si può permettere d’essere “sciocchini” e superficiali.
Recuperiamo un po’ di horror, un po’ di spaghetti western, qualche commedia leggera ma non per questo scontata: fra Covid e rincari di guerra c’è bisogno di emozionarsi. E ridateci allora le nostre Barbara Steel, il nostro Trinità ed il nostro Dogui. Dobbiamo lasciarci andare a paura, divertimento ed azione con eroi degni del biglietto… alla faccia della dittatura del marketing del politicamente corretto.