Tra i molti libri che, nell’ultimo periodo, sono usciti al fine di individuare le ragioni della guerra in Ucraina, una menzione particolare merita il volume di Luciano Canfora e Francesco Borgonovo, Guerra in Europa. L’Occidente, la Russia e la propaganda, nelle librerie per Oaks editrice (per ordini: info@oakseditrice.it, pp. 125, euro 12,00). Il primo, docente emerito di filologia classica all’Università di Bari, il secondo vicedirettore del quotidiano La Verità, non si limitano semplicemente a presentare il conflitto combattuto al fronte in tutta la sua tragica drammaticità, ma si occupano della “guerra di propaganda” della quale, da qualche mese, siamo quotidianamente spettatori. Suoi protagonisti indiscussi sono i mass media, in particolare occidentali, schierati a difendere gli interessi di una sola parte. Guerra in Europa è libro articolato: all’intervista in tema rilasciata da Canfora a Borgonovo, si accompagnano saggi dei due autori.
Le domande sono mirate e circoscritte, le risposte sintetiche, efficaci, puntuali. Si tratta, non soltanto di una lettura piacevole, ma imprescindibile per aver contezza dell’attuale status quo geo-politico e della fine del mondo unilateralmente retto dal potere USA. In merito alla guerra, è bene muovere dalla considerazione d’apertura di Canfora che, ricordando Tucidide e la sua esegesi della guerra che, nel mondo greco, vide contrapposte Atene e Sparta, sostiene che per conoscere realmente la storia di un conflitto è necessario individuarne le cause nel periodo di pace che lo precede. Per quanto attiene al caso russo-ucraino, non è sufficiente riferirsi alla guerra in Donbass del 2014, sottaciuta dalla grande stampa del mondo occidentale, ma risulta dirimente guardare al 1990. In quell’anno, il segretario di Stato USA, James Baker: «garantì a Gorbaciov che, se l’URSS avesse accettato lo smantellamento dell’Est Europa, la Nato non sarebbe avanzata di un centimetro» (p. 33). Così non è stato, anzi i “confini Nato” sono stati notevolmente ampliati nel corso degli ultimi decenni, in direzione Oriente. Canfora ricorda come, situazioni non dissimili, si fossero manifestate a ridosso del Primo, quanto del Secondo conflitto mondiale. Nel 1914, visto il rischio di perdere il primato sui mari a causa del rafforzamento della marina della Germania, la Gran Bretagna spinse l’Europa verso la guerra di “contenimento” nei confronti dei tedeschi.
Allora la responsabilità fu scaricata esclusivamente sulle spalle teutoniche e su quelle dei loro alleati, oggi assistiamo, sic et simpliciter, alla reductio ad Hitlerum, di Putin e della Russia. Per la Seconda guerra mondiale, lo storico J. P. Taylor, ricorda il filologo, ha sostenuto che le colpe non furono ad esclusivo carico dei nazisti, in quanto anche: «l’Occidente ha avuto gravi responsabilità» (p. 43). Nel 2021, in continuità con gli accordi di Minsk del 2015, riferisce Borgonovo, i russi hanno presentato richieste chiare all’Ucraina, finalizzate a scongiurare la guerra. In particolare, si chiedeva a Kiev di mantenere la propria neutralità. Ciò non è accaduto. Peraltro, mentre alcuni anni fa comparivano, perfino sulla stampa italiana, articoli mirati a sostenere che, nel “colpo di Stato” che eliminò in quel paese il presidente Yanukovich, corrotto, di certo, ma eletto dal popolo, un ruolo di primo piano nella instaurazione del successivo governo Yatseniuk, lo giocarono tanto il Dipartimento di Stato americano, quanto formazioni politiche neo-Nazi, presenti sul territorio ucraino. Oggi, poiché Putin ha sostenuto di voler “denazificare” l’Ucraina, per i mezzi di comunicazione occidentali a Kiev il neo-nazismo del battaglione Azov non è più un problema, non esiste: l’unico regime nazista è quello russo. È stato quantomeno sottaciuto, inoltre, il ruolo svolto da Soros e dalla finanza internazionale nel cambio di governo in Ucraina.
Se il filosofo Aleksander Dugin vede in Mosca la Terza Roma in lotta contro la Nuova Cartagine, l’Occidente dissoluto e transgender, noti politologi occidentali vedono nella Russia di Putin l’incarnazione della civiltà tradizionale in strenua opposizione ai valori laici e capitalistici pienamente incarnati dall’esperimento politico neognostico degli USA. In Russia, notano Canfora e Borgonovo, persino il bolscevismo, con Stalin, ebbe una torsione nazionalista, che giocò un ruolo dirimente per l’esito vittorioso dell’URSS nel Secondo conflitto. La reductio ad Hitlerum, nella guerra di comunicazione condotta dall’Occidente, non è un nuovo espediente. Gli Usa: «Nel 2003, in Iraq, hanno distrutto uno Stato che raffiguravano come fosse retto dal nuovo Hitler» (p. 86). In precedenza, in Kosovo, le cose non andarono diversamente. Eppure, nessuno stigmatizzò negativamente la politica estera Usa e le bombe della Nato. La violenza è ritenuta legittima, quando viene utilizzata dagli “illuminati”. In questo caso, essa è mirata, inevitabile. Si tratta di “guerre balistiche”, come chiosò lo storico Guy Hermet, attraverso le quali l’Occidente “elargisce civiltà e democrazia a popoli riottosi e arretrati.
La retorica dei valori occidentali è divenuta stucchevole. Come aveva capito Guénon, lo ricorda Borgonovo, essa si fonda su un “razzismo moralistico”, alla luce del quale gli occidentali: «vogliono costringere il mondo intero a imitarli in nome della “libertà”!» (p. 118). Esiziale è risultata, di fronte all’esplodere della crisi ucraina, l’inesistenza dell’Europa quale entità politica e militare autonoma. Le leadership europee si sono mostrate totalmente appiattite sulle decisioni Usa. Draghi è stato, fin dalla fine del febbraio scorso, il più fedele “soldatino” di Biden. Le politiche di quest’ultimo, che sul piano personale è perfetto simbolo della crisi irreversibile della post-modernità, sono in linea con quelle dei presidenti G. Bush e Clinton che, per primi, hanno perseguito il sogno utopistico di un mondo unipolare. Eppure, come nota Borgonovo, esiste un’altra America capace di riconoscere i limiti di tali scelte. Esiste un “conservatorismo” statunitense (Rod Dreher) che, pur non essendo affatto riducibile a posizioni filo russe, lancia a Biden moniti politici affinché metta in atto scelte realiste e prudenti. Dreher si dice spaventato dalla russofobia dilagante che, in Italia, è giunta addirittura a stilare liste di proscrizione di presunti filo-putiniani.
Per molti, quindi, siamo nel bel mezzo di una “guerra di civiltà”. Chi scrive è convinto che si tratti di una definizione eccessiva. Siamo di fronte alla fine degli assetti geopolitici prodottisi al termine dell’ultimo conflitto mondiale. Formalmente, la Russia può forse presentarsi quale katéchon, potere raffrenante la dismisura della società liquida, baluardo del mondo tradizionale. In realtà, anch’essa, a ben guardare, cova, al proprio interno, il germe che, in teoria, dovrebbe combattere. Chi sono, infatti, gli “oligarchi” di Putin, se non uomini spiritualmente (e non solo) in linea con la finanza internazionale? Tale oligarchia del denaro, ha già aperto ampie fenditure nella muraglia tradizionale di “Santa Madre Russia” e presto si porrà esplicitamente dalla parte del nemico. Guerra in Europa è, pertanto, una lettura che permette non solo la comprensione del presente, ma apre ampi squarci sul futuro prossimo-venturo.
*Guerra in Europa. L’Occidente, la Russia e la propaganda, di Luciano Canfora e Francesco Borgonovo, nelle librerie per Oaks editrice (per ordini: info@oakseditrice.it, pp. 125, euro 12)
‘Oggi, poiché Putin ha sostenuto di voler “denazificare” l’Ucraina, per i mezzi di comunicazione occidentali a Kiev il neo-nazismo del battaglione Azov non è più un problema, non esiste’. Certo che non esiste! Era un fenomeno marginale e, comunque, Zelensky ha presto provveduto a sbarazzarsene a Mariupol, svendendolo e sacrificandolo al NYT ed affini…