Indagare, descrivere e valutare i tratti salienti di un movimento politico ricorrendo in via residuale a fonti d’archivio e alla bibliografia esistente in materia, affidandosi in gran parte alle testimonianze dirette dei protagonisti – e di chi, magari legato a doppio filo da vincoli di familiarità e di amicizia, ne ha condiviso ciecamente la militanza – è un metodo riconosciuto nell’ambito delle scienze sociali: è allo stesso tempo sufficiente a garantire un buon grado di oggettività alla ricerca del fenomeno studiato? Ci sono validi motivi per dubitarne.
Rientra a pieno titolo nella casistica la monografia di Manolo Morlacchi “La linea del fuoco. L’Argentina da Peron alla lotta armata”, edita dalla casa editrice Mimesis nel 2019 e incentrata sulle vicende che determinarono, a cavallo fra gli anni ’60 e ’70, la parabola del Partito Rivoluzionario dei Lavoratori (Prt) e dell’Esercito Rivoluzionario del Popolo (ERP), suo braccio armato.
Se giova ricordare che l’orientamento dell’autore, figlio di uno dei fondatori delle Brigate Rosse, è chiaro sin dalla prefazione, nella quale ricorda che alcuni esuli politici argentini artefici di questa storia trovarono rifugio da una sua parente a Milano, i principali caratteri programmatici del Prt/Erp sono condensati in alcuni capisaldi frutto della predicazione del leader Mario Roberto Santucho: recupero delle radici e dei temi identitari degli indigeni (nello specifico quelli della provincia settetrionale di Tucuman); richiamo alla rivoluzione cubana e all’internazionalismo di stampo guevarista, all’interno della cornice di una lettura di stampo marxista della società; un classismo talmente esasperato che gli aspiranti aderenti venivano invitati – qualora non appartenenti alla categoria operaia – ad abbandonare la professione e ad intraprendere il lavoro in fabbrica; assorbimento della vita dei militanti nella disciplina di partito.
Sfugge in quale modo tale concezione – settaria per definizione, basata sulla centralità della guerriglia e della lotta armata, eterodirette da avanguardie autoritarie, organizzate in senso gerarchico e indebolite da forti dissidi interni, orientate ad una politica frontista mai concretamente avviata, convinte di conquistare le masse tramite la “saldatura” di componenti alla lunga difficilmente conciliabili, i campesinos del nord e il proletariato urbano legato all’organizzazione sindacale trotzkista Palabra Obrera – possa aver intercettato il consenso della borghesia media o nazionale, come sbandierato dall’autore che pare sottovalutare l’eterogeneità di un contesto eterogeneo come quello argentino.
Convincono ancora meno alcune chiavi di lettura delle varie fasi del peronismo: in risposta ad un suo stesso interrogativo, Morlacchi ne identifica le ragioni della popolarità (tanto inquietante dalla propria prospettiva, quanto in buona parte viva ancora oggi) nei successi di una legislazione sociale avanzata, nel conseguente inquadramento della classe lavoratrice nell’organizzazione sindacale e nella capacità di aver reso le masse partecipi della vita politica. Come rovescio della medaglia, contesta a Peron “ab origine” sia una presunta collusione con la grande finanza internazionale – silenziandone gli innegabili connotati terzaforzisti e il non allineamento ai due blocchi imposti dalla guerra fredda – sia pesanti responsabilità, una volta rientrato in patria dall’esilio spagnolo, nell’organizzazione della repressione diretta contro tutte le forze sovversive da parte della Tripla A, la struttura paramilitare e clandestina che colpì a fondo anche il peronismo di sinistra e la punta di diamante, il movimento giovanile dei Montoneros – di gran lunga maggioritario nella frastagliata galassia della guerriglia e spesso relegato in secondi piano nel libro – che non solo aveva metabolizzato le istanze di socialismo nazionale, eguaglianza e giustizia sociale perorate dal caudillo, ma si era prefissato l’obiettivo del suo ritorno dopo che i militari ne orchestrarono la defenestrazione nel 1955.
Pur riconoscendo le difficoltà della guerriglia rurale, evidenziandone i limiti nell’eccessiva staticità e alludendo alla difficoltà cronica di attirare verso la propria causa le masse contadine povere, lo spazio dedicato alla stagione delle rivolte operaie e studentesche, delle manifestazioni, degli scioperi e delle occupazioni nelle fabbriche con i conseguenti disordini e cariche della polizia non nasconde passaggi opachi. Ad esempio, quando si afferma prima che il Prt si era già dotato nel gennaio 1969 “di una struttura militare e rivoluzionaria ben organizzata”, per poi riportare – ben guardandosi dal confutarla – l’opinione di chi riscontra nell’assenza di una direzione centralizzata e di distaccamenti armati e addestrati le ragioni principali per le quali quelle prime lotte non poterono “spingersi più in là”.
Ben presto tratto in arresto, Santucho criticò la decisione del partito di sospendere l’avvio della lotta armata, sobillando i propri seguaci ad attivarsi per farlo evadere. Propaganda, denuncia della burocrazia sindacale corrotta, assalti frequenti a depositi di armi (il fallimento a quello della base di Monte Chingolo nel 1975 decretò la fine della guerriglia come alternativa politico-militare, pur non traducendosi affatto in una pacificazione immediata), attentati e omicidi politici omessi dall’autore, rapimenti di militari e di dirigenti di grandi aziende al centro di dure vertenze sindacali – come quello del direttore generale della FIAT Argentina, poi assassinato – furono tra le azioni che alimentarono la suggestione, ovviamente ricorrente anche nel libro, che il paese si trovasse nei primi anni ’70 in una fase pre-insurrezionale.
La decisione del governo Campora di concedere l’indulto per i prigionieri politici perpetuò l’equivoco: alla vigilia delle elezioni del 1973 il Prt/Erp – che esternò la volontà di partecipare alle consultazioni solo in funzione tattica per avviare la strategia ”entrista” nel peronismo – fu indebolito da ben due scissioni e non riuscì a consolidare alcun cartello elettorale unitario, democratico e progressista. Allo stesso modo, nel pieno della recrudescenza dello sciopero generale contro le politiche economiche del governo e dei disordini del 1975, la mancata concretizzazione sia dell’accordo operativo con i Montoneros sia di un’intesa con il partito comunista argentino – filosovietico, legalitario e ambiguo nei confronti dei militari al punto da non condannare, di lì a poco, il golpe del generale Videla – spianò il terreno alla “guerra sporca” e alla repressione.
Soffermandosi sul passaggio cruciale che si concluse con la presa del potere da parte del Proceso de Reorganizaciòn Nacional Morlacchi, pur non facendo mistero dell’atteggiamento altrettanto subdolo del regime cubano (interessato a tutelare i rapporti con la nuova giunta militare argentina), sottolinea nel riflusso politico e sociale, ovverosia l’apatia e la stanchezza delle masse – ma non erano sul punto di insorgere? – uno degli aspetti verosimilmente sottovalutati dal Prt/Erp.
L’epilogo è la logica conseguenza di un’esperienza fallimentare: Santucho non fece in tempo a beneficiare del salvacondotto dell’espatrio a Cuba offertogli dal Cile di Salvador Allende e fu ucciso dai militari nel luglio 1976. Dare fiato nelle conclusioni alle tardive e improbabili sconfessioni di chi oggi nega di essersi ispirato al modello cubano e alle nostalgie di coloro i quali, rivendicando la partecipazione alla rivoluzione sandinista di un gruppo di ex militanti dell’ERP, continuano a difenderne l’operato, pare sia un pretesto finalizzato a delineare un bilancio sostanzialmente positivo – smentito non certo da chi scrive, ma da saggi di elevato spessore come “I caudillos – Biografia di un continente“ oppure “I ragazzi del Che – Storia di una rivoluzione mancata” di Ludovico Incisa di Camerana, ambasciatore a Caracas e poi a Buenos Aires nel corso degli anni ’80 – sia un esercizio con una dose davvero eccessiva di wishful thinking.
*La linea del fuoco. L’Argentina da Peròn alla lotta armata – di Manolo Morlacchi (Mimesis, 220 pagine, 18 euro)
ERP, sinistra peronista, Montoneros tradirono lo spirito dell’originario peronismo, a di là degli errori del generale, e furono la causa prima del sanguinoso disastro argentino, che inizia ben prima del Golpe di Videla-Massera-Lambruschini nel 1976, con la debole Isabel Presidente, succeduta al marito morto nel luglio 1974.
Naturalmente l’ERP non era peronista…
Santucho era un criminale, come tanti altri della sinistra radicale latinoamericana..