Questo voto francese dice parecchie cose. E’ la prima volta che la Quinta Repubblica ha un presidente senza una sua maggioranza in Parlamento. Il periodo che si apre sarà segnato da una grande instabilità. Immaginare, oggi, che la nuova legislatura durerà fino alla fine naturale è uno spericolato esercizio di acrobazia e di fantapolitica. Se la Francia andrà nuovamente a votare fra qualche mese non sarà una sorpresa.
Per Macron è una disfatta. Solo pochi giorni fa, il 14 giugno, sulla pista dell’aero- porto di Orly aveva implorato i cittadini francesi ad andare a votare (“Aucun voix doit manquer à la Rèpublique”). Gli hanno risposto col più grasso astensionismo mai visto. Gli astensionisti oggi sono il primo partito di Francia.
L’astensionismo in costante crescita fino agli epocali livelli odierni è un fenomeno che la politica francese ha ottusamente determinato da anni, barricandosi dietro una legge elettorale autoconservativa e di fatto liberticida, che ha impedito al Paese legale di rappresentare il Paese reale.
Ricordate i voti di Le Pen (Le Pen padre, intendo)? Per decenni li hanno buttati al macero impedendo al Front national di essere riconosciuto come una delle famiglie politiche più importanti e radicate dell’Hexagone. Adesso che il vulcano sta buttando fuori la sua lava, la destrutturazione del Sistema è cominciata e sarà difficile fermarla.
Se oggi in Francia si fosse votato con il sistema proporzionale le sinistre avrebbero avuto 36 deputati in più, il Rassemblement national 32 in più, Reconquête! (di Zemmour) 28 e il movimento di Macron 77 in meno. Dice nulla?
Valeurs actuelles (n. 4452, 24-30/VI) aveva chiamato Macron “lo stregone”, magnificandone le doti di trasformista/illusionista/giocoliere. Adesso i suoi “giochi” si sono rivelati “giochetti”. E non gli hanno impedito di andare incontro alla sua prima, vera e definitiva disfatta. Anche taluni suoi stravaganti apologeti annidati nella destra italiana sono serviti.
Gli altri.
La sinistra voleva dar vita ad una Grande Alleanza Progressista. In realtà ha mostrato una visione del mondo molto prossima a quella del trombettiere della Grande Finanza Internazionale.
Macron e Mélenchon mano nella mano erano incamminati verso lo stesso orizzonte arcobaleno: immigrazionismo, Lgbt, cancel culture di scuola yankee, svuotamento dei contenuti ideali della Storia francese, antitradizionalismo a oltranza sin dalle scuole di primo grado e via declinando verso il basso.
Questa somiglianza fra i due ha pagato in negativo più di quanto non appaia.
La Grande Alleanza Progressista (l’hanno chiamata Nupes, Nuova unione popolare ecologista e sociale) ieri si liquefatta: né socialisti né comunisti né ecologisti vogliono saperne di confondersi in un unico Gruppo parlamentare guidato da Mélenchon, il che dovrebbe impedire a questo agglomerato confusionario di ottenere la presidenza della Commissione Finanze, la più importante.
Il centro gollista è ormai poca cosa. Chi dipingeva, anche nella destra nostrana, Valérie Pécresse come la nuova star della politica francese è servito. Ormai il destino dei gollisti è di farsi progressivamente risucchiare da Marine Le Pen, come auspicano Eric Ciotti, leader della opposizione interna, e Eric Dupond-Moretti e come ha fatto capire il loro presidente Jacob, il quale ha detto no ad ogni ipotesi di collaborazione con i macroniani.
Marine Le Pen ha vinto, ben oltre le previsioni sue e di suo padre, che oggi festeggia 94 anni come meglio non potrebbe.
Ha vinto perché ha continuato a fare quel che ha fatto il padre per tanti anni, interpretare coraggiosamente il malcontento crescente della società civile, da Mitterrand a Chirac, da Sarkozy a Hollande fino a Macron (il ras-le-bol di cui parlava Charles Maurras).
Ma queste elezioni francesi dicono qualcosa anche a noi italiani.
Ci dimostrano ancora una volta che le scelte moderate predicate e praticate in epoca di problemi radicali e radicalizzati sono compatibili solo con gli interessi dei poteri forti e non con quelli dei cittadini.
Ci dimostrano che una destra che si incammina verso il centro moderato, sfarinato e pasticcione perde, mentre invece una destra che resta coerentemente se stessa fa da calamita inesorabile a chi non trova una rappresentanza coerente per il proprio malcontento.
Ci dimostrano che la pletora di intellettuali, storici, liberi pensatori, ambasciatori che un giorno sì e l’altro pure si esercitano in queste prediche in favore del moderatismo sfiancato dei Calenda, dei Toti, dei Renzi e di chissà quale altro ronzino in arrivo sono fuori tema e fuori tempo massimo.
Finisce un’éra. E non solo per la Francia tornata ad essere, per tutti, laboratorio di politica. Fine della Quinta Repubblica. Fine del centrismo progressista. Fine dei Sistemi chiusi e conservatori. Fine degli abbagli prodotti dal Pensiero Unico. Fine dei dogmi modaioli imposti dall’al di là dell’Atlantico. Fine dei banchieri illuminati, delle grandi lobbies e dei poteri forti.