Anni fa, precisamente nella primavera del 2014, alcuni giornali italiani nonché alcuni siti internet in lingua inglese riportavano la notizia della scoperta di un’antica immagine del Cristo, dal volto giovanile e rasato, i capelli ricci, coperto da una tunica corta e con una mano alzata al cielo in segno di benedizione. Tale ritrovamento, ad opera del famoso archeologo ed egittologo dell’Università di Barcellona Josep Padró, è occorso a Ossirinco (Oxýrinchos) – antica città egiziana situata sulla sponda sinistra del Nilo, circa 160 km a sud-ovest del Cairo, nei pressi di El-Bahnasa –, più esattamente sulla parete di una chiesa copta del VI secolo. Il luogo di tale scoperta è noto fin dal XIX-XX secolo, a seguito di altri importanti ritrovamenti, quale quello di sei papiri cristiani copti, risalenti ai secoli II-III e recanti frammenti dei Loghia Iesu (“Detti di Gesù”), ossia, delle brevi sentenze attribuite al Cristo.
A quanto risulta, il dipinto è stato rinvenuto in quella che l’archeologo catalano ritiene fosse la camera sepolcrale di una famiglia di sacerdoti e scribi, vissuti durante il periodo copto antecedente all’arrivo dell’Islam, con alcune iscrizioni che attorniano il dipinto stesso, le quali, una volta decifrate, dovrebbero fornire ulteriori indicazioni sull’identità della persona ritratta. Una “persona”, tuttavia, che per la postura benedicente, ma anche per il richiamo ad altre immagini glabre in catacombe romane raffiguranti il “Gesù Buon Pastore”, potrebbe realmente essere il Cristo narrato nei Vangeli. Sebbene assai distante da tutte le rappresentazioni iconografiche successive, tanto quelle bizantine o medievali quanto quella della Sacra Sindone.
Se si comprovasse trattarsi di quella di Gesù, ciò non vuol dire che il dipinto di Ossirinco sarebbe da ritenersi a tutti gli effetti la rappresentazione del volto “reale” del Redentore, ma unicamente il modo in cui le comunità cristiane copte d’Egitto del VI secolo ne immaginavano le fattezze fisiche.
Prendo spunto da tale notizia, concernente appunto il ritrovamento di quella che potrebbe essere, come la classificò all’epoca Josep Padró, «una scoperta eccezionale», per soffermarmi brevemente sul “Percorso Iconografico del Volto di Cristo”.
È noto come l’aspetto fisico di Gesù non venga descritto in alcun documento epocale, neppure in maniera sommaria. Gli stessi testi canonici – tanto i Vangeli quanto gli altri scritti del Nuovo Testamento – sono reticenti in merito. Solo nel Vangelo secondo Luca si ritrova un semplice accenno, allorquando, in occasione della visita di Gesù a Gerico, l’evangelista si riferisce al pubblicano Zaccheo che cercava in tutti i modi di vederlo,
«ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura. / Allora corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là» (Lc 19: 3-4).
La sintassi del testo greco, tuttavia, rende il passo controverso, nel senso che risulta impossibile individuare chi fosse «piccolo di statura»: Gesù o Zaccheo? Ovviamente, il vero credente e, quindi, colui che confida nella Sacra Sindone (dalla quale – ricordo – si desume una statura del Cristo di 183 cm) non può che escludere la prima alternativa.
Occorre ricordare, a tale proposito, l’esistenza della “Lettera di Publio Lentulo”, redatta probabilmente in greco ma pervenutaci in latino (Epistula Lentuli ad Romanos de Christo Jesus), di datazione incerta e alla quale si riferiscono alcuni scritti in tedesco della fine del secolo XV, i primi a citarla e in cui s’asserisce che la stessa fu rinvenuta nel 1421 da un certo Giacomo Colonna in un documento proveniente da Costantinopoli. Ebbene, tale missiva, sotto forma di rapporto ufficiale al Senato di Roma e attribuita a un sedicente governatore della Giudea e predecessore di Ponzio Pilato, di nome Publio Lentulo, parla diffusamente di Gesù Cristo, descrivendone anche l’aspetto fisico:
«È alto di statura, ben proporzionato. Occhi azzurri, vivaci, brillanti. Capelli con il colore delle noci di Sorrento molto mature, che discendono dritti fin quasi alle orecchie, più chiari e lucenti nei riccioli che ondeggiano sulle spalle. Barba abbondante, dello stesso colore dei capelli, leggermente biforcuta. Fronte liscia e serenissima, viso senza rughe o macchie, di un rosato deciso […]».
Tuttavia, negli annali storici non risulta alcun Publio Lentulo che abbia governato la Giudea. Cosicché la missiva è ritenuta apocrifa, più esattamente un falso medievale, da vari storici e filologi (1).
Dando per certo che la Sindone di Torino, questa misteriosa e straordinaria “Icona del Sabato Santo”, è l’autentico sudario che avvolse il corpo di Gesù, l’aspetto di Questi è fedelmente riportato nell’immagine umana “in negativo” impressa sul lungo Telo di lino: un Uomo muscoloso, di statura medio-alta, fornito di barba e con i capelli lunghi. Questa è anche l’immagine con cui il Cristo è tradizionalmente rappresentato. Occorre dire, però, come non corrisponda al vero la teoria secondo la quale l’iconografia del Redentore discenda dalla Sacra Sindone. Difatti, le fattezze fisiche con cui Egli è raffigurato erano già canonizzate molti secoli prima rispetto a quando si sono avute le prime notizie sulla Sindone.
Ciononostante, alcuni cristologi, facendo riferimento alle usanze ebraiche epocali, sono dell’avviso che Gesù non potesse avere i capelli lunghi. A supporto di tale tesi questi stessi studiosi sono soliti citare un passo di San Paolo estrapolato dalle Lettere ai Corinti:
«Non è forse la natura stessa a insegnarci che è indecoroso per l’uomo lasciarsi crescere i capelli, / mentre è una gloria per la donna lasciarseli crescere?» (1 Cor 11: 14-15).
Un’affermazione, tuttavia, priva di un vero e proprio riscontro storico, e peraltro contestata per il tramite di fonti avverse. È il caso sia delle cosiddette leggi del Nazireato – ovvero, il voto, secondo il Vecchio Testamento, con cui un ebreo si consacrava a Dio e che richiedeva il seguire determinate regole, fra le quali quella di lasciarsi «crescere la capigliatura» (Nm 6: 5) – e sia di una delle “prescrizioni morali e attuali” contenute nel Levitico (2) che recita: «Non vi taglierete in tondo i capelli ai lati del capo, né deturperai ai lati la tua barba» (Lv 19: 27). Tradizione, quella dei capelli lunghi – secondo la prescrizione biblica appena richiamata contro la rasatura degli angoli della propria testa – peraltro corrente fra gli ebrei ortodossi tramite l’uso dei payot (ossia, in italiano, “boccoli” o “riccioli laterali”).
È noto come nel corso dei primi due secoli dell’era cristiana avesse pesato sull’iconografia di Gesù il tradizionale tabù ebraico per le immagini. Difatti, per gli ebrei la raffigurazione di Dio era proibita, sotto pena di castigo. Si rimediò per il tramite di simboli, quale il pesce (il cui termine greco ichthys è l’acronimo – com’è noto – di “Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore”) e d’immagini allegoriche, quale quella del “Buon Pastore” con al collo una pecorella (3).
Caduti i divieti a seguito dell’Editto di Milano – noto anche come Editto di Costantino e Editto di Tolleranza – (4) ecco che le rappresentazioni del Redentore si sarebbero moltiplicate, cristallizzandosi, per così dire, in tipi. Soprattutto dal VI secolo in poi, si assiste all’affermarsi di una diversa e particolare tipologia del Suo volto, tipologia pervenutaci intatta nella sua raffigurazione canonica. Un Gesù barbuto e con i capelli lunghi ricadenti sulle spalle (5), che discende, quasi certamente, dal Mandylion di Edessa: un panno doppio, piegato quattro volte e venerato dalle comunità cristiane orientali (6), sul quale era visibile l’immagine che Gesù stesso avrebbe miracolosamente impressa nell’asciugarsi il proprio volto, e per questo detta acheropita, ossia, “non fatta da mano umana”, identificata da alcuni studiosi con la Sacra Sindone.
Com’è ovvio, molto altro vi sarebbe da dire sulla Storia immensamente interessante che ha accompagnato nei secoli il “Percorso Iconografico del Volto di Cristo”. Purtroppo risulta impossibile farlo in un breve articolo. Sicché, termino qui tale disamina, che spero possa risultare interessante per chi mi legge.
Note
(1) Il primo a dimostrane la natura apocrifa fu l’umanista quattrocentesco piacentino Lorenzo Valla.
(2) Ricordo, il terzo libro della Torah ebraica e della Bibbia.
(3) È il caso, ad esempio, del celebre affresco raffigurante, appunto, l’immagine di Gesù nelle vesti del “Buon Pastore” – III secolo – nelle Catacombe di San Callisto a Roma, più precisamente nella cripta di Lucina.
(4) Accordo sottoscritto nel febbraio 313 dai due “Augusti” dell’Impero Romano, Costantino per l’Occidente e Licinio per l’Oriente, e finalizzato a concedere a tutti i cittadini, cristiani inclusi, la libertà di onorare le proprie divinità.
(5) Si pensi, ad esempio, alla bellissima icona del “Cristo Pantocratore” del Monastero di Santa Caterina del Sinai, prima metà del VI secolo, con quel volto ovale incorniciato dalla barba. In tal senso, è di certo un’eccezione degna di nota la raffigurazione del Suo viso glabro nel “Giudizio Universale” di Michelangelo nella Cappella Sistina.
(6) Inizialmente conservato a Edessa di Mesopotamia – l’odierna Urfa, in Turchia – e più tardi traslato a Costantinopoli, prima che se ne perdessero le tracce nel 1204, allorquando la città fu saccheggiata nel corso della IV Crociata.
Infatti. È la cosiddetta Sacra Sindone che s’ispira all’iconografia del Cristo allora prevalente, quella degli affreschi gotici e nordici.