Dai fumetti, roba seria, alla politica, materia per simulatori. Dalla città dove è nato alla pornostar più applaudita. Da Tolkien, che non ha mai amato, al mito Pasolini. “Sedici Venti”, ultima fatica di Marco Iacona pubblicata da Solfanelli editore è una raccolta di interviste e interventi giornalistici che precedono la pandemia. “Quando morte e miseria morale” si legge in quarta di copertina, “erano ugualmente delle gran carognate”.
Marco Iacona siamo abituati alla multiformità degli argomenti che di solito tratta, di cosa scrive stavolta?
“La mia risposta potrebbe non essere nuova: della vita e della morte. Forse stavolta, più della prima che della seconda, nel senso della vita nella cultura e nella letteratura, in attesa di approfondirla definitivamente la seconda. Qualche anno fa, ecco una delle ragioni del titolo del libro, intervistai una serie di fumettisti, il mitico Alfredo Castelli e poi Silver e gli autori di “Ken Parker” per capire dove stava andando la nona arte e soprattutto cos’era…”.
E dove sta andando e cos’è?
“Adesso sta andando al cinema. Ma non solo lì, grazie a Dio, sennò che nona arte sarebbe? Per me è più di tutto nostalgia. Ed è stata la meraviglia di uno Jacovitti, lo zio Benito, certamente tra i miei educatori”.
Zio?
“Quand’ero bambino era così popolare che, per me, era come uno di famiglia. Mi spiegò perfino il significato del sesso, che è divertimento innanzitutto”.
Leggendo il libro notiamo la presenza di Vittoria Alliata di Villafranca…
“Un sassolino tolto dalla scarpa. Una splendida donna: venne a Catania per parlare delle memorie del padre e la intervistai su Tolkien e il “Signore degli anelli”. A quel tempo la nuova traduzione non c’era ancora. A me la trilogia non è mai piaciuta e non sono mai piaciute le messe cantate all’interno dei templi tolkieniani. Degli interisti, in campo juventino, si dice che siano muti d’accento e di pensier, ecco: siamo lì, più o meno… Fui piacevolmente sorpreso dalle parole della principessa. Non amava certe esasperazioni pan-politiche, e al tempo della nota traduzione si sentì in un certo qual modo raggirata da certo “ambiente”, decidendo di cambiare aria”.
Lei non ama Tolkien e non ama Camilleri…
“Ma amo Umberto Eco (ride), nel senso che quel suo libretto sul fascismo eterno lo trovo illuminante, forse per quel che lo stesso Eco non pensava di dire. Azzardo qui una lettura metaechiana; forse però sono solo un echiano di ritorno… Chi è che diceva che eravamo e siamo tutti fascisti? Bé, forse il piemontese ci ha davvero azzeccato”.
Ma per lei il fascismo cos’è?
“Pasolini diceva “scandalizzare è un diritto”; quando chiesero a Luciano Liggio, il superboss, che cosa fosse la mafia e che significasse l’aggettivo mafioso, rispose che per lui un bel cavallo, robusto ed elegante era mafioso… ecco essere fascista, dato che ne conosco di fascisti, vuol dire semplicemente concedersi alle parole. Flaiano diceva che non tutti potevano permettersi di essere comunisti, io affermo che chi sta bene può permettersi di essere fascista, a parole. Il fascismo è “filosofia”, il comunismo no? Può darsi. Del resto, se c’è, è una sarabanda di cose, città, animali e saluti romani… Poi, si sa, il novanta per cento dei fascisti non ha mai letto Gentile né probabilmente la voce della Treccani sul fascismo. E per Eco non conta”.
E Camilleri?
“Camilleri è uno scherzo della storia. Anzi no, è un ripetersi di uno stesso fatto. Noi siciliani, ovviamente parlo per chi come me non ama la cultura siciliana, ne avremmo fatto volentieri a meno… ma così va il mondo”.
Cosa le ha fatto?
“Pagheremo per altri cento anni le sue storie… Camilleri è la Sicilia-medioevo, la Sicilia oggetto. La Sicilia-donna”.
Ah già, lei non è propriamente femminista…
“Si sbaglia, una volta una tizia che si vantava di esser stata tenuta in braccio da Che Guevara, mi disse che in quanto uomo dovevo star zitto quando due o più donne parlavano. E così faccio da tempo: uno straordinario guadagno…”.
Un altro siciliano di cui parla nel libro è Francesco Merlo…
“Sì, non l’ho mai capìto. Ma capìto non quello che scrive, bensì perché scrive quello che scrive. Cristina Campo diceva: più che la poesia mi interessano le fonti della poesia. Che ne so, Merlo è pura catanesitudine”.
Come quella di Mughini?
“Mughini ha una bella testa e anche Merlo ce l’ha. Mughini, almeno nell’ultimo periodo, scrive di se stesso. Ha creato una sorta di Avatar, c’è il Mughini intellettuale ex sessantottino e poi ci sono le cose di Mughini commentate da Mughini. Anche qui: che ne so. Forse da vecchio diventerò così (ride), ma non scriverò romanzi: lo giuro al ciel!”
Ma lei come si definisce?
“Un’incoscienza critica per la destra, la mia parte. Un confederato per chi sa di libertà, un impacificabile sempre. Sono Rodolfo dopo la morte di Mimì”.
Pasolini c’entra come i cavoli a merenda…