Nella sua accezione corrente il termine “sidonismo” rimanda a un determinato e circoscritto periodo della storia e della politica portoghesi sotto la presidenza del maggiore Bernardino Cardoso da Silva Sidónio Pais (1872-1918).
Questi, di formazione repubblicana, fa la sua apparizione sulla scena politica nel settembre del 1911, quando l’allora Primo Ministro João Chagas gli affida il dicastero del Tesoro. All’indomani delle prime divisioni in seno ai repubblicani, nel 1912, s’iscrive al Partito Unionista di Brito Camacho. Dal 1913 al 1916 è ambasciatore a Berlino. Rientrato in Portogallo, il 5 dicembre 1917 guida un’insurrezione di militari contrari, fin dall’inizio, all’entrata in guerra del Portogallo a fianco degli Alleati. L’insurrezione, con la quale peraltro si dichiarano solidali larghissimi strati della popolazione vessati, a seguito della guerra, con pesanti restrizioni economiche e alimentari, risulta vittoriosa. L’8 dicembre viene istituito un regime autoritario e presidenzialistico, con elezione diretta, a suffragio universale, del Capo dello Stato, lo stesso Sidónio, che ricopre anche la carica di Primo Ministro. L’esperienza si conclude il 14 dicembre 1918, giorno del suo assassinio.
Queste, in breve, le vicende storiche legate al «Presidente-Re» e alla sua «Repubblica Nuova» (per distinguerla dalla precedente, quella «Vecchia»), entrambe espressioni coniate da Fernando Pessoa, il quale, poco dopo l’instaurazione del regime dittatoriale sidonista, avrà modo di scrivere:
«desideriamo salutare il dott. Sidónio Pais, Presidente della Repubblica, per volontà del Destino, per diritto della Forza, diritti maggiori del suffragio in prestito che lo ha eletto» [PESSOA, 2018: 189].
Credo che nessun critico oggi possa mettere in dubbio l’eterodossia di pensiero di Pessoa. Un’impoliticità di fondo (sul tipo di quella manniana, ove la figura del Dichter, del poeta che media tra realtà e dimensione fantastica e mitico-simbolica dell’esistenza, si contrappone alla figura del Literat, del mero intellettuale organico) che però non gli avrebbe impedito d’interessarsi, a tempo pieno e pubblicamente in alcuni frangenti, alle vicende socio-politiche di un Paese, il Portogallo epocale, da lui ritenuto «snazionalizzato» e privo di una sua propria identità. Facendolo non di rado, secondo quanto già ho avuto occasione di evidenziare in altre sedi, da una posizione che non è fuori luogo né contraddittorio definire “realistica” (1).
Pessoa era incontestabilmente antidemocratico e antipartitico. Il suo sostegno “passivo” alla Repubblica Parlamentare, dettatogli dalla repulsione per la Monarchia Costituzionale portoghese (1820-1910), sarebbe durato lo spazio di pochi mesi. Difatti, s’accorse presto come il regime repubblicano parlamentare, instaurato in Portogallo il 5 ottobre 1910, altro non fosse che la continuazione, «a un livello più basso», del Costituzionalismo, una «monarchia senza re» che aveva ancor più intensificato la decadenza e la snazionalizzazione del Paese (2).
Il suo sistema ideale di governo, l’unico e vero «regime naturale», era la «monarchia pura» (3). Ancor più appropriato, avrebbe scritto, «per una nazione organicamente imperiale come il Portogallo» (4). Tuttavia, quando realisticamente sarebbe addivenuto alla conclusione dell’impraticabilità, nelle condizioni moderne, della monarchia assoluta avrebbe optato per la Repubblica Presidenziale. Altrimenti denominata, nel celebre Ultimatum del 1917 a firma del suo eteronimo Álvaro de Campos, «Monarchia Scientifica»: null’altro che una Repubblica Monarchica, ossia una monarchia non dinastica, «assolutamente spontanea» e retta da un «Re-Media» (5). Questa figura sarebbe stata di lì a poco individuata dal Pessoa ortonimo proprio in Sidónio Pais:
«Re nato, la sua regalità, / per non poterla dagli avi suoi / ereditare, con mistica interezza / da Dio la ereditò» (PESSOA, 2010: 43].
Ciò detto, occorre, tuttavia, contestualizzare il “sidonismo” di Fernando Pessoa nel più generale suo “sebastianismo”. Questo perché il significato da lui dato al termine travalicava la semplice contingenza del momento storico, rapportandosi a un discorso molto più ampio e complesso, ossia, a quel profetismo che tanto impregnava il suo essere tutto.
Nel 1557, alla morte di Giovanni III di Avis, saliva al trono il nipote Sebastiano, di soli tre anni e figlio dell’infante Giovanni. In questo “sovrano-fanciullo” (al quale il popolo aveva dato l’appellativo de “Il Desiderato” e che solo al compimento dei quattordici anni, nel 1568, avrebbe di fatto assunto il governo) il Portogallo, già lontano dalla gloria e dai fasti delle mitiche imprese d’oltremare, aveva riposto la speranza di una completa sua propria rinascita, sia morale che politico-economica. Di formazione cristiano-mistica e convinto assertore, per il suo Paese, del ruolo di difensore della Cristianità e di quello di grande potenza imperiale, Sebastiano decideva, nonostante il dissenso di alcuni consiglieri, di intervenire massicciamente nell’Africa del Nord. Qui, in Marocco, si era venuta a creare, a seguito di una crescente influenza turca, una situazione di allarmante pericolo, territoriale e commerciale, per l’Europa. Sicché, fu approntato un esercito di circa 20.000 uomini che si scontrò, il 4 agosto 1578, in Al-ksar el Kebir, con quello marocchino del sultano Mumaly ‘Abd al-Malik, il cui contingente superava le 50.000 unità. L’impari battaglia si sarebbe trasformata, per i portoghesi, in un eroico “olocausto”, con circa 7.000 morti, incluso lo stesso sovrano. Il mancato ritrovamento del corpo di Sebastiano ha fatto sì che questi entrasse nella leggenda, contrassegnata dall’attesa messianica di un suo ritorno e trasformatasi presto in mito nazionale.
Le conseguenze di questa disfatta e relativa scomparsa de “Il Desiderato” sarebbero state fatali per il Paese. Due anni dopo, nel 1580, alla morte del Cardinale Enrico, zio di Sebastiano e che aveva assunto il governo in mancanza di eredi diretti da parte di quest’ultimo, il Portogallo fu annesso alla Spagna. Filippo II di Castiglia, nipote di Emanuele I di Avis, era riuscito, difatti, a spuntarla sugli altri candidati aspiranti alla successione, tra l’altro sancendo la propria incoronazione con la vittoria riportata dalle sue truppe su quelle portoghesi, comandate da Antonio I, nella battaglia di Alcântara del 25 agosto 1580. La cosiddetta “monarchia duale” o “epoca filippina” durò sessant’anni, fino al 1° dicembre 1640, giorno in cui una sollevazione – di palazzo, prima, popolare, poi – pose fine all’occupazione spagnola e Giovanni, duca di Braganza, con il nome di Giovanni IV venne acclamato re.
Fin qui i fatti storici, ai quali, però, secondo i sebastianisti, che allora rappresentavano nel Paese la maggioranza, avevano concorso degli eventi sovrastorici: Giovanni IV, l’artefice primo della cacciata dell’invasore, altro non sarebbe stato che la reincarnazione de “Il Desiderato”.
È chiaro, tuttavia, che il mito sebastianista non si sarebbe arrestato a Giovanni IV. Una delle caratteristiche del mito è proprio quella della sua perpetuazione. Ciò spiega, ad esempio, come dopo la morte di questo sovrano, occorsa nel 1656, Padre António Vieira profetizzasse, interpretando sia alcuni testi biblici, sia le Trovas di Bandarra (6), la resurrezione dello stesso Giovanni IV, visto come il futuro imperatore del Quinto Impero giudaico-cristiano (7). Quello stesso regno, ultimo ed eterno, che nelle parole del profeta Daniele – allorquando interpretò il sogno di Nabucodònosor, re di Babilonia – «non sarà mai distrutto e non sarà trasmesso ad altro popolo: stritolerà e annienterà tutti gli altri regni, mentre esso durerà per sempre» [Daniele, c. 2: 44].
Tutto questo fa sì che il “sebastianismo” si presenti anche con un suo contenuto ideologico-politico, poiché il tipo di idea imperiale che lo contraddistingue e a cui esso aspira si pone in netto contrasto con un altro tipo di idea imperiale presente nella Penisola Iberica: da una parte, appunto quella sebastianista, abbiamo la rivendicazione di un Portogallo portoghese, vale a dire, nazionalista; dall’altra, un Portogallo straniero, quello, per intenderci, dell’epoca filippina (1580-1640) e, successivamente, in un altro contesto, quello degli illuministi, dei positivisti e dei razionalisti [cfr. QUADROS, 1982-1983: 199].
Nel corso di una inchiesta, realizzata nel 1926 da un giornale di Lisbona, Pessoa ebbe modo di dichiarare:
«V’è solo una specie di propaganda con cui si può risollevare il morale di una nazione: la costruzione o il rinnovamento e la conseguente e multiforme diffusione di un grande mito nazionale. Istintivamente, l’umanità odia la verità, perché sa, grazie all’istinto stesso, che non esiste verità, o che la verità è inattingibile. Il mondo si conduce con menzogne; chi voglia svegliarlo o condurlo dovrà mentirgli in modo esaltato, e lo farà con tanto più esito quanto più mente a se stesso e si convince della verità della menzogna che ha creato. Abbiamo, fortunatamente, il mito sebastianista, con radici profonde nel passato e nell’anima portoghesi. Il nostro lavoro è quindi più facile; non dobbiamo creare un mito, ma solo rinnovarlo. Iniziamo a inebriarci di questo sogno, a integrarlo in noi, a incarnarlo. Fatto questo, ciascuno di noi in indipendenza e da solo a solo con sé, il sogno si propagherà senza sforzo in tutto quel che diremo o scriveremo, e l’atmosfera sarà creata, laddove tutti gli altri, come noi, lo respirino. Allora si formerà nell’anima della Nazione il fenomeno imprevedibile da cui nasceranno le Nuove Scoperte, la Creazione del Mondo Nuovo, il Quinto Impero. Sarà ritornato il Re don Sebastiano» (8).
Che cosa, tuttavia, intendeva Pessoa, sostanzialmente, per “sebastianismo”? Ebbene, in uno dei suoi numerosi appunti sull’argomento avrebbe scritto:
«In senso simbolico don Sebastiano è il Portogallo: il Portogallo che ha perso la propria grandezza con don Sebastiano e che ritornerà ad averla solo con il suo ritorno, ritorno simbolico – come, per un mistero meraviglioso e divino, la stessa sua vita era stata simbolica – ma nel quale non è assurdo sperare» [PESSOA, 2018: 323].
È importante evidenziare come Pessoa, in questo suo appunto, si riporti a quel che paradigmaticamente definisce «simbolismo della Storia», poiché «il simbolo è nato prima degli ingegneri» (9). Tutto l’esistente, afferma, ruota attorno alla «forma» e all’«anima». Da qui il credere nella reale possibilità del ritorno di don Sebastiano, che avverrebbe per il tramite di un fenomeno di «metempsicosi»:
«Princìpi essenziali: / 1. Dove vi è forma vi è anima. La forma è quel che rende qualcosa ciò che è. Così, un albero ha una forma. Una battaglia, una certa battaglia, e non un’altra, ha pure una forma. Quanto maggiore è la cosa tanto più la sua forma le è propria. Non si può ridare a una battaglia la sua forma. Una volta avvenuta, essa non si ripete. Gli eventi possiedono anima. Gli eventi sono uomini. / 2. La metempsicosi. L’anima è immortale e, se sparisce, torna ad apparire quando evocata attraverso la sua “forma”. Così, morto don Sebastiano, il suo corpo, se riusciremo a evocare in noi qualcosa che assomigli alla forma dell’animo di don Sebastiano, “ipso facto” lo avremo evocato e la sua anima entrerà nella forma che abbiamo evocato. Perciò, quando avrete creato una cosa la cui forma sia identica a quella del pensiero di don Sebastiano, questi sarà ritornato, non solo in senso figurato, ma realmente, nella sua presenza concreta, anche se non fisicamente nella sua persona. Un evento è un uomo o uno spirito in forma impersonale. / 3. La profezia è la visione degli eventi nella loro forma corporea. È il contrario di quel che abbiamo esposto sopra. Una battaglia che andrà a realizzarsi appare con una forma, umana o d’altra specie, prima di realizzarsi. Perché può avere una forma umana, perché realmente l’ha. / 4. La profezia può a volte (o sempre) applicarsi a varie cose. Questo non invalida la profezia. È che vari eventi sono un evento solo, vale a dire, un solo ente sotto varie forme. Così, se una profezia rappresenta possibilmente don Sebastiano, don Giovanni IV, don Pietro IV (o V), la Repubblica e molte altre cose, questo non vuol dire che la profezia sia falsa. Vuol dire che è la profezia di una cosa sotto varie forme, ed esprime l’essenziale che attraversa tutte le forme. / 5. Con don Sebastiano morì la grandezza della Patria. Se la Patria sarà di nuovo grande, tornerà, “ipso facto”, don Sebastiano, non solo simbolicamente parlando, ma realmente» [IDEM: 321-322] (10).
Questi appunti – presi da Pessoa per un libro, mai concluso, dal titolo Il Sebastianismo – risalgono probabilmente a prima della morte di Sidónio Pais. Ciò spiegherebbe l’assenza del «Presidente-Re» dall’elenco delle «forme» rappresentative di «un solo ente», vale a dire, di coloro che più tardi, incluso lo stesso Sidónio, lo scrittore portoghese avrebbe definito (e non poteva essere altrimenti, poiché il mito, nel significato datogli da Pessoa, è sostanzialmente un’”araba fenice” che a ogni sua morte risorge dalle sue stesse ceneri) «forme false del Velato Reale» [IDEM: 337-338 (337)] (11).
Intanto, è indiscutibile, e l’ode scritta alla sua memoria lo comprova, che in Sidónio – finché in vita e nel corso della sua effimera apparizione al timone dei destini del Portogallo – Fernando Pessoa individuò una figura di capo carismatico, così come da lui concepita e idealizzata, ossia, quel «Fiore emerso dalla palude della nazione, / alba della Redenzione» in cui «un tempo s’incarnò il re / don Sebastiano» [PESSOA, 2010: 49].
Note
(1) Sull’inscindibilità della “doppia anima” pessoana, quella “poetica” e quella “teorico-politica”, si veda il mio articolo Contemplazione ed attuazione – Pessoa sociologo e teorico della politica [cfr. DE CUSATIS, 19941], così come le mie introduzioni ai due volumi di Fernando Pessoa: Scritti di sociologia e teoria politica [cfr. DE CUSATIS, 19942: 9-40] e Politica e profezia. Appunti e frammenti 1910-1935 [cfr. DE CUSATIS, 2018: 35-50].
(2) Si veda, su tale tema: PESSOA, 2018. In particolare, gli scritti e note corrispondenti contenuti nelle sezioni I (pp. 53-94) e IV (pp. 185-230).
(3) Cfr. il suo articolo-saggio L’opinione pubblica, in PESSOA, 1994: 121-144 (133).
(4) Nota biografica [scritta da Fernando Pessoa il 30 marzo 1935], in IDEM: 47-51 (50).
(5) Cfr. Ultimatum, in IDEM: 85-103 (102).
(6) Gonçalo Anes, il “Nostradamus portoghese”, detto Bandarra (1500?-1545), di professione ciabattino, venne per le sue profezie, così come Padre António Vieira, accusato di giudaismo e perciò processato e condannato, nel 1541, dal tribunale dell’Inquisizione portoghese. Le sue famose Trovas (1ª ed. postuma: Paraphrase et concordancia de alguas propheçias de Bandarra, çapateiro de Trancoso, por Dom Ioam de Castro, Lisboa 1603) sono state, nel corso delle epoche, più volte e diversamente interpretate, anche dallo stesso Pessoa [cfr. PESSOA, 2018: 301-319].
(7) Celebre padre e missionario gesuita portoghese (1608-1697), a lungo vissuto in Brasile, dove si adoperò in favore degli indiani schiavizzati. Consigliere spirituale e politico di Giovanni IV di Braganza, fu uno dei paladini più eminenti della “Restaurazione”, nonché figura di primissimo piano nel panorama letterario, e non solo barocco, di espressione portoghese. La sua vastissima opera comprende fra l’altro i celebri Sermões (1679-1684) e la, altrettanto celebre, História do Futuro, pubblicata postuma nel 1718. Nel 1665-1667 venne processato e condannato dall’Inquisizione per un manoscritto (Esperança de Portugal, Quinto Impero do Mundo. Primeira e segunda vida de El-Rei D. João IV, escritas por Gonçalo Eanes Bandarra e comentadas por Vieira, em carta ao bispo do Japão: D. André Fernandes) giudicato eretico poiché in esso si profetizzava la resurrezione di Giovanni IV, morto nel 1656 [cfr. VIEIRA, 1951-54].
(8) [Inchiesta] Dichiarazione dello scrittore Fernando Pessoa, in PESSOA, 1994: 161-168 (167-168). Fondamentalmente, come sottolinea Ángel Crespo, queste affermazioni sono una dichiarazione pubblica per gli scettici e gli antisebastianisti (allora numerosissimi tra gli intellettuali positivisti portoghesi di cui il massimo esponente era António Sérgio), «nella quale Pessoa occultava la propria accreditata e indubbia fede esoterica per convincere i mentitori, fingendo di essere uno di loro» [CRESPO, 2014: 532].
(9) [Intervista] Che ne pensa della nostra crisi? […], in PESSOA, 1994: 142-152 (149).
(10) È fondamentalmente un «sebastianismo razionale» (espressione dello stesso Pessoa) che rimanda sia a un tipo di conoscenza gnostico, di ispirazione, a un tempo, giudaico-cristiana ed esoterica, sia, a ben vedere, al “razionalismo tomistico”, secondo il quale il mondo della conoscenza si fonda anche su rappresentazioni astratte (“intelletto possibile” contrapposto a “intelletto agente”).
(11) Ciò nonostante, Sidónio sempre sarebbe stato considerato da Pessoa come un caso a se stante rispetto a tutte le altre «forme false del Velato Reale»: «Dei tre falsi Velati [nel caso specifico, gli altri due sono Giovanni IV di Braganza e il Marchese di Pombal] è stato senza dubbio Sidónio colui che si è cinto di una relativamente maggiore aureola mistica. Pombal, non solo per la natura della sua opera, ma anche per la sua indole e il razionalismo aureolante del suo tempo, non fu avvolto dalla Nazione di alcuna atmosfera mistica. Don Giovanni IV lo fu, sia perché apparve direttamente al centro del sentimento sebastianista, sia perché la sua venuta coincise con la Restaurazione, con il vero Primo Avvento di don Sebastiano […]. / Sidónio, però, che senza dubbio erse alto il misticismo subcosciente della nazione, non apparve al centro del sentimento sebastianista, né in un’epoca in qualche modo mistica, né il suo arrivo coincise con qualcosa apparentemente più notevole dell’avversione nazionale nei confronti dei governi repubblicani, contro i quali reagì. Perciò l’onda mistica che Sidónio fa ergere è più considerevole di quella di don Giovanni IV» [PESSOA, 2018: 337-338 (338)].
Bibliografia di riferimento
– CRESPO, Ángel, 2014. La vita plurale di Fernando Pessoa. Nuova edizione tradotta, curata e annota da Brunello N. De Cusatis. Edizioni Bietti, Milano.
– DE CUSATIS, Brunello, 19941. Contemplazione ed attuazione – Pessoa sociologo e teorico della politica. In «Futuro Presente», n. 5 (autunno 1994): 9-21.
– DE CUSATIS, Brunello, 19942. Introduzione, in Fernando Pessoa, Scritti di sociologia e teoria politica, cit.: 9-40.
– DE CUSATIS, Brunello N., 2018. Introduzione alla prima edizione, in Fernando Pessoa, Politica e profezia. Appunti e frammenti 1910-1935, cit.: 35-46.
– PESSOA, Fernando, 1994. Scritti di sociologia e teoria politica. A cura di Brunello De Cusatis. Settimo Sigillo, Roma.
– PESSOA, Fernando, 2010. Alla memoria del Presidente-Re Sidónio Pais. Saggio introduttivo e traduzione di Brunello De Cusatis. Nuova Edizione riveduta. Edizioni dell’Urogallo, Perugia.
– PESSOA, Fernando, 2018. Politica e profezia. Appunti e frammenti 1910-1935. A cura di Brunello N. De Cusatis. Nuova edizione riveduta. Edizioni Bietti, Milano.
– QUADROS, António, 1982-1983. Poesia e filosofia do mito sebastianista. 2 voll. Guimarães & C.ª, Lisboa: I.
– VIEIRA, Padre António Vieira, 1951-54. Obras escolhidas, 12 voll. Por António Sérgio e Hernâni Cidade. Sá da Costa, Lisboa: VI, 1-66.
[Questo articolo, qui riveduto e aggiornato, è apparso per la prima volta all’interno del mio Saggio introduttivo al volume: Fernando Pessoa, Alla memoria del Presidente-Re Sidónio Pais, cit.: 9-31 (21-31).
Tutte le traduzioni dal portoghese, sia dei testi pessoani che dei riferimenti critici, sono a mia cura].