“Se Dio non esiste allora tutto è permesso”. Persino cancellare chi scrisse ciò, Fedor Dostoevskij. O, quantomeno, “studiarlo insieme a un autore ucraino” come ha fatto sapere la Bicocca allo scrittore Paolo Nori. Magari Nikolaj Gogol’, che però di Taras Bulba, del naso e del cappotto ha scritto direttamente in russo. Nori si è tirato indietro e ha fatto bene. Perché peggio della censura in sé c’è solo chi la agisce.
Quale è il Delitto per cui Dostoevskij, un uomo di pace che fu persino condannato a morte dalla grettezza degli zar, merita un Castigo tale che manco Raskolnikov? Dopo Dostoevskij a chi toccherà? A Tolstoj, grande tessitore di “mattoni” che finirono a ispirare Gandhi? A Bulgakov, cantore dell’armata bianca e pure lui ucraino russofono, oppure a quel rattuso di Nabokov che se la faceva con le lolite? Toccherà ad Aleksandr Afanasiev, il “Grimm” russo che raccolse centinaia e centinaia di fiabe, persino quelle scollacciate ed erotiche che pubblicò a parte? Isaac Babel’ è già (ingiustamente) dimenticato, eppure non c’è stato nessuno capace di raccontare Odessa, e la sua comunità ebraica, meglio di lui. Puskin, per carità, non nominatelo nemmeno; figuriamoci Lermontov, il Byron del Caucaso, che magari qualcuno definirebbe “violento” perché se ne andava facendo duelli, nell’ultimo del quale ci lasciò le penne.
Un infortunio può capitare a chiunque. La figura, però, è da Sturmtruppen. Amiken o nemiken? Semplici classici.