Nella notte fra il 23 e il 24 maggio del 1951 il filosofo Julius Evola fu arrestato dalla polizia e portato dalla sua casa di corso Vittorio Emanuele 197, a Roma, nel carcere di Regina Coeli. Evola era paraplegico a seguito di un bombardamento a Vienna, durante la guerra. Sette anni dopo era tornato a casa sua, nella capitale, dopo una lunga degenza trascorsa anche nell’ospedale della Croce rossa italiana di Bologna.
Evola era accusato di essere l’ispiratore e ideologo dei Far (Fasci d’azione rivoluzionaria) movimento clandestino di estrema destra del dopoguerra, di ispirazione neofascista. Nel panorama di varie ed effimere sigle che circolavano allora nell’estrema destra, i Far erano considerati i più radicali. Non riconoscevano il sistema politico italiano e intendevano salvaguardare e restaurare “i valori della tradizione italiana”. Furono autori, fra il 1946 e il 1951, di iniziative dimostrative (come occupare una sede Rai di Montemario a Roma e mandare in onda, alla radio, le note di “Giovinezza”), attentati dinamitardi e lancio di volantini.
Su quel movimento clandestino e sul procedimento giudiziario che seguì si è scritto più volte e non sono mancate inesattezze, contraddizioni, approssimazioni. Adesso, Guido Andrea Pautasso ha definito bene i contorni della vicenda dedicando una ricerca esaustiva sull’evento. Un libro, Il filosofo in prigione, ora pubblicato da Oaks, è davvero completo: non solo ripercorre la storia dei Far e del processo che li coinvolse, ma riporta la riproduzione dei verbali degli interrogatori degli imputati, i verbali dei dibattimenti, e una interessante rassegna stampa con tutti gli articoli usciti sulla stampa dell’epoca, utili per comprendere il clima generale ma anche come l’opinione pubblica recepì questa vicenda. Non solo: il libro è anche arricchito da una introduzone di Gianfranco de Turris, una prefazione di Sandro Forte e un ricordo di Evola scritto da Fausto Gianfranceschi, coinvolto nella vicenda in quanto militante dei Far.
Ideologo e mandante dei Far: questa l’accusa rivolta dalla Magistratura, al termine delle indagini svolte dalla polizia diretta da Federico Umberto D’Amato che negli anni Settanta diresse l’Ufficio affari riservati del Ministero dell’Interno. Evola restò detenuto nell’infermeria di Regina Coeli, su una barella, per sei mesi. Furono arrestati trentasei militanti, fra i quali Franco Dragoni, Clemente Graziani, Pino Rauti, Roberto Mieville, Francesco Petronio, Flaminio Capotondi, Enzo Erra, Biagio Bertucci.
Il dieci ottobre cominciò il processo e Evola entrò in aula, in barella, il 12. Famosa la sua deposizione e l’arringa del celebre avvocato Francesco Carnelutti. Evola fece colpo sulla Corte con i ragionamenti e con il suo evidente distacco. Una “tenuta” che fu di esempio e ammirazione per i giovani dei Far. Evola, nell’Autobiografia, richiama questa vicenda definendola “comica” e sottolineò, nell’autodifesa, che le sue idee erano tradizionali e lui le sosteneva in quanto tali non in quanto comprese nel Fascismo. Insieme a una decina di giovani Evola fu assolto per non aver commesso il fatto e tre anni dopo la Corte d’Assise ritenne di non dover procedere. E’ possibile definire questo processo a Evola il primo processo alle idee. La vicenda fu l’occasione, per un intero ambiente giovanile, di conoscere una visione tradizionale, metapolitica e spirituale.
Il filosofo in prigione. Documenti sul processo a Julius Evola, di Guido Andrea Pautasso, Oaks, pagg.287; euro 20(con premessa di Gianfranco de Turris, introduzione di Sandro Forte e testimonianza di Fausto Gianfranceschi)