Si dice che Socrate si recasse al mercato d’Atene soltanto per vedere di quanti oggetti potesse fare benissimo a meno. Il progressivo incremento delle restrizioni imposte ai non inoculati, con l’introduzione del passaporto verde per l’accesso ai pubblici esercizi, ha comportato anche a quanti ci governano l’esigenza di porsi l’eterno interrogativo su cosa è davvero indispensabile per l’uomo e cosa no. Un quesito analogo si era posto due anni fa, all’epoca del primo confinamento sociale; oggi però la stretta è divenuta ancora più rigorosa, non perché la pericolosità del virus si sia accresciuta, ma perché sulle preoccupazioni profilattiche in questa fase dell’emergenza prevale l’intento punitivo nei confronti dei refrattari al vaccino.
Bontà sua, il governo ha consentito anche a chi non dispone del passaporto verde di acquisire generi alimentari: i cosiddetti no-vax non correranno il rischio di morire di fame. Una scelta umanitaria, ma anche utile ai pro-vax: se per assurdo tutti i non inoculati perissero d’inedia e in Italia i contagi continuassero con un cento per cento di vaccinati, con quale capro espiatorio se la potrebbero prendere?
Il governo ha consentito inoltre ai refrattari al vaccino di accedere ai supermercati e in genere ai negozi in cui si vendono in prevalenza generi alimentari. In un primo tempo, era stata ventilata la possibilità di vietare loro l’acquisto al loro interno di prodotti di altro tipo, ma il primo della classe che aveva avanzato la proposta è stato smentito: non si poteva imporre alle commesse di controllare a quanti non dispongono del passaporto verde i prodotti scelti. Ne sarebbero derivati un inevitabile contenzioso e un relativo prolungamento delle code alle casse, con buona pace degli imperativi di distanziamento sociale. In questo caso il buon senso, anzi il senso comune, è prevalso, anche se questa differenziazione favorisce di fatto la grande distribuzione a spese dei piccoli esercenti.
Visto però che l’uomo non vive di solo pane, si è posto il problema di stabilire quali altri generi definire indispensabili. Qualcuno aveva proposto di escludere persino i detersivi e i prodotti per l’igiene della casa, forse con la malcelata intenzione di consentire dopo qualche giorno di riconoscere i no-vax e le loro abitazioni dal loro odore, e poterli di conseguenza discriminare meglio. La proposta per fortuna è rientrata. Ai non vaccinati è stato inoltre consentito di acquisire cibo e altri prodotti per animali e di accedere agli ambulatori veterinari: non era giusto che i cani soffrissero per le colpe dei padroni, ai quali comunque, per par condicio, viene benignamente concessa la possibilità di entrare senza tampone in farmacia.
Anche i giornali rientrano nel novero dei beni essenziali di cui è prevista la vendita, ma solo in chioschi all’aperto. Peccato che un po’ ovunque le edicole stiano scomparendo, perché l’acquisto di quotidiani e settimanali cartacei è crollato. Il risultato è che le vendite diminuiranno ulteriormente, solo in parte compensate dal ricorso al digitale: giusta punizione per una stampa che in occasione della pandemia non ha fatto sfoggio di un grande spirito critico?
Escluse, invece, le tabaccherie: è proprio il caso di dire che lo Stato sputa nel piatto in cui mangia, facendo un regalo al contrabbando. Chiusi inoltre, a chi è sprovvisto di passaporto verde, gli sportelli bancari e gli uffici postali. Al pensionato sociale che arriva a stento al 27 s’impone di spendere quindici euro per farsi un tampone e a tutti, poveri e non, si rende oneroso persino ritirare una raccomandata inesitata.
Ci sono poi nell’elenco dei generi essenziali due grandi lacune che la dicono lunga sulla gerarchia di valori dell’attuale governo. Si tratta dell’esclusione dei refrattari dalle librerie e dai fiorai. Che la cultura non sia considerata un bene primario, specie per chi è condannato al confinamento sociale, lascia sbigottiti: non si nega la lettura di un libro nemmeno a un ergastolano pluriomicida. Si potrà obiettare che i libri potranno essere comunque acquistati nei supermercati oppure on line. È vero, ma non in tutte le località ci sono superstore e soprattutto le persone più anziane non hanno molta dimestichezza con gli acquisti digitali. In ogni caso, la chiusura delle librerie a una fascia di pubblico non priva d’interessi culturali costituisce un ennesimo favore al business delle vendite a domicilio. Bezos, ancora una volta, ringrazia.
La chiusura dei fiorai ai refrattari al vaccino può sembrare meno grave, e senza dubbio lo è. Ma a mio giudizio presenta un alto valore simbolico, che si accompagna all’assenza di motivazioni profilattiche (semmai si sarebbero dovuti interdire i mercatini degli ambulanti, dove tutti si accalcano a “ciacciare” la merce). Chiudere ai cosiddetti no-vax i chioschi, sempre meno numerosi, vuol dire negare ai reprobi la possibilità di ingentilire un compleanno, un anniversario, una ricorrenza, o magari di non presentarsi a mani vuote a un invito a cena. Poco male, rispetto ad altre preclusioni, ma fino a un certo punto. L’important c’est la rose, cantava quando ero un ragazzino Gilbert Bécaud. Ma evidentemente questo governo ai refrattari al vaccino riserva solo le spine.