Di certo, il luogo che più di qualunque altro esercita in Ruy Cinatti tale forma di attrazione è quello rappresentato dall’isola. Di primo acchito, la preferenza di un luogo come l’isola che è – anche se non solo – un simbolo di isolamento e solitudine, quando non proprio di annichilimento, potrebbe essere visto come una contraddizione, laddove si era detto che in Cinatti una costante della sua poesia è il desiderio di comunicare. Tuttavia, l’equazione simbolica isola=isolamento=solitudine è un’equazione “psicoanalitica” che in Ruy Cinatti non funziona. Difatti, nel suo inconscio l’isola è percepita come un simbolo positivo e non negativo. A ben vedere, l’isola per Cinatti rappresenta soprattutto quell’isola felice che nella maggioranza degli autori classici simboleggiava il Paradiso terrestre o, ancora, quella “terra dei viventi”, quel luogo lontano costituente il punto d’arrivo della peregrinatio marittima medievale. Oltretutto, c’è da dire che lo spazio insulare è simbolo di felicità anche per quasi tutte le religioni o dottrine orientali. Si pensi, ad esempio, all’induismo, che parla di un’isola “essenziale”, dorata e rotonda, le cui coste sono cosparse di “gioie” polverizzate, e da qui il termine di “isola delle gemme”.
Possiamo inoltre ipotizzare che ogni isola, con le sue «edeniche freschezze», simboleggi per Cinatti anche «la memoria di un tempo che fu e la promessa di una serenità solo possibile in una utopistica previsione del futuro» [AMARAL, 1992: 20]. Ne è una conferma questa splendida poesia, priva di titolo e facente parte della prima raccolta pubblicata da Cinatti, Nós não somos deste Mundo (1941):
«Soave, dolce, languida isola / Aperta come un fiore nella distanza del mare, / Prolunga un poco la verginale bellezza, / Ascolta, aspetta!… la mia anima sospesa / In te respira – corolla del mare. // Verde incandescente, meraviglia / Liquida, ritmo, sorgente. / Mi son giunte melodie infinite / Dalle onde. E gli alberi si sono esaltati; / Son sorte montagne di allegria totale. // Le mie labbra hanno cantato silenzi sonori, / Mattine dal sapore pieno e dal piacere eterno; / La mia anima attraversava lo spazio immenso / Avvolta in un sole di lacrime, Ah!, tenero / Sogno di un cammino amato. // Soave, dolce, languida isola / Di trasparenze improvvise: cristallo / Dove per sempre sei rimasta, adolescenza! / …………………….. / Un giorno ti avrò con tale violenza, / Tumulo di quel che nella mia anima vi è di immortale!» [CINATTI, 2016: 45-144 (81-94 [69])].
Tutto ciò suggerisce un’altra considerazione: l’amore profondo che Ruy Cinatti nutre per la Natura. Difatti, uno dei principali cardini della sua poesia è la copresenza di Anima e Natura, le quali «mutuamente si corrispondono e si compenetrano» [AMARAL: 1992: 20]. Ne è una dimostrazione la particolare sensazione – una sensazione di rigenerazione intima e psicologica nonché di euforia – in lui generata da tutti gli “esseri” animali e vegetali che compongono appunto il panorama variegato della Natura. Una Natura, peraltro, che Cinatti identifica con la religiosità, e a tal punto da determinare una stretta simbiosi tra cristianesimo e animismo o, diversamente detto, una sorta di comunione universale (4).
Orbene, se non tutti, molti di questi aspetti caratterizzanti la poesia cinattiana li ritroviamo nei versi, quelli giovanili in particolare, di Sophia de Mello Breyner Andresen.
È il caso, ad esempio, dell’attenzione particolare verso le “cose” circostanti, in possesso tali “cose” di quello stesso quid che caratterizza in modo molto marcato la poesia cinattiana. Ovvero, un essere vivo, reale che anche Sophia, una volta messa di fronte a tale quid, riesce a trasfigurare in un linguaggio il cui alto compito è l’esprimere personali sensazioni e sentimenti. Sicché, la poesia breyneriana risulta essere tanto tradizionale quanto quella cinattiana. Pur se quella di Sophia è una poesia più classica. Lo è nei due significati che di solito si suole dare al termine “classico”:
a) “poesia classica” poiché si relaziona con la civiltà greco-romana, nonché con le sue varie “rinascite” nel corso della storia, quale la poesia rinascimentale e, in particolare, quella camoniana (5);
b) “poesia classica” poiché nei versi breyneriani vi è la presenza di qualcosa che si sottrae alle variabili epocali del gusto, persistendo indipendentemente dai cambiamenti e dalle innovazioni occorrenti nella contemporaneità.
In tal senso, vale per Sophia, forse più che per Cinatti, il motto che connotava i «Cadernos»: la «Poesia è solo una!». Ossia, diversamente detto, che le coordinate poetiche, dai primordi fino ai nostri giorni, in fondo sono rimaste invariate!
Faccio notare come nel parlare di modernità in senso lato, letterario e artistico, si sia soliti appuntare come sue caratteristiche la rottura e l’innovazione rispetto al passato. Allorquando ciò accade è evidente come tutto quel che è o è stato ritenuto classico tenda a essere sopraffatto. Se è questa la conclusione, allora la poesia breyneriana è da intendersi come una poesia anti-moderna.
Baudelaire diceva che le caratteristiche della modernità sono «il transitorio, il fugace, il contingente». Ebbene, tali caratteristiche, senz’ombra di dubbio, sono da Sophia – come, del resto, lo sono anche da parte di Cinatti – ritenute altamente negative, poiché responsabili della degradazione del rapporto dell’uomo con le “cose” naturali che lo circondano e, di conseguenza, anche con i suoi simili. Degradazione che peraltro ancor più si amplifica a causa dell’avanzamento forsennato del progresso e dello sviluppo vertiginoso della tecnica.
Allora come può essere contrastata tale degradazione, tale eccesso di modernità? Ripudiando la città, in quanto luogo dove tutti gli aspetti della vita tendono a essere abbordati con una logica mercantilistica! Un ripudio costante da parte di Sophia questo della città, a volte sottinteso altre esplicito. Si veda in tal senso, tra le tante, la poesia Cidade, facente parte della raccolta Poesia (1944), e che così recita:
«Città, rumore e viavai senza pace delle strade, / Oh vita sporca, ostile, inutilmente spesa, / Sapere che esistono il mare e le spiagge nude, / Montagne senza nome e pianure più vaste / Del più vasto desiderio, / E io sono in te chiusa e solo vedo / Le mura e le pareti, e non vedo / Né l’ingrossarsi del mare, né il cambio delle lune. // Sapere che prendi in te la mia vita / E che ti trascini attraverso l’ombra delle pareti / La mia anima che era stata promessa / Alle bianche onde e alle foreste verdi.» [ANDRESEN, 2018: 57-120 (74)].
Bellissimi e significativi versi che di certo risentono della “lezione” cinattiana, di tutte quelle poesie in cui Ruy Cinatti, riferendosi al tempo frammentato della città, mette a confronto appunto lo spazio urbano, per nulla a lui congeniale, e quello da lui amato, fatto di distese di mare, isole, atmosfere leggiadre e paradisiache.
La degradazione e l’eccesso di modernità, tuttavia, possono essere contrastati, combattuti anche e soprattutto, secondo Sophia, e al pari dell’opinione di Ruy Cinatti, con la costante attenzione al passato e il ricorso alla memoria, in una parola, con il “rammentare”, inteso come momento positivo, come fuga dall’effimero e dal “delirio” quotidiano. Conseguentemente, la Poesia diventa puro equilibrio tra il tempo personale e singolare del poeta – quindi, la realtà quotidiana – e il tempo eterno e mitico dell’origine. Si assiste, così, al ritorno a un tempo anteriore al «tempo diviso», espressione utilizzata dalla stessa Sophia e che dà il titolo a una delle sue raccolte più riuscite, No Tempo Dividido, pubblicata in prima edizione nel 1954 [cfr. IDEM: 307-350]. Quel tempo archetipo e primordiale che risulta essere uno dei fondamenti dell’intera opera poetica breyneriana, con la costante ricerca in esso di un nuovo legame dell’essere, ovvero, di un’alleanza tra l’Uomo e la Natura.
Esistono, tuttavia, ulteriori echi di Ruy Cinatti nell’opera poetica di Sophia. È il caso del rigore morale, avvertito come sostrato di una tradizione la quale fa sì che la poesia breyneriana, al pari di quella cinattiana, non sia semplice “luccichio di immagini” o “vibrazione di suoni”, ma insegnamento e incitamento al più dignitoso comportamento umano, già presente nei più alti intelletti della classicità ed esaltato dalla componente divina. Sicché, in fondo, la poesia di Sophia è intimamente religiosa. Lo dimostra la presenza e la vibrazione in essa, seppur non sempre evidenziata da un particolare credo, del desiderio di un Dio che si rivela nelle “cose”, dell’anelito di un “Assente” fortemente cercato e desiderato. È il caso, tra le varie, di queste due bellissime poesie – la prima priva di titolo – appartenenti alla raccolta Mar Novo (1958):
«Signore se dalla tua pura giustizia / Nascono i mostri che attorno a me vedo / È perché qualcuno ti ha sopraffatto o ha deviato / Non so in quale penombra i tuoi cammini // Son stati forse gli angeli ribelli / Molto tempo prima che io arrivassi / Già la tua opera si era divisa // E invano io cerco il tuo aspetto antico / Sei sempre un dio che non ha mai un volto // Per quanto io ti chiami e ti rincorra.» [IDEM: 351-410 (357)].
«ASSENZA // In un deserto senz’acqua / In una Notte senza luna / In un paese senza nome / O in una terra spoglia // Per quanto grande sia la disperazione / Nessuna assenza è più profonda della tua.» [IDEM, IBIDEM: 373].
Sempre alla “lezione” cinattiana si deve in massima parte l’intimo desiderio di Sophia di partire alla ricerca di un luogo assoluto, intravisto nelle immagini di una Natura splendente e incontaminata. In tal senso, Coral, pubblicata in prima edizione nel 1950, è forse la raccolta poetica breyneriana in cui – come riferisce Maria Andresen Sousa Tavares – è maggiormente presente l’eco del Ruy Cinatti «poeta viandante», del «grande poeta dell’erranza, geografica e poetica» [cfr. TAVARES, 2015: 7-51 (17)]. Lo attestano i versi di questa splendida poesia, priva di titolo:
«Le nostre dita hanno aperto mani chiuse / Piene di profumo / Siam partiti all’avventura attraverso voci e gesti / Abbiamo presentito passioni come paesaggi / E ogni corpo era un cammino / Ma uno è emerso prendendosi tutto / Con le ali gocciolanti dalle sue braccia. // Foresta, paludi e fiumi, / Abbiamo viaggiato immobili ricurvi, / Mentre il cielo brillava alle finestre. // E la città è salpata come una nave / Attraverso la notte.» [ANDRESEN, 2018: 213-305 (220)].
Concludo riportando alcune significative e riassuntive, a un tempo, affermazioni su Ruy Cinatti espresse da Sophia in occasione di una conferenza tenuta all’Università di Perugia nella primavera del 1992 – da me trascritta in portoghese, tradotta in italiano, e successivamente pubblicata negli «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia»:
«Il tema di questa mia conferenza è la relazione tra la poesia e la vita. / In nessun altro tale relazione era così presente come in Ruy Cinatti. / Quando, durante la mia adolescenza lo conobbi, egli era per me, e per un piccolo gruppo di persone molto giovani, il poeta mitico. Portava in mezzo a noi turbamento e stupefazione. / Da lui aspettavamo che ci rivelasse, più che la verità intellettuale, la verità spirituale e il cammino della vita. Era il nostro guru. / Chi vi assistette non dimenticherà mai quei pomeriggi primaverili, all’imbrunire, in cui Ruy Cinatti, in equilibrio sul bordo della vasca, recitava al sole e alla brezza poesie di Pessoa e di Ezra Pound. / Egli era l’araldo di tutte le modernità. / Ma era anche un uomo con una coscienza acuta del passato e della diversità delle culture. Parlava dei profeti biblici come se li avesse conosciuti e dei saggi orientali come se fossero stati suoi maestri, personalmente ascoltati. / Forse l’unica maniera di definire Ruy Cinatti è quella di dire che egli cercava, in tutto, il cammino sacro per la vita. / Era cattolico, e la sua fede era legata alla sua avventura poetica, al suo lavoro e all’erranza della sua vita. / Ciò che lo rendeva una persona particolare era il fatto di essere la sua presenza come persona della stessa natura delle poesie che scriveva.» [IDEM, 1992/1993: 85-95 (92)].
Note
(4) Il riferimento, quanto alla poesia di Cinatti, all’animismo è più che giustificato, in considerazione del forte legame da lui avuto con le ex colonie portoghesi e i loro abitanti. Senza dimenticare come sia stato quello di Timor il territorio ex coloniale che maggiormente ha contrassegnato non solo la sua poesia ma anche la stessa sua esistenza, avendovi vissuto alcuni anni, sebbene a fasi alterne, tra il 1946 e il 1966, e dove, peraltro, celebrò con i capi di due importanti famiglie indigene un patto di sangue, diventando praticamente da allora, e secondo la legge ancestrale degli abitanti isolani, un timorense a tutti gli effetti.
(5) A proposito di civiltà greco-romana, non si dimentichi il grande legame avuto da Sophia con l’Italia e, soprattutto, con la Grecia, mete di molti suoi viaggi.
(Fine)
Bibliografia di riferimento
– AMARAL, Fernando Pinto do, 1992. Prefácio, in: Ruy Cinatti, Obra Poética. Organização e prefácio de Fernando Pinto do Amaral. Imprensa Nacional-Casa da Moeda, Lisboa: 13-24.
– ANDRESEN, Sophia de Mello Breyner, 1992/1993. Tre poeti del nostro tempo: scrittura e vita. Traduzione dal portoghese e nota biobibliografica a cura di B. De Cusatis, Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia. 3. Studi Linguistici, nuova serie XVI, pp. 85-95.
– ANDRESEN, Sophia de Mello Breyner, 2015 (ristampa 2018). Obra Poética, prefácio de Maria Andresen Sousa Tavares. Assírio & Alvim/Porto Editora, Lisboa/Porto.
– CINATTI, Ruy ,2016. Obra Poética. Volume I, prefácio de Joana Matos Frias. Assírio & Alvim/Porto Editora, Lisboa/Porto.
– STILWELL, Peter, 1995. A condição Humana em Ruy Cinatti. Editorial Presença, Lisboa.
– TAVARES, Maria Andresen Sousa Tavares, 2015. Prefácio. Contributo para uma Biografia Poética, in: Andresen, Sophia de Mello Breyner, 2015 (ristampa 2018), cit.: 7-51.
[La prima versione di questo articolo – qui rivisto, attualizzato e suddiviso in due parti – è apparsa nel volume «Em Redor da Suspensão». Atti del Convegno internazionale per il centenario della nascita di Sophia de Mello Breyner Andresen (12 giugno 2019, Biblioteca Nazionale Centrale, Roma). A cura di Federico Bertolazzi, Chiara Mancini, Claudio Trognoni. UniversItalia, Roma 2021: 55-70.
Tutte le traduzioni dei testi dal portoghese, sia in prosa che in versi, sono a mia cura].