Ruy Cinatti e Sophia de Mello Breyner Andresen appartengono entrambi a quella generazione di poeti portoghesi, molto eterogena, la quale, successiva alla generazione avanguardista, e in opposizione al Neorealismo, si appellerà fondamentalmente all’autonomia dell’Arte.
L’eterogeneità di questo gruppo di poeti deve tutto, o quasi tutto, all’ecclettismo che caratterizzò una delle più importanti e significative riviste portoghesi degli anni ’40 e ’50. Ovvero, a «Cadernos de Poesia», fondata nel 1940 da Ruy Cinatti, Tomás Kim, José Blanc de Portugal e João Cabral do Nascimento (1), e alla cui linea di certo sarebbe stato Cinatti a mantenersi maggiormente fedele lungo le sue tre serie fino al 1953, allorquando avrebbe cessato le pubblicazioni.
Ricordo che la selezione dei testi da pubblicare nei «Cadernos de Poesia» doveva obbedire a una regola di qualità, con il rifiuto – come del resto recitava il suo manifesto redatto dallo stesso Cinatti – di «qualunque poesia o saggio in cui [la preoccupazione di propaganda a fini politici] distrugga l’arte poetica» [cit. in STILWELL, 1995: 50-51]. Inoltre, ritenendo che la «Poesia è solo una!», si doveva tenere conto della Poesia in quanto tale «e non delle forme in cui i poeti si esprimono» [cit. in IDEM: 51]. In sostanza, all’allora crescente faziosità politico-ideologica, che comportava la “scomunica” mutua nel mondo della letteratura epocale in Portogallo, e quindi, di conseguenza, in una pericolosa ottica di «visione unilaterale del fenomeno poetico», i «Cadernos de Poesia» avrebbero contrapposto «una visione totale dello stesso fenomeno», una «universalità non programmata» [cit. in IDEM].
Va da sé che la piattaforma di associazione dei «Cadernos» era più che altro etica e non estetica. Il che consentiva di dare spazio a più voci, spesso contrastanti, non solo sul piano poetico, ma anche su quello delle idee.
Proprio in virtù di questa loro eterogeneità e del motto che li connotava, la «Poesia è solo una!», Sophia avrebbe collaborato ai «Cadernos». Più precisamente, proprio nella prima serie della rivista (1940-42) avrebbe avuto il suo “battesimo poetico”.
Alla luce, tuttavia, del tema di questo mio articolo, ciò che maggiormente interessa sottolineare è come l’esistenza di tale collaborazione sia una conferma di quello straordinario rapporto di amicizia instauratosi tra Sophia e Cinatti, per poi cementarsi viepiù nel corso degli anni. A tal punto che, senza alcuna soluzione di continuità, sarebbe durato fino al 12 ottobre 1986, giorno della morte di Ruy Cinatti. Da questa profonda e fraterna amicizia – estesasi all’intera famiglia di Sophia, ai suoi figli, sempre estasiati dalle esperienze e storie che Cinatti era solito raccontare a casa loro ogni qualvolta rientrava dai suoi viaggi in Africa e in Oriente, soprattutto a Timor – discende, com’è ovvio, la marcata presenza di Ruy Cinatti nella poesia breyneriana, in particolare con riferimento alle prime tre raccolte poetiche di Sophia, ovvero, Poesia (1944), Dio do Mar (1947) e Coral (1950). Tre raccolte caratterizzate dalla nostalgia, da un desiderio di ritorno alla Natura e dalla quasi totale assenza di una problematica sociale. Quella stessa problematica sociale che, al contrario – e sotto forma di un’attenzione maggiore nei confronti sia della storia, passata e coeva, che delle relazioni umane –, rappresenterà uno degli aspetti principali delle raccolte successive.
Prima di entrare nel merito delle influenze cinattiane nella poesia di Sophia, quella giovanile soprattutto, occorrerebbe soffermarsi sulle vicende più importanti della vita di Cinatti nonché sulle coordinate della sua poetica. Il farlo in questa sede, tuttavia, risulta impossibile per ragioni di spazio. Cosicché, mi limiterò a esporre l’essenziale.
Probabilmente una delle caratteristiche che rende la Poesia immortale, facendone un qualcosa, a un tempo, di duraturo e misterioso, è la relazione indissolubile che essa contiene tra l’effimero e l’eterno. Due condizioni solo apparentemente contrastanti, considerando che possono coesistere alla presenza di un contenuto spirituale, laddove la realtà, la vita, le esperienze sono motivo di ispirazione, sogno, illusione, idealizzazione, in una parola, alla presenza, per l’appunto, della Poesia.
Ciò significa che la realtà effimera poeticizzata è solo un mezzo per raggiungere mete più sublimi. Una prospettiva, questa, per molti versi tradizionale e che si rifà, a ben vedere, al Romanticismo. Per quanto concerne Ruy Cinatti, la sua poesia fondamentalmente si situa in tale prospettiva tradizionale. Per lui, così come per i romantici, il poeta è prima di tutto colui il quale riesce a captare un quid, un qualcosa dell’essere, dell’esistere delle “cose” – quindi, della realtà effimera che circonda l’uomo –, per poi trasfiguralo in un linguaggio tanto più singolare quanto maggiormente capace di esprimere le sensazioni del poeta stesso, i suoi sentimenti di fronte a questo quid. Così facendo, Cinatti riesce a far coesistere nei suoi versi – e, di riflesso, nel suo animo – l’attenzione al reale e l’originalità delle forme poetiche che questa stessa attenzione produce. Ciò ha fatto sì che la sua poesia si distinguesse da quella degli altri poeti portoghesi suoi contemporanei. Talmente distinta e diversa che Cinatti stesso non si riconobbe mai in una tendenza o corrente estetica, propriamente detta. Una indipendenza poetica che è ben rappresentata da un titolo di una sua poesia facente parte della raccolta Conversa de rotina (1973), e che recita: Contra os monopólios poéticos e outros [CINATTI, 2016: 745-814 (804-811].
C’è anche da dire come l’accettazione, tanto tra i media quanto tra il pubblico, della poesia cinattiana abbia incontrato sempre delle difficoltà. Ruy Cinatti – occorre ricordarlo – non è un poeta tra i più famosi e letti in Portogallo, e per varie ragioni, non solo letterarie.
Tra le ragioni extra letterarie, vi è, ad esempio, quella dello scarso interesse da parte dello stesso Cinatti a pubblicizzare la sua opera letteraria, non tutta da lui pubblicata (2). Difatti, pur essendo un poeta molto prolifico, vi è una parte della sua poesia che permane ancora oggi inedita, in quanto dispersa in fogli sciolti – manoscritti, dattiloscritti o fotocopiati – che il poeta amava distribuire, in particolare negli ultimi anni di vita, ai suoi amici e conoscenti. Inoltre, i suoi libri erano sempre stampati da piccole case editrici o in edizioni da lui stesso finanziate, il che di certo non favoriva la circolazione su larga scala del suo nome e dei suoi versi.
A questo aggiungasi anche il rifiuto, più volte da lui espresso, di integrarsi in gruppi schierati politicamente, sia a favore che contro il regime dittatoriale. Ruy Cinatti era più che altro un moderato, un conservatore, non asservito, però, al regime salazarista, nonostante nel corso del 1939 avesse collaborato a «O Jornal da Mocidade Portuguesa», periodico dei giovani salazaristi, con «sei testi di valore ineguale» [cfr. STILWELL, 1995: 47-49 (47)].
Vi sono, però, anche ragioni squisitamente letterarie, stilistiche che hanno reso difficile l’accettazione della sua poesia. Il suo tipo di composizione non rientrava nei modelli ai quali, per così dire, il gusto lirico nazionale si era abituato. Spesso, Ruy Cinatti propende per una sintassi poco fluida, un ritmo un po’ ellittico, ossia, omissivo di certe ritmiche alle quali i poeti solitamente si attengono. La perizia, la perfezione formale non gli interessava – «non sono un maestro d’officina», recita un suo verso –, preferendo, piuttosto che la forma, salvaguardare la fedeltà all’impulso iniziale, all’ispirazione. Tale suo scarso interesse per l’aspetto formale del verso, tuttavia, non vuol dire mancanza di talento. È soltanto un’opzione – se si vuole, anche discutibile – che a ogni artista si deve concedere. Potremmo definire la poesia di Cinatti una poesia stilisticamente “ribelle”; ma, appunto per questo, originale nel panorama poetico portoghese contemporaneo. Direi che i momenti migliori, più sublimi della poesia cinattiana si riscontrano allorquando il poeta ricorre alla diversità dei campi semantici, agli effetti-sorpresa generati da repentine interruzioni o cambiamenti di direzione. Ma anche in quei momenti in cui fa coesistere un lessico palesemente prosaico, quotidiano e familiare – non di rado con il ricorso al discorso diretto – e un lessico fatto, a un tempo, di parole erudite ed esotiche, e il cui significato, quando non proprio ambiguo, è simbolico, metaforico, e, quindi, di termini a volte difficili da interpretare anche per un lettore di vasta cultura.
Al di là, però, di queste considerazioni di carattere lessicale e stilistico, che possono portare qualcuno a ritenere “ostica” la poesia di Ruy Cinatti, si deve riconoscere come i suoi versi siano di una bellezza straordinaria, almeno quanto a rappresentazione di immagini e sensazioni che il poeta crea sublimando una realtà effimera. È una realtà, quella poeticizzata da Cinatti, strettamente legata alla sua stessa vita, avventurosa e varia.
Il “nomadismo”, ecco quale è la condizione esistenziale di cui principalmente è impregnata la poesia cinattiana. “Nomadismo” nell’accezione più ampia ed elevata del termine, che implica, non solo semplice spostamento fisico, ma un qualcosa di più profondo e duraturo. Alla maniera, per intenderci, del maggior “nomade” della letteratura contemporanea, lo scrittore inglese Bruce Chatwin, uno dei miti degli anni settanta e ottanta, viaggiatore instancabile e dalle cui esperienze di viaggio in Africa, Oriente e Sudamerica sono nati splendidi libri, veri e propri best-seller, quali In Patagonia (1977) e On The Block Hill (1982). Impareggiabile cantore del “nomadismo”, occorre non dimenticare come per suo tramite Chatwin abbia avuto modo di ribadire, a ciascuno di noi, la necessità di fare del viaggio lo strumento privilegiato per ritrovare, nel contatto con le altre culture e civiltà, la radice del proprio essere, la risposta al disagio esistenziale indotto dalla moderna civilizzazione di massa, nella convinzione che solo “perdendosi” è oggi possibile “ritrovarsi”, dare nuova linfa alla nostra insopprimibile ansia di radicamento.
Ritornando al “nomadismo” di Ruy Cinatti, ricordo come la raccolta, ritenuta dalla critica se non la migliore in assoluto, di certo tra le più riuscite e significative dell’intera sua produzione poetica, porti il titolo di O Livro do Nómada meu Amigo, pubblicata in prima edizione nel 1958, seguita da altre due edizioni, entrambe ampliate, quelle del 1966 e del 1981 (3). Ebbene, questo «nomade, mio amico» altro non è che la voce della coscienza del poeta stesso, un alter ego, un «compagno inseparabile». Una lettura, questa, che viene confermata sempre da Cinatti in un Comentário disponível inserito in appendice nella raccolta Sete Septetos del 1967: «La poesia è l’autobiografia del poeta o del nomade in scala di partenza: il suo cantico» [cfr. CINATTI, 2016: 287-352 (349-351 [351])]. Quindi, possiamo intendere il “nomade” riferito da Cinatti come una «immagine irreale in cui il [suo] cuore trovava ospitalità», e che mette in risalto la dicotomia tra «l’Idea eterna del divino», che lo attraeva, e l’«io tanto debole, tanto codardo, tanto facilmente abituato all’inferiorità dell’argilla dove la [sua] anima persiste nell’abitare…» [cit. in STILWELL, 1995: 238].
Alla base del “nomadismo” cinattiano vi è anche il desiderio di comunicare. Cosicché, a contatto con l’infinita diversità del mondo e riconoscendola, la Poesia – come Cinatti la intende – deve, da un lato, viaggiare al sapore dei ricordi e, dall’altro, deve ricercare il momento magico della partenza, con rotta verso un luogo vago e distante.
In Cinatti, non di rado tale invito o impulso al viaggio diventa irresistibile grazie soprattutto alla memoria. Memoria che si accompagna anche all’immaginazione, poiché la poesia cinattiana, pur essendo una poesia “biografica”, non per questo si ancora perennemente alla realtà o al solo visibile: la realtà altro non è che un mezzo, necessario per approdare a qualcosa che travalichi l’effimero, il momentaneo, il finito.
Di conseguenza, proprio il desiderio impulsivo da parte del poeta di viaggiare, non solo fisicamente, ma anche con la memoria, sviluppa in lui una forte immaginazione che lo porta «a idealizzare alcuni luoghi la cui straordinaria bellezza lo seduce in maniera particolare» [AMARAL, 1992: 20].
Note
(1) I quattro, nel fondare questa rivista, avevano come metro di paragone i «quaderni di poesia inglese, in particolare “New Verses”», periodico inglese venuto alla luce nel 1933 per merito di Edward Hardy Grigson e il cui intento principe era quello di dare a conoscere i giovani poeti contemporanei [cfr. STILWELL, 1995: 50 e nota corrispondente].
(2) Parlo specificatamente di opera letteraria, poiché esiste anche una sua opera scientifica, edita in maggioranza su riviste internazionali, nell’ambito sia delle scienze antropologiche che della fitogeografia, ossia, quella parte della biogeografia che studia le cause ambientali e climatiche dei vegetali e, quindi, della loro distribuzione sulla superfice terrestre. Ricordo come Cinatti oltre che essere laureato in Agronomia, avesse studiato, in Inghilterra, Etnologia e Antropologia [cfr. IDEM: 47-49 (47).
(3) Ricordo come questa raccolta si apra con una bellissima e significativa poesia di Sophia: «PER RUY CINATTI / ASSENTE A TIMOR E ALTROVE / DOPO CINQUE ANNI SENZA NOTIZIE // Colui che se n’è andato / Precedendo i propri passi come un giovane morto / Ci ha lasciato la speranza. // Non è rimasto con noi /Per distruggere con amare mani il suo stesso volto. / Intatta è la sua assenza / Come la statua di um dio / Risparmiata dagli invasori di una città in rovina. / Non è rimasto ad assistere / Alla morte della verità e alla vittoria del tempo. / Che lontano, / Sulla più lontana spiaggia, / Dove v’è solo schiuma, sale e vento, / Lui si perda, dopo aver agito / Secondo la legge del suo proprio pensiero. // E che nessuno ripeta il suo nome proibito. // Gennaio 1956 // Sophia de Mello Breyner Andresen» [CINATTI, 2016: 225-286 (227)].
(continua)
Bibliografia di riferimento
– AMARAL, Fernando Pinto do, 1992. Prefácio, in: Ruy Cinatti, Obra Poética. Organização e prefácio de Fernando Pinto do Amaral. Imprensa Nacional-Casa da Moeda, Lisboa: 13-24.
– ANDRESEN, Sophia de Mello Breyner, 1992/1993. Tre poeti del nostro tempo: scrittura e vita. Traduzione dal portoghese e nota biobibliografica a cura di B. De Cusatis, Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia. 3. Studi Linguistici, nuova serie XVI, pp. 85-95.
– ANDRESEN, Sophia de Mello Breyner, 2015 (ristampa 2018). Obra Poética, prefácio de Maria Andresen Sousa Tavares. Assírio & Alvim/Porto Editora, Lisboa/Porto.
– CINATTI, Ruy ,2016. Obra Poética. Volume I, prefácio de Joana Matos Frias. Assírio & Alvim/Porto Editora, Lisboa/Porto.
– STILWELL, Peter, 1995. A condição Humana em Ruy Cinatti. Editorial Presença, Lisboa.
– TAVARES, Maria Andresen Sousa Tavares, 2015. Prefácio. Contributo para uma Biografia Poética, in: Andresen, Sophia de Mello Breyner, 2015 (ristampa 2018), cit.: 7-51.
[La prima versione di questo articolo – qui rivisto, attualizzato e suddiviso in due parti – è apparsa nel volume «Em Redor da Suspensão». Atti del Convegno internazionale per il centenario della nascita di Sophia de Mello Breyner Andresen (12 giugno 2019, Biblioteca Nazionale Centrale, Roma). A cura di Federico Bertolazzi, Chiara Mancini, Claudio Trognoni. UniversItalia, Roma 2021: 55-70.
Tutte le traduzioni dei testi dal portoghese, sia in prosa che in versi, sono a mia cura].