
Mi guardavo intorno, tutti mi sorridevano e leccavo il gelato mentre un rivolo di crema scendeva sulle dita che serravano il cono. Mi guardavano con simpatia e curiosità. Una signora che chiamavano Milena, con il caschetto nero e gli occhiali con la montatura in osso, mi faceva domande, quelle che si fanno sempre ai bambini: quanti anni hai, come ti chiami, vai a scuola, che classe frequenti, che vuoi fare da grande e così via.
Le stesse domande ogni volta. Ebbene: sono Galli Albertino, anni sei, classe I D della scuola elementare “Giuseppe Mazzini” di Milano. Veramente ho fatto la prima classe metà con i compagni e la maestra, l’altra metà con il computer perché c’era il Coronavirus e non si poteva uscire di casa. E’ stato difficile seguire le lezioni. Per me e per mamma. Una sera ho sentito che lei si lamentava con un’amica e diceva: “Sto 24 ore su 24 con mio figlio, con i suoi malumori, le sue paure per la scuola, per le interrogazioni, le lezioni, i compiti on line… bisogna scannerizzare e inviare i compiti in video cambiando la risoluzione della fotocamera, sennò non riusciamo a inviare, … è venuta bene, no dobbiamo rifarla, l’abbiamo mandata ma la maestra non l’ha ricevuta e sollecita l’invio, accidenti, abbiamo cancellato il compito…Rifacciamo tutto”. Io un po’ mi divertivo ma poi mi scocciavo.
Sono stato promosso e ora sono qui, con questo gelato in mano, in un negozio di fotografia, in un paese che si chiama Putignano, vicino Bari, e mi sta portando in giro Giuseppe, il signor Giuseppe, zio Giuseppe o nonno Giuseppe, insomma non so bene come chiamarlo ma è un parente. Deve essere forse un parente. Io veramente non ho capito come si diventa parenti. Giuseppe qui conosce tutti, saluta tutti, con i suoi grandi occhi chiari, i baffoni bianchi inarcati all’insù da un sorriso stampato, è un po’ grosso, e va in giro tenendomi per mano. Mi mostra a tutti come se fossi il nipotino, mi presenta e dice: “E’ Albertino”. E mi chiedono che classe frequento, se vado a scuola e così via. Non chiedono altro. Noi, invece, a Milano non conosciamo tutti quelli che vanno per strada, che prendono la metro, che incontriamo nei giardini.
Ma questo Giuseppe è simpatico e mi regala cornetti e gelati. Ma devo capire chi è. Per me è difficile capire chi sono i parenti. Mamma so che è una parente. Papà pure. Ma il mio papà, adesso, non è più tanto parente. Cioè, io avevo una mamma e un papà, i miei. Poi due anni fa papà ha detto che c’era la crisi con mamma e d’accordo con lei si sono lasciati e lui è andato via. All’inizio piangevo la sera quando andavo a letto. Mamma diceva che non dovevo piangere solo perché non lo vedevo spesso. Poi la malinconia è passata. Ora ogni tanto vedo papà. Mi porta a cinema e a mangiare la pizza una volta a settimana. Un po’ mi scoccia fare sempre le stesse cose. A volte, il sabato c’è una festa di qualche amichetto ma non ci posso andare perché devo uscire con papà. Dice che non è possibile cambiare giorno. Mamma è rimasta con me ma da un anno ha trovato un fidanzato. Si chiama Walter e lei mi ha detto che non è parente, ma è come se lo fosse perché dice che i figli sono di chi li cresce. Però non capisco perché mi dice che il mio vero papà anche se non mi cresce è comunque mio parente. Forse perché, come mi ha spiegato lui, ogni mese passa dei soldi a mamma per crescermi…
Walter mi tratta bene e da alcuni mesi vive a casa nostra e giacchè anche lui aveva una moglie una volta, ha avuto anche una figlia, Marta, che ha due anni meno di me ed è venuta a vivere anche lei con noi. Non stiamo nella stessa cameretta ma andiamo d’accordo. Mamma mi ha detto che è come una sorellina, quindi una parente, ma papà sabato scorso in pizzeria mi ha detto che non è parente: è come un’estranea. So che Marta non vede mai la sua mamma perché lei fa la volontaria in Africa per aiutare e far compagnia ai bambini piccoli senza genitori. L’ultima volta che Marta l’ha vista è stato due anni fa.
Ma questo Giuseppe, che non so come chiamare, è il papà di Walter, che è il fidanzato di mamma, e nonno di Marta. E’ un uomo che va sempre in chiesa, a Messa, e dicono che quando il figlio si separò dalla moglie gli dispiacque tanto e diceva che era “peccato”. Mamma invece dice che lasciarsi è un fatto buono se non si va d’accordo ma del peccato non mi ha detto niente. Che fosse una fissazione di Giuseppe?
Però so che i parenti sono tanti e non si conoscono neppure sempre fra di loro. Così deve essere. Una volta, quando papà e mamma si erano già lasciati, tornai a casa in anticipo. Avevo giocato con Mirko, un mio amichetto che abita al piano di sopra, e non scesi dopo la fine dei cartoni animati, come facevo di solito, ma prima. Suonai alla porta ma nessuno rispose. Dopo tanto venne mamma ad aprire ed era un po’ spettinata e un po’ in disordine. Strano, mamma è sempre così compita. Dietro di lei c’era un signore e lei disse che era un suo zio, ricordo che non era uno zio anziano, forse aveva l’età di mamma. Non si vedevano da tempo, disse, ed era passato a salutare. Lui si ravviava con la mano i capelli e si aggiustava la cravatta. Andò via subito senza chiedermi come mi chiamassi, se andassi a scuola, che classe frequentassi e così via. Ci rimasi un po’ male. Quello zio di mamma non l’ho più visto né mamma ha mai più parlato di lui. Era un parente o no?
Adesso sono venuto qui a Putignano per le vacanze e mi piace la campagna che a Milano non c’è. Qui vivono tutti i parenti di Walter, il fidanzato di mamma, e questo signor Giuseppe mi tiene con sé. Mi porta in giro e mamma dice che avrebbe voluto un nipotino. Ha tre figli, che sono suoi parenti, ma loro non hanno figli: uno non è fidanzato perché dice che le donne sono tutte cattive, l’altro è fidanzato ma non sposato quindi i figli non nascono, l’altro è Walter che gli ha dato la nipotina Marta, ma non un nipotino maschietto. Capisco che è contento di passeggiare con me ma non abbiamo parenti fra di noi. Chissà, forse lo diventeremo, io e lui.