Tu chiamalo, se vuoi, soft power. Un concetto che non sarebbe difficile da capire, soprattutto in un’Italia asservita al modello americano. E infatti la gauche caviar, la sinistra politicamente corretta, i radical chic veltroniani l’hanno perfettamente compreso e applicato. Chapeau. In fondo gli Usa non han fatto altro che ampliare l’idea dell’egemonia culturale gramsciana. E sarà forse per questo che l’idea del soft power non filtra nel centrodestra e tantomeno nella destra. Ma non filtra neppure tra gli amici del Berlu, a cominciare da Putin. Sarà perché Gramsci non era amatissimo a Mosca in epoca staliniana?
Ma per quanto riguarda l’Italia, l’unico modello culturale alternativo offerto dall’area Berlu è stato quello delle veline, del gossip sui calciatori, della chirurgia plastica. E la politica è stata trattata come un formaggino, da pubblicizzare con mega manifesti e spot, con jingle appropriati. E basta. Mentre sul fronte opposto i messaggi venivano fatti passare attraverso film politicamente corretti, esaltazione di registi, cantanti, scrittori dozzinali trasformati in miti, buffoni di corte scambiati per geni, magistrati presentati come eroi come se fossero tutti uguali a Borsellino e Falcone anche quando sembravano Ingroia. Ma il popolo Berlu aveva il grande alibi: “siam costretti ad essere squallidi e banali perché se no ci chiudono le tv, ci tolgono la pubblicità, distruggono migliaia di posti di lavoro”. Confondendo l’Italia con l’azienda, la politica con gli spot.
Perché un movimento che governa per anni il Paese, deve incidere sulla realtà, non limitarsi a subirla. Deve preparare le leggi, non occuparsi solo di promuovere amichette e ragazzotti dal bel viso e privi di cervello. E poi, come ha giustamente ricordato Libero la scorsa settimana, trincerarsi dietro queste solite scuse significa rassegnarsi ad essere sfogliati come un carciofo. Un pezzo dopo l’altro. Nessuno scontro totale, ma una botta dopo l’altra, fino alla completa distruzione. Si elimina Berlu, poi si fa una legge sul conflitto d’interessi, poi una sui tetti della pubblicità in tv. Poco per volta, piano piano, dimostrando che i provvedimenti sono staccati. Tanto i bei giovinotti promossi assessori alla Cultura o le bellezze al bagno trasformate in opinioniste televisive mica capiscono. Non sono in grado, questi politici per meriti estetici, di comprendere che ogni insuccesso sportivo italiano mina l’immagine dello stile di vita del Bel Paese e determina una flessione nell’export della tipicità nazionale. Non sono in grado di capire che aver lasciato campo libero al politicamente corretto distrugge non solo la vita sociale dell’Italia ma anche la sua economia. L’immagine dell’Italia è quella che offrono i film pagati con soldi pubblici e che garantiscono l’arricchimento dei soliti noti. I guru del politicamente corretto, i sostenitori di un Paese di schiavi guidati da loro stessi, oligarchi dell’economia e della cultura. Ma già spiegare il significato di “oligarchia” agli assessori ed a qualche ministro sarebbe impresa improba.