La boxe non sarà più alle Olimpiadi. Che la nobile arte fosse in uno stato d’agonia era chiaro a tutti da un po’. Soggiogata dalle leggi della moneta, depredata di ogni etica marziale e costretta all’esibizione di personaggi improbabili (vedi certi youtuber) pur di non sparire completamente all’ombra delle più seguite Mma, la boxe è ormai entrata in un tunnel buio dove pare davvero difficile scorgere un’uscita d’emergenza.
L’ultima è di queste settimane. Un altro duro colpo inferto agli amanti delle sedici corde e di una tradizione guerriera di memoria millenaria. Il pugilato, fa sapere il Comitato Olimpico Internazionale, è stato escluso dal programma dei Giochi di Los Angeles 2028. Presente alle Olimpiadi antiche e sin dal 1904 a quelle moderne, con l’eccezione di Stoccolma 1912 poiché in Svezia era vietata, la disciplina non è compresa nella lista dei 28 sport coinvolti nella futura kermesse d’oltreoceano: obbligata a cedere il posto, insieme al sollevamento pesi, inficiato dai vari problemi di doping, e al pentathlon moderno, dopo i maltrattamenti ai danni di un cavallo nel corso dei giochi di Tokyo, a surf, arrampicata e skateboard.
Pesano troppo le insufficienze dell’Aiba (International Boxing Association), la federazione internazionale attiva sul terreno della boxe dilettantistica, che già alle Olimpiadi nipponiche era stata estromessa dall’organizzazione dei tornei in seguito agli scandali relativi ai verdetti di Rio 2016 e alla sospensione di diversi giudici.
La decisione, che sarà ratificata il 31 gennaio 2022, era quindi nell’aria. E il ceffone è arrivato, come un macigno. Seppure non si tratti, almeno per adesso, di una risoluzione definitiva. Un ultimatum, piuttosto: c’è tempo fino al 2023 per sperare in una redenzione dell’Aiba. Che, a detta di Thomas Bach, presidente del Cio, dovrà
“dimostrare di aver recepito le preoccupazioni sulla sua governance, sulla trasparenza finanziaria e sull’integrità degli arbitri e delle giurie”.
Nel mentre però, la preoccupazione cresce. Inevitabilmente. La potenziale rimozione del pugilato dalla storica manifestazione quadriennale andrebbe ad acuire la crisi nera in cui la disciplina sta sprofondando, e non solo in termini di visibilità. Sarebbe cancellata la passerella più prestigiosa, quella cui qualsiasi dilettante aspira. La passerella che ha visto sfilare, vittoriosamente, giovani talenti destinati a lasciare un segno indelebile negli annali della nobile arte. Da Muhammad Ali a Joe Frazier, da Nino Benvenuti e George Foreman a Wladimir Klitschko e Vasiliy Lomachenko. L’elenco è lungo.
Ma il problema non si limita a ciò. In gioco c’è un qualcosa di ulteriore, che tocca le nostre coscienze e che attiene a un modo specifico di concepire non soltanto lo sport ma addirittura la vita e l’esistenza. Tra le sedici corde, si forgia la virilità di uomini che battagliando imparano a difendere la propria dimensione, una visione in cui credono. Sul quadrato, il rispetto si guadagna nel sacrificio, ci si confronta con se stessi e con l’altro. E una disciplina che può sembrare esclusivamente individuale invero nasconde uno sforzo scontato collettivamente, quasi cameratescamente, di giorno in giorno, coi compagni di palestra, insieme al precettore che dispensa i segreti del mestiere. Valori che annusano le tenebre dell’oblio: e la degradazione disposta dall’Esecutivo del Cio, l’ennesimo tracollo cui va incontro il pugilato, di sicuro non aiuterebbe ad individuare una direzione differente.
L’Aiba risponda allora agli appelli lanciati e alle urgenti richieste di credibilità. Ma si salvi la boxe, un’eredità sportiva così grande per le Olimpiadi e non solo. In quei guantoni che danzano c’è il sudore di migliaia di atleti sballottati da un’arena all’altra per rincorrere un sogno. Non glielo togliete.
L’attuale boxe è deprimente. Ancor peggio gli altri tipi di pugilato ‘americano’ che ci trasmettono Fox, ESPN, Star ecc.
Quando hanno introdotto la boxe femminile è stato pure peggio…