“Niente è più banale dell’insolito che si ripete”, scrive Thomas Owen nell’ultimo racconto della sua raccolta “Cerimoniale notturno” (Alcatraz Edizioni, 2021, 14 euro), quasi a mo’ di scuse rivolte ad eventuali lettori insoddisfatti. In realtà, nel contesto in cui è immerso il protagonista, la frase in questione mira a mettere in evidenza un meccanismo psicologico di adattamento alle circostanze decisamente umano, troppo umano. Ed è forse per questo che, nonostante una rispettabilissima escalation del macabro – mutilazioni, antropofagia, vampirismo, fantasmi, corride sanguinose con animali fantastici, perfino vol-au-vent ai feti, alla faccia rispettivamente del WWF e di Giuliano Ferrara! -, la chiave di lettura più estensiva, finanche universale, delle pagine di Owen è quella che fa dell’elemento sovrannaturale quasi un accessorio rispetto al vero orrore, quello insito nella natura umana e nelle sue manifestazioni.
Owen, con la sua ironia dark e la capacità di padroneggiare registri diversi a distanza di poche righe l’uno dall’altro, ha infatti uno sguardo alquanto acuto nell’indagare i più disparati recessi della mente umana e del potere, dalla paura delle convenzioni sociali insita nelle relazioni con molta differenza d’età al fragilissimo culto della personalità di un Capo di Stato, che può crollare come un castello di carte alla comparsa di un misero foruncolo, dalla carnale viziosità dei bibliofili, “molto più preda dei sensi che non delle gioie dell’intelligenza, tanto fumo e niente arrosto” (ahia, touché!), all’allarmante realizzazione del fatto che “era da me stesso, capace di tutti gli smarrimenti, che dovevo guardarmi” e che “il peggio è l’incertezza”; senza contare la lapidaria perizia con cui descrive quella sorta di “rabbiosa ammirazione piena di collera” che capita di provare “per quelli che comandano, esigono e soprattutto ottengono obbedienza”, o l’altrettanto lapidaria definizione della guerra come “schiavitù imbecille”, a cui è giustapposta, come per caso, l’immagine della savia determinazione dei bambini, intenti con la stessa concentrazione nella sopravvivenza come nel gioco.
In questo Owen ha un che del Marco Ramperti di “Storie strane e terribili” (a cui in quel di Milano si sta seriamente pensando di dare una nuova, serpentina vita…), anche se il genere letterario, una composita raccolta di racconti che finiscono per formare una sorta di costellazione, ricorda un po’ anche “Reami degli Elfi” di Sylvia Townsend Warner, pubblicato nel 1970, a solo 4 anni di distanza da “Cerimoniale notturno”.
Non finiscono qui i richiami – più un caleidoscopio di associazioni mentali simili a quelle verbali junghiane o ad un test di Rorschach che vere e proprie citazioni letterarie, a dire il vero – suscitati dalla lettura di Owen: specialmente “Straniero a Tabiano”, l’unico racconto che superi le 15 pagine di lunghezza, eccezion fatta per il buffo omaggio all’amico Jean Ray, nella sua completa assenza di coordinate cronologiche e geografiche alterna ambientazioni desertiche degne di “Zabriskie Point” o del “Deserto dei Tartari” di Buzzati (che non a caso, nella sua inclinazione smaccatamente metafisica, è uno dei libri e dei film che hanno più influenzato il pensiero ed il gusto di Aleksandr Dugin, tra gli altri) a descrizioni degne di una scena del “Trono di Spade”, mentre “La tentazione di Antonio” riecheggia atmosfera e tematiche de “L’uomo in bianco”, l’ipnotico romanzo di Johnny Cash sulla vita dell’apostolo Paolo edito l’anno scorso da PianoB.
E se la surreale forma di Stato dell’introvabile Tabiano può richiamare alla mente mille città fantastiche di mille romanzi e sceneggiati più o meno distopici, e in quanto tali distanti da noi anni luce, il fatto che a Tabiano “gli inetti vengano nominati seduta stante professori universitari” e che “alla facoltà di Diritto non ci sia che un solo professore; un vecchio cieco e sordo che si accontenta di brandire una lavagnetta su cui qualcuno una volta ha scritto “Nessun diritto, solo doveri!”, o che i detenuti della colonia penale cittadina siano fiaccati a suon di noia mortale e partite di croquet dovrebbe essere sufficiente agli scettici per trovare qualcosa di familiare e… domestico anche nel bel mezzo di tanta stramberia, e affrontare la lettura del libro.