E’ da poco uscito (marzo 2021), nella collana Profili della casa editrice romana Fergen, un interessantissimo saggio del giornalista, scrittore ed editore della rivista Il Guastatore Luca Lezzi dedicato ad un uomo che ha fatto la storia dell’Argentina: Juan Domingo Peron.
Nel volume, che prende il titolo dal nome del protagonista del ritratto, viene ripercorsa la storia del politico albiceleste attraverso le sue azioni, con particolare riferimento all’attuazione dei programmi sociali e di rinnovamento messi in atto durante i suoi mandati presidenziali nel Paese sudamericano.
Con l’autorevole prefazione di Mario Bozzi Sentieri, il libro si propone di riscoprire, sgombrando il campo dalle apparenze e dai facili schematismi ideologici, la figura di un uomo “di potere” capace di mettere al centro di tutto il suo popolo, dando voce e concretezza alle istanze ed esigenze delle classi meno abbienti dello stesso.
“A differenza di molti altri protagonisti del Novecento – si legge nella quarta di copertina – Perón non ha subito l’oblio da parte della storiografia ufficiale ma una catalogazione superficiale spesso incapace di scavare nel retroterra culturale che ne generò l’ampissimo consenso popolare, dimostrato oltre che nelle tre tornate elettorali a cui prese parte (1946, 1951 e 1973) dalla marcia spontanea dei descamisados, che impose il suo rilascio dopo un arresto del tutto arbitrario”.
La catalogazione a cui si fa riferimento, come si evince dalla lettura del saggio di Lezzi, è quella che inquadra, etichettandoli, i vari fenomeni e movimenti storici nelle categorie ideologiche. Come spiega efficacemente l’autore, però, le ideologie sono cosa diversa dalle idee: le prime, infatti, sono statiche e legate a schemi fissi e immutabili; le seconde invece sono in grado di evolvere e di stare al passo con il mutamento degli scenari e dei contesti in cui vivono. Ed è proprio questa la chiave fornita per comprendere il peronismo – che è un’idea e non una ideologia – e la sua incredibile longevità.
Completato, in appendice, da una sintetica scheda biografica del protagonista e da un documento del 1950 che illustra i principi del “justicialismo” peronista, il saggio di Lezzi si articola in sei brevi capitoli, che ripercorrono le tappe dell’ascesa di Peron, con particolare riferimento a quanto accadde durante i suoi mandati governativi e ai successi delle politiche messe in atto dal leader della repubblica presidenziale albiceleste.
Non mancano, ovviamente, l’approfondimento sulla dottrina justicialista, l’accenno al ruolo (fondamentale) avuto dalla seconda moglie del presidente argentino, Evita e una traccia delle connessioni di Peron con altri protagonisti e Paesi dell’America Latina e non solo (tra essi Che Guevara, Chavez e Thiriart), con riferimento anche al periodo post-peronista.
“Per cogliere il senso reale del peronismo – scrive Bozzi sentieri nella prefazione – bisogna andare oltre le letture superficiali”. E le circa 100 pagine di Lezzi aiutano sicuramente a comprendere meglio la vera storia di Peron (che ha incarnato con rarissima efficacia l’idea di Nazione, Patria e popolo del suo Paese: “Scrivere di Juan Domingo Peron – dice in proposito Lezzi – significa scrivere dell’idea politica che ha reso gli argentini un popolo”) e le conseguenze, ancora attuali, che le sue politiche e le sue azioni hanno avuto sull’Argentina e sulla sua gente.
Perón aveva grandi conoscenze storiche, sensibilità, capacità politiche, ma quasi tutto ha sprecato a causa dei massimalismi di Evita, delle cadute demagogiche e populiste, nel quadro di una corruzione generalizzata e tollerata, che ha sempre avuto nel sindacato giustizialista il suo centro… Comunque ha sbagliato molto dopo il 1952, mettendosi contro Chiesa, militari, oligarchia economica. E con uno stile di governo spiccio, poliziesco, zeppo di prepotenze gratuite, di arbitrî… Ha saputo controllare il Movimento solo all’inizio, poi lo stesso si è diviso sanguinosamente tra destra sociale e sinistra filocastrista… simboleggiato dall’eccidio di Ezeiza nel 1972…
Peròn (chiedo venia per l’accento grave, ma non lo trovo nella tastiera) credo che all’inizio abbia svolto un ruolo positivo, accogliendo tra l’altro in Argentina tanti italiani che erano ingiustamente perseguitati dopo l’ultima guerra. Dopo, si trovò prigioniero del suo stesso mito, e anche e forse soprattutto del mito della moglie, che per altro aveva notevoli capacità comunicative. La sua demagogia in campo sociale condusse a un grave regresso l’economia argentina. Un ufficiale italiano amico di famiglia, il colonnello Tschon, che aveva lasciato l’esercito dopo il 2 giugno per fedeltà al Re, mi raccontò che quando arrivò in Argentina per impiantarvi un’azienda all’epoca pionieristica nel settore dell’aerofotogrammetria (era stato un brillante ufficiale del Geografico Militare), quella nazione si trovava in ottime condizioni economiche, anche perché come nazione neutrale nel secondo conflitto mondiale aveva commerciato con tutti. Con Peròn ebbe inizio una fatale decadenza, che si aggravò negli ultimi anni.
In seguito il peronismo è divenuto uno stato d’animo, più che una dottrina politica, fatta di risentimenti contro i gringos e populismo, che ha segnato profondamente i più diversi settori della vita politica argentina, influenzando anche il regnante pontefice. A sua discolpa, debbo dire che, come molti limiti del fascismo furono limiti degli italiani, molti difetti del peronismo derivano dai limiti degli argentini, accidiosi nel valorizzare le enormi risorse naturali di cui dispongono, afflitti da un cronico vittimismo, inaffidabili nei rapporti economici, come ben sanno molti italiani che hanno avuto fiducia nei loro titoli di Stato.
Un’ultima osservazione: un grande argentino come Borges fu un fiero oppositore di Peròn, mentre manifestò apprezzamento per i generali dopo il colpo di Stato, definendo la giunta golpista un “gobierno de caballeros” e la democrazia “un curioso abuso della statistica”. In seguito avrebbe cambiato idea, dopo le rivelazioni sui desasparecidos, ma nel frattempo era riuscito a giocarsi il Premio Nobel. Poco male, visto chi ne è stato insignito negli ultimi decenni.
Il peronismo K, tanto per fare un esempio: partite di calcio in TV in diretta gratis e tariffe sussidiate per tutti, gratis per gli indigenti ecc. Il petrolio c’è, ma costa di meno importarlo, perchè stancarci…e così via. Intanto politici e sindacalisti si riempiono le tasche, erigendo la cleptocrazia a sistema capillare….Viva la peppa! Ma che peronismo è mai? Stato in rovina…
Enrico. Perón voleva, disse, ricreare il fascismo in Argentina, ma con la libertà. Fu in effetti il suo una sorta di fascismo con più libertà e meno cultura. Ma il fascismo in Italia realizzò molte cose, a livello d’infrastrutture ecc. Il peronismo quasi niente. Molte promesse, molti regalini (finchè ci furono i soldi accumulati nella WWII), molta demagogia descamizada, corruzione, nulla di solido. Il macabro culto di Evita imbalsamata ed il suo enorme monumento funebre (progetto) in puro stile stalinista… Perón vide finire il proprio mito prima della Revolución Libertadora del 1955, che non lo sorprese affatto. Letale fu per lui aver promesso la Legge sul Divorzio, all’epoca di Pio XII, assai sensibile alle cose argentine. Era stato a Buenos Aires nel 1938 come Segretario di Stato, prima di essere eletto Papa…Poi, nel lungo esilio, Perón cercò il riscatto politico, non per tornare ad essere Presidente, sapendosi da ultimo anziano ed in precaria salute, ma per riottenere il grado di Teniente General e poter indossare nuovamente l’uniforme adorata…. Le cose terminarono diversamente per lui e per la povera Argentina, con Perón Presidente rinnegato da Montoneros, Juventud Peronista e tutti quelli che l’avevano fatto tornare, in nome di un’Argentina peronista (MA DA LEGGERE CASTRISTA). Non la destra dei sindacati, che sempre si mettevano d’accordo con i militari…Comunque gli argentini non sono antistatunitensi, se non a livello molto isolato e ridotto.
Perón vivo perse tutte le sue sfide. Meglio andò con Perón morto, ma d’altronde tutti sanno che gli argentini sono un popolo tenacemente tanatofilo, più che peronista. Lo diceva anche la povera Evita: ‘Si algo le sale bien a los argentinos, son los velorios…’
Del resto i dirigenti sindacali peronisti Vandor e Rucci furono uccisi dai Montoneros…, uno nel 1969, l’altro nel 1973, quando l’Argentina peronista sprofondò in un inferno fratricida… altro che popolo e Stato organico….