“La stanza numero 30” è il titolo dell’autobiografia recentemente pubblicata da Einaudi dell’ex magistrato Ilda Boccassini. Il libro e’ diventato subito famoso perche’, in un passaggio, la Boccassini vi riporta la storia d’amore, forse platonica, vissuta con Giovanni Falcone, all’epoca in cui lavoravano assieme all’inchiesta Duomo Connection, indagando sulle infiltrazioni mafiose nell’Italia settentrionale.
Al di la’ della questione sul valore letterario dell’opera e sull’opportunita’ delle rivelazioni sentimentali in essa contenute, quando vi sono di mezzo famigliari viventi – che potrebbero soffrirne – ed estranei morti – senza diritto di replica e con diritto alla memoria; al di la’ di questo, dicevo, vorrei soffermarmi sulle implicazioni simboliche del disvelamento della suddetta storia d’amore.
A questa povera repubblica italiana, nei decenni e’ stato scientemente negato il diritto a credere nella propria bandiera, nella propria storia e gloria nazionale e nei suoi miti fondatori, nel suo esercito, insomma in tutto cio’ che abbia un sentore di Padre e Patria, perche’ l’Italia e’ un Paese sconfitto in guerra e perche’ il sentire collettivo lo si volle subappaltare, per volonta’ di una delle tante Yalta in cui le potenze vincitrici hanno deciso della nostra sorte repubblicana, al culturalume di sinistra, ostile a ogni concetto identitario.
Niente eroi guerrieri e poetici, vietati: non gli alpini e i fanti della prima Guerra mondiale, assolutamente no i prodi di El Alamein, figurarsi un principe Eugenio di Savoia vittorioso a Vienna sui turchi, neanche a parlarne della remota genitura romana e latina, e delle sue glorie.
Tuttavia, sotto la cortina normalizzante, civica e impoetica della civilizzazione repubblicana, la vita comunque preme, pre-ideologica, verace e continua qua e la’ a gemmare l’eterna vicenda dell’uomo di fronte al pericolo, alla scelta, al rischio, al sangue, alla morte.
Fu questo il caso di Giovanni Falcone, che ripropose l’antica vicenda tragica dell’eroe, tuttavia sullo sfondo di grisaglia grigia repubblicana, tra le pietre di Pantalica di un’isola e di un Paese impoetici.
E Falcone (come per la verità il suo sfortunato dioscuro Paolo Borsellino) divenne, dopo l’attentato, il piu’ importante eroe in tempi repubblicani, anzi molto di piu’, divenne un nume, per la povera repubblica a cui per contratto si volle negare di averne.
Un nume entrato gentilmente, naturalmente nella psiche piu’ profonda del popolo italiano, un focolare che si accese spontaneamente in un Paese senza piu’ penati e fuochi rituali.
Un nume abbiamo, e adesso, i sospiri e le memorie senili di Ilda Boccassini, qualcosa hanno incrinato della sua memoria. I numi erano in principio di carne e anima, pertanto soggetti a tutto cio’ che di alto e di basso questa condizione comporta – lo sappiamo. Pero’ poi, quando diventano numi, non si toccano. Per rispetto della loro memoria ma soprattutto per rispetto del popolo, del suo diritto ad avere degli esempi, dei Padri, un nucleo mitico e poetico, pur nei tempi impoetici della repubblica.
Una volta, un uomo che rivelava una relazione amorosa con una donna, specialmente se sposata, era escluso dalla buona società, perché considerato “no gentleman”. In tempi ancora più antichi, correva anche il rischio di essere sfidato a duello. Era inconcepibile che lo facesse una donna. La scelta boccaccesca della ex (per fortuna) giudice Bocassini mi appare, oltre che di cattivo gusto, necrofila.
p.s. quanto all’Italia sconfitta e a Jalta, vorrei dire che fino agli anni Sessanta persistevano, nonostante tutto, certi valori. A noi ragazzini delle elementari insegnavano le canzoni dei vari corpi militari e si regalava ancora Cuore. L’Esercito conservava il suo prestigio e a chi era scarato per la visita di leva si diceva che “chi non è buono per il Re non lo è neppure per la Regina”. I “musicarelli” con Gianni Morandi soldato spopolavano nelle sale cinematografiche. Sulla popolarissima Radio Montecarlo alle “sbarbine” che si lamentavano perchè il fidanzato aveva avuto la cartolina precetto il dj del popolarissimo programma “Balla Balla” rispondeva “così diventa un uomo”. E Radio Montecarlo era un’emittente “trasgressiva”, rispetto alla Rai di Stato, che trasmetteva canzoni da noi messe all’indice.
La crisi dei valori cominciò con i cattolici di sinistra, don Milani e padre Balducci, per esplodere con gli anni Settanta e l’obiezione di coscienza. Ma questo sarebbe un discorso troppo lungo…