Cari amici di Barbadillo, oggi voglio raccontarvi una storia. La storia di un piccolo grande uomo, e di un piccolo grande rimorso. Il piccolo grande uomo era il professor Giuseppe Cangemi, nato a Caltanissetta nel 1940, morto poche settimane fa a Verona, dove si era ritirato negli ultimi anni della sua vita, divisa tra la nativa Sicilia, Firenze, dove si era laureato in Scienze politiche al Cesare Alfieri, Luino e ancora Firenze, dove aveva insegnato al Liceo Dante, pur vivendo in provincia, a Montemurlo, un paesone dei dintorni di Prato. A Luino e a Firenze era stato anche consigliere comunale, ma fu suo destino essere ricordato non per la sua cattedra o per lo scranno in un consiglio municipale, ma per un banco, il banco dove per tre anni ebbe un alunno d’eccezione, di nome Matteo Renzi. Per questo conobbe il suo quarto d’ora di notorietà, quando il suo vecchio scolaro divenne il più giovane presidente del Consiglio dell’Italia repubblicana, e non solo (anche Mussolini, ricordava con una punta di soddisfazione, aveva il 28 ottobre 1922 qualche mese più di lui). Fu intervistato, quasi coccolato dalla stampa, di Firenze e della sua Sicilia: non era più il fascista cattivo, ma, in certo qual modo, il mentore del più promettente politico italiano del secondo decennio del nuovo millennio. E in fondo non nascose mai la soddisfazione di aver aiutato a maturare la passione per l’amministrazione della res publica in quello strano studente appassionato di politica proprio negli anni del riflusso, non comunista, ma vicino alla Dc di sinistra orfana di La Pira, alle cui requisizioni delle ville sfitte avrebbe dedicato la sua tesi di laurea.
Lo strano rapporto con Renzi
Se “Renzino” era, per l’epoca, uno studente atipico, Beppe Cangemi era uno strano professore, ovvero un bravo professore. Un bravo professore deve avere i suoi tic, le sue fissazioni, le sue debolezze, altrimenti potrebbe essere facilmente sostituito dalla didattica a distanza, o alla lunga rischiare di divenire come il preside dell’Attimo fuggente, che pretendeva di calcolare l’area di una poesia moltiplicando la lunghezza per la profondità. Non credo che Beppe abbia mai scritto nulla di memorabile, ma la sua forza era la maieutica. Gentiliano dichiarato, credo che il suo vero modello fosse Socrate. Una volta mi confidò che all’inizio del corso agli alunni di ogni nuova classe dichiarava di essere monarchico e fascista, né ho motivo per dubitarne. Però rispettava le opinioni di tutti, perché era convinto che solo attraverso la dialettica maturi il carattere e si affini il metodo critico. A suo modo, “sfruttava” Renzi: se le sue affermazioni erano la tesi, le obiezioni di Matteo erano l’antitesi. La sintesi penso spettasse farla al resto della classe, o alla coscienza di ciascuno.
Renzi in un’intervista lo definì il suo primo avversario politico, ma fu un avversario leale. Quando il suo alunno diede l’esame di maturità, il presidente della commissione avrebbe voluto dargli un 58, voto beffardo, appena due punti sotto al massimo. Cangemi, che era membro interno ed era convinto che Matteo avesse fatto un ottimo orale e uno splendido tema, “chiamò gli ispettori” e spuntò per lui il sessanta. Una volta che ci parlai, Renzi mi disse che questa versione non era del tutto esatta, ma non c’è dubbio che Beppe abbia fatto di tutto per valorizzare quell’alunno di cui aveva intuito le grandi capacità e cui perdonava le impertinenze che invece rendevano interdetti alcuni suoi colleghi.
Esistono nella vita frangenti in cui due destini s’incrociano, momenti simbolici che paiono previsti da uno sceneggiatore più che dettati dal caso. Fu quando Cangemi e Renzi s’incontrarono, molti anni dopo, lui deluso dalla politica, dopo la svolta di Fiuggi, Matteo agli esordi della sua folgorante carriera nel partito popolare e poi nei Ds. Era come se due stagioni della vita si passassero il testimone. Dopo, Beppe, orgoglioso come un hidalgo spagnolo, non si fece vivo con lui nemmeno per congratularsi dei suoi successi, dei quali pure andava intimamente fiero. Né credo che il neopresidente del Consiglio lo abbia mai cercato, anche se non ne sono certo.
L’orgoglio di Beppe
Ho detto che Beppe era orgoglioso come un hidalgo. È vero. Ma era orgoglioso, non borioso: sono due cose diverse. La politica e l’insegnamento erano la sua vita e una volta mi raccontò di quando, alla sua partenza da Luino, le madri dei suoi alunni si recarono alla stazione per ringraziare questo professore “fascista” che però aveva fatto crescere intellettualmente i loro figli: una scena un po’ da don Camillo, un po’, se vogliamo, da Bocca di Rosa. A Firenze, pur non essendo radicato nel territorio, divenne consigliere comunale nel 1985, in un Movimento sociale orgoglioso di candidare un intellettuale (ma, come mi confidò lui, venne utilizzato, col gioco delle cordate, per far fuori un vecchio notabile locale, avvocato, già senatore e delegato parlamentare europeo, versione ovviamente smentita dai presunti artefici della manovra). Rimase in Consiglio per cinque anni, poi non fu ricandidato. Qualcuno disse perché alzava un po’ il gomito: era vero, ma beveva anche cinque anni prima, quando faceva comodo, anche perché i maggiorenti del partito erano contenti di poter mandare i figli da un professore di filosofia che non li indottrinasse ideologicamente.
Non aderì ad An
La svolta di Fiuggi lo allontanò dalla politica ed ebbi – e qui veniamo al piccolo grande rimorso – il torto di accettare di prendere il suo posto nella politica culturale della destra a Firenze; ma in quegli anni magici speravo in una carriera politica che non vi fu. Oggi ho imparato che, anche e soprattutto a destra, i partiti utilizzano le persone di cultura, salvo scaricarle quando non fanno più comodo. L’opportunismo non sempre paga, specie chi, come me, non è opportunista di natura e fa il cinico solo per ostentazione.
Beppe, in effetti, beveva, anche se devo ammettere che reggeva l’alcol benissimo. Me l’hanno ricordato in tanti e anche a me capitò di verificarlo una sera di fine millennio, quando uscimmo insieme dalla riunione di un premio letterario di cui eravamo giurati. Volle andare al ristorante e l’accompagnai volentieri, anche se avevo altri impegni. Poi mi portò in un bar del centro e mi annunciò la sua intenzione di fare una “serata vichinga”. Faceva il giro dei locali come fosse il giro delle sette chiese nella devozione prepasquale dei Sepolcri. Alla fine – si erano fatte le due, – non ce la feci più e mi sganciai: altra viltà. Non so dove avesse dormito (non guidava la macchina e dopo una cert’ora non c’erano mezzi pubblici per Montemurlo) e in che condizioni fosse arrivato a scuola l’indomani. Più tardi ho saputo che le “serate vichinghe” erano una costante nelle gite scolastiche cui accompagnava le scolaresche, e in quei casi – all’opposto della tradizione – erano gli alunni che dovevano occuparsi del professore, e non il contrario. Ma i ragazzi, che come i cani hanno una straordinaria capacità di capire chi li ama davvero, e di regolarsi di conseguenza, non lo tradirono mai, perché capirono sempre che dietro la sregolatezza c’era il genio della maieutica e dietro quell’ostentato fascismo c’era un’apertura mentale e una liberalità sconosciuta a tanti insegnanti progressisti.
Gli ultimi anni
L’abbandono della politica e il pensionamento credo non abbiano resi lieti i suoi ultimi anni. Mi raccontava di passare i suoi giorni in famiglia, ascoltando musica (era appassionato soprattutto di lirica) e scrivendo non so che opera teatrale sul modello della nuova commedia attica, che non finì e forse nemmeno cominciò mai. I successi, sia pur effimeri, di Renzi credo gli risollevassero il morale. Una volta ci parlammo e io gli dissi che anche Socrate aveva avuto un discepolo di nome Alcibiade. In realtà, scherzavo: sapevo benissimo che Beppe non era Socrate e Matteo non era Alcibiade, anche se il referendum ha rischiato di essere la sua spedizione in Sicilia.
Ho conosciuto Cangemi che era fascista come tutti (o quasi) gli aderenti del MSI. Lui faceva conferenze agli iscritti del MSI a cui partecipavo. Dire che era fascista è come dire che l’acqua è umida: essere nel MSI, perlomeno dal 1946 al 1994, questo significava.
A Firenze, europee del 1994, credo per l’ultima volta, fu suonato l’inno a Roma ad un comizio di Fini e Matteoli ed i saluti romani non mancarono (e non ero io a farli, visto che già intuivo la deriva di Fini che sfocerà nella chiusura del MSI, la casa del padre a cui non fare mai ritorno…)
Penso che tu, caro Enrico, non possa certo smentirlo visto che per molti anni ci siamo incontrati in Federazione.
Sono perfettamente d’accordo, anche se da un punto di vista storico andrebbe fatto un discorso un po’ articolato. Nel 1972 il Msi con l’operazione Destra Nazionale si aprì a personalità che fasciste non erano, liberali, monarchici e militari che dopo l’8 settembre avevano combattuto nelle forze armate regolari del Regno d’Italia (un nome fra tutti: Birindelli), e persino un ex comunista come Armando Plebe, la cui carriera politica per altro finì in un vespasiano della stazione di Roma Termini. Se l’operazione fosse andata in porto, con un Msi-Dn che alle politiche del ’72 avesse preso un 15 per cento dei voti condizionando a destra la Dc, forse la storia avrebbe avuto un altro corso. Ma invece i voti che prese servirono solo ad allarmare i partiti del cd arco costituzionale ed ebbe inizio una persecuzione che provocò prima la scissione di Democrazia nazionale, poi la conseguente “rimissinizzazione” del partito. Il richiamo al fascismo rappresentò un coesivo per una minoranza perseguitata, negli anni Settanta, e negli anni Ottanta emarginata (ma anche autoemarginata: Almirante rifiutò le avances di Craxi e rivendicò l’eredità della Rsi col discorso del Lirico). Al Sud, dove l’emarginazione era minore, e a volte non c’era mai stata, il richiamo al neofascismo era minore, anche per l’influenza di un Tatarella. Del resto va detto che a Firenze per l’opinione pubblica il fascismo era rappresentato da Pavolini, che aveva fatto molto per la città come federale, ma durante la Rsi aveva armato i franchi tiratori, a Bari da un Araldo di Crollalanza, stimato da tutti, tanto che gli fu intitolato un lungomare. Il clima era totalmente diverso.
Il resto è storia che conosci anche tu, e non solo io, che sono più vecchio di te. Dopo la fine ingloriosa di An, penso, col senno del poi, che il Msi non sarebbe dovuto nascere e che gli ex(?) fascisti sarebbero dovuti entrare nei partiti democratici, portando al loro interno le loro istanze. Nel fascismo c’era un po’ di tutto: liberali, clerico-fascisti, corporativisti alla Spirito e sindacalisti rivoluzionari. Quello che gli ex fascisti avrebbero dovuto rivendicare era il rispetto non tanto per il fascismo – che ebbe grandi colpe – ma degli italiani, che nella loro stragrande maggioranza avevano creduto nel fascismo e che non era giusto considerare una massa di criminali o di squilibrati.
Scusami per questa lezioncina di storia; per farmi perdonare ti racconterò due aneddoti.
L’ammiraglio Birindelli, in un comizio mi sembra al vecchio cinema Edison, nominò Mussolini, “grande dittatore”, ma per prenderne le distanze. Nella sala partì un grande applauso, perché il pubblico non aveva capito lo spirito critico della citazione. Fu allora che Birindelli capì che il Msi-Dn non era casa sua e si dimise dal partito di cui era presidente.
Nella Federazione del Msi a FIrenze, in piazza Indipendenza, c’era la solita paccottiglia fascista. Con le aperture della Destra Nazionale venne relegata in soffitta. Ma dopo qualche tempo, come per un fenomeno di bradisismo, risaliva al secondo piano e ricompariva persino un grande quadro del “Patto a Quattro”, arrivato non si sa come. Del resto fino al 1992 le circolari agli iscritti cominciavano con un “caro camerata”.
p,s, ho ricordato l’esperienza di Democrazia Nazionale, che nel 1976/7 proponeva idee giuste nel momento sbagliato e fu un colossale fallimento. Fatto singolare, ne furono protagonisti esponenti del fascismo storico e della Rsi (qualche nome: Gianni Roberti, presidente della Cisnal, Piera Gatteschi, comandante delle Ausiliarie), mentre rimasero fedeli al Msi persone che, come Enzo Trantino, ex monarchico, potevano essere considerate dei moderati. La storia, e soprattutto l’animo umano, sono fatti di contraddizioni.
Enrico. Naturalmente hai ragione. Nelle fila del MSI, almeno nel Nord Italia, troviamo chi aveva alle spalle l’esperienza condivisa
della RSI, non chi era stato fascista fino al 1943. Quelli erano diventati monarchici o democristiani…
Non è rassicurante che solo (o quasi) su questo sito ogni tanto si parla di politica e di storia riferendo ciò che veramente sono stati MSI AN e oggi è FDI. Enrico è ottimo testimone, così come lo sono io, ma forza il passato ad uso del presente. Non è giusto parlare di paccottiglia fascista in una Federazione che commemorava Gentile Pavolini Ricci ed i Franchi Tiratori. Bisogna ricordare ciò che veramente è stato. Non ho mai condiviso l’eccesso di esteriorità, ma l’eccesso non fa danno se inserito in un contesto di non rinnegare non restaurare. È quando si rinnega che, vigliaccamente, si confina l’eccesso nel ghetto. I personaggi che oggi tutti schivano hanno fatta campagna per l’unico sindaco “camerata” di Roma, cioè Alemanno.
Il termine “camerata” era ed è distintivo, perché se non lo si è si è antifascisti e l’antifascismo è il peggior concentrato dei peggiori mali della nostra storia: Franza e Spagna purché se magna, il campanilismo autolesionistico, il clericalismo, le mafie, la corruzione endemica. In una parola la perdita dell’identità greco-romana a favore della giudaico-cristiana, il che, anche scolasticamente, vuol dire decadenza.
Io non partecipai alla grande manifestazione per mani pulite (e quindi per Di Pietro) che fu organizzata da Fini il 17 ottobre 1992. In testa al corteo, insieme a Fini, c’era, ad esempio Filippo Berselli con i guanti bianchi: pochi anni dopo sarà più volte sottosegretario nei governi Berlusconi, ultimamente si è candidato per Casapound.
In quella manifestazione ci fu il record storico di saluti romani, poi arrivarono i soldi di Berlusconi ed il degrado del MSI in AN fu totale.
In breve, la storia si interpreta ma io ho vissuto le vicende del MSI dal di dentro e i distinguo rispetto alle macchiette estremiste non le condivido perché sono lo specchio della cattiva coscienza dei traditori (cioè AN ed eredi).
Io sto con Pavolini, non con Pertini che faceva assassinare madri incinta.
E sto persino con Mughini e Cacciari che si scandalizzano quando si parla di Fascismo rispetto a personaggi marginali ed ULTRACATTOLICI come Fiore.
Il Fascismo è l’unica ideologia del Novecento: il liberalismo risale al ‘700 (altro che modernità!), Il socialismo è dell’Ottocento ed il comunismo non è che una sua derivazione.
Siccome la storia è un continuum, io riparto dal ‘900. Chi vuole ripartire dal ‘700 o dall’ 800 ci provi, prima o poi sbatterà contro un muro: lo stato o è organico o non è.
Solo lo stato organico può garantire la libertà individuale perché dà ad ognuno un ruolo ed ogni cittadino conta, non è un numero.
Con il vecchio MSI si sarebbe isolati ed al di sotto del 5%. Politicamente a che cosa servirebbe quella ‘fedeltà’ a valori antichi (e sconfitti)? Poi si può dire quel che si vuole della cosiddetta ideologia fascista, ma dopo averci riflettuto, e letto molto, per oltre 50 anni personalmente ancora non saprei descriverla, al di là di espressioni retoriche: Stato organico, Corporativismo, Socializzazione ecc. Il liberalismo ha almeno la capacità di rinnovarsi… non solo di commemorare vittime…
Chi commemora, falsificando impunemente, sono soprattutto gli antifascisti di tutto il mondo.
Il liberalismo, per me , era già morto nel 1919, figuriamoci oggi. Oggi è una mummia.
Ma a questa mummia si immola la giustizia, il bello, la civiltà di cui non c’è più traccia.
Come volevasi dimostrare col mio precedente intervento.Gli ondivaghi,imboscati e voltacabana non cambiano mai..Nel 22 è stato sconfitto il comunismo altrimenti saremmo stati come l’Albania di qualche anno fa’.. È meglio che mi taccio sulla pseudo Detroit Italiana… Basterebbe analizzare cosa ne è rimasto…
Bravo Luciano Zippi ,sono completamente con te !
Ci stiamo andando verso la vecchia Albania comunista… In nome di un assurdo populismo di destra che non produce e vuol consumare… Statalismo deteriore, assistenzialismo prerivoluzionario… Il liberalismo sarà forse in crisi, ma senza liberalismo siamo la Cuba dei Castro, altro che bello… IL FASCISMO DEL ’19 VENNE RINNEGATO DA MUSSOLINI NEL ’21 PER ANDARE AL POTERE… DI CHE COSA STATE CIANCIANDO, AMICI?
Ma quale assistenzialismo!! Ma quale populismo che non produce !!? Mi trovo in Liguria da diversi mesi,e vedo quasi tutte le stazioni ferroviarie stile ventennio,ancora all’avanguardia.Potrei continuare.Fascismo era soprattutto partecipazione, dinamicità,visione di una società all’avanguardia per quei tempi ammirata dal mondo intero… Il liberalismo lo si trova ormai solamente nel mondo arcobaleno..
Nonostante una propaganda Forviante per allochi, non è possibile essere ciechi,da nessun punto di vista…
Sì, ma quel fascismo, che pure faceva tante cose, è finito sconfitto nel 1943… Che cosa facciamo ora?
Essere sconfitti militarmente non significa nulla. Vi ricordate di Roma e della Grecia?
Ah, non significa nulla… Né per noi, né per i tedeschi, neppure per i giapponesi nel ’45… La Grecia come finì? E Roma nell’Alto Medioevo…? Beh, meglio allora non riparlarne ed aspettare la resurrezione miracolosa… di Lazzaro… o del Lider Máximo… o di chi vuoi tu…. Saluti!
Ormai continuando a fare le pulci per qualsiasi venialita,gli ex cartaginesi si stanno appropriando del fu’splendore Italico senza dover combattere,anzi facendosi mantenere…E se la si menzione si viene addirittura sanzionati, vero BARBADILLO!?!..
Grazie… Finalmente… Era ora!!!..