E unificazione delle cinture sia. Tutte raccolte sotto la bramosia di un solo nome, tutte raccolte attraverso la determinazione tipica dell’uomo che non conosce ostacoli troppo grandi da scavalcare. Il puzzle delle corone mondiali dei supermedi sabato notte è stato completato. All’MGM Grand di Las Vegas, dinanzi ad oltre sedicimila spettatori. Impresa compiuta, insomma. Senza che ci fossero, del resto, seri dubbi a riguardo: all’undicesima ripresa, fisico scultoreo e pugno di marmo, Saul “Canelo” Alvarez ha incollato al tappeto un buon Caleb Plant aggiudicandosi l’ultimo titolo dei quattro disponibili per accomodarsi finalmente sull’Olimpo della nobile arte. Già in possesso delle cinture iridate Wbo, Wba, Wbc, il messicano ha strappato infatti la sigla rimanente – l’Ibf – all’avversario originario degli Stati Uniti.
Questi si presentava sul quadrato nelle vesti del campione imbattuto, con ventuno vittorie in altrettanti incontri disputati. Un numero piuttosto esiguo, in realtà, se rapportato al record infinito di Saul Alvarez. Che, in seguito all’evento di sabato, ha appunto incasellato il cinquantasettesimo successo su un totale di sessanta match, tra cui figurano anche due pareggi ed una sconfitta – della quale Floyd Mayweather sa qualcosa.
Impresa compiuta
Quello di Canelo è un risultato epocale. Quanto serve per accaparrarsi il rispetto dei posteri e di qualsiasi amante delle sedici corde. In meno di un anno, Alvarez ha conquistato ciascuna delle targhe che è possibile ottenere nella galassia frammentata della boxe: da quando è stata introdotta la Wbo, nel 1988, si tratta del sesto pugile ad essersi laureato campione del mondo assoluto nonché dell’unico combattente ad aver raggiunto un simile traguardo nella categoria dei supermedi. Prima di lui, avevano agguantato la medaglia onorifica Oleksandr Usyk (nei massimi leggeri), Bernard Hopkins (nei medi), Jermain Taylor (nei medi), Terence Crawford e Josh Taylor (entrambi nei superleggeri).
L’orgoglio di Canelo: “Questo titolo è per il Messico”
“Non è stato facile”, ha detto Canelo dopo il trionfo. Per poi aggiungere: “Ne ho fatta di strada con il mio team, questo titolo è per il Messico. Adesso siamo solo in sei ad aver realizzato l’impresa e questo mi rende felice e motivato: sono il re indiscusso del mondo”.
Nel corso delle sue dichiarazioni, tra l’altro, Alvarez non ha lesinato delle considerazioni tecniche sugli sviluppi del duello e sulle difficoltà incontrate in apertura del match: “Ovviamente sapevo che i primi round sarebbero stati complicati per lo stile di Plant. È diventato un po’ più difficile di quanto pensassi. Tuttavia, nulla di inaspettato: sapevo di dover avere pazienza”.
L’incontro
In effetti, Alvarez ha sancito la sua supremazia soprattutto a partire dalla quinta ripresa. Seppure protagonista indiscusso della contesa, inizialmente il messicano ha fatto fatica ad imporre il proprio ritmo a causa dei movimenti e degli affondi insidiosi che la boxe elegante di Plant è stata in grado di esprimere. In ogni caso, a poco sono serviti. Canelo ha messo ben presto le cose in chiaro, e tramite il solito pressing martellante ha via via cementato il suo vantaggio sui cartellini dei giudici.
Non è comunque stato sufficiente per accontentare il fuoriclasse di Guadalajara: il sigillo ad una vittoria che sembrava sempre più prevedibile è arrivato nella penultima ripresa, nell’undicesimo round. In cui Alvarez ha disintegrato con un montante fulminante la tenuta residuale del suo avversario, mandandolo al tappeto. L’americano ha quindi tentato di rimettersi in piedi, di reggere l’urto. Ma, una volta rialzatosi, ha visto un Canelo indiavolato esplodergli contro una violentissima tempesta di colpi. Questione di secondi, e il malcapitato è finito di nuovo kappaò. Definitivamente.
Si scrive dunque così un’altra bella pagina di boxe. Però, nel mentre, un dubbio sorge: chi riuscirà a fermare Saul Alvarez?