Dopo il delicato omaggio alla Madre Russia contenuto nelle pagine di Le rose di Stalin (Marietti 1920, pp. 164 €14,50), Armando Torno riprende le sue incursioni oltrecortina con l’affascinante Fëdor Dostoevskij nostro fratello (Edizioni Ares), che raccoglie i suoi scritti dedicati all’autore dei Fratelli Karamazov. Che senso abbia parlare di un classico della lettratura russa nell’epoca dei social viene spiegato doviziosamente dallo stesso autore nell’introduzione: “Dostoevskij è un autore che spiega meglio di numerosi altri i problemi che assillano la società contemporanea”, e, dato che, nonostante la dilagante diffusione di Internet e la strenua difesa dei diritti delle minoranze represse, la nostra società è asfissiata dai problemi, affrontarli con l’aiuto di un pensatore profondo è sicuramente più efficace che affidarsi a un influencer televisivo. Del resto, per chi non si accontenta delle soluzioni prêt-à-porter, il significato della nostra esistenza, che è stato, è e sempre sarà il vero problema da affrontare, non può esaurirsi nell’esaltazione del consumismo effimero. Torno ritiene, sulle orme di Eckermann, che tutta l’opera di Dostoevskij sia stata scritta seguendo la regola che “L’uomo non è nato per risolvere i problemi del mondo ma per cercare dove il problema comincia, al fine di tenersi nei limiti dell’intelligibilità”. Quindi, bando alle soluzioni facili, e rimbocchiamoci le maniche per affrontare lo scrittore-filosofo con la serietà e l’impegno che merita. Innanzitutto, va considerato il problema della fede, che permea sia l’opera sia la vita del nostro, dato che: “la sua fede non è qualcosa di definito, di sicuro cui aggrapparsi. È dubbio, ricerca esasperata, che talvolta si trasforma in tormento. (…) Non è un ortodosso osservante, ma ritrova una sua religiosità quando sconta la pena in Siberia; comunque è bene non considerarlo al pari di un fedele praticante, nel senso che si può dare a questo termine”. Già, perché, come tutti noi sappiamo bene, avere fede significa avere dubbi, a volte brucianti, che spingono a una ricerca esasperata, fremente, dolorosa, come Dostoevskij confermò durante tutta la sua esistenza. Possiamo, dunque, ritenerlo più filosofo che romanziere? Per Nietzsche la risposta è sicuramente affermativa, dato che, anche se i due non si incontrarono mai, condividevano l’idea che il centro del pensiero fosse Dio, non importa se accettato o rifiutato. Per il russo, Dio si è incarnato in un estremo atto d’amore, mentre per il tedesco Dio è morto, ma, nonostante l’apparente lontananza, i due sono molto vicini e legati da stima reciproca.
Ma non sono solo le riflessioni a sfondo religioso a rendere attuale lo scrittore russo, che, soprattutto nelle pagine del Diario di uno scrittore, approfondisce i temi politici e gli argomenti di attualità che ne confermano l’estrema acutezza di pensiero. Dostoevskij, ad esempio, è convinto che la Russia sia superiore all’Europa, o almeno che faccia parte integrante del medesimo destino, un destino che non può essere né individuale né indistintamente mondiale, ma esclusivamente nazionale, poiché “chi perde il suo popolo e la sua nazionalità, perde anche la sua fede nella patria e Dio”, e questa, sia nel bel mezzo dell’Ottocento che all’inizio del Terzo millennio, è una vera catastrofe.
*Fëdor Dostoevskij nostro fratello di Armando Torno (Edizioni Ares, pp. 142, euro 14)