L’ing. Nicola Landi guardò per l’ennesima volta la lettera a lui indirizzata poggiata sulla mensola dell’ingresso. E per l’ennesima volta pensò di leggerla nel pomeriggio, con più calma. Ora aveva cose più urgenti da fare e meno frivole. Un pensiero lo dominava da un paio giorni. Come era potuto succedere che quelle carte, compromettenti per la società per la quale lavorava, fossero capitate sulla sua scrivania? Era stato un caso? Una dimenticanza? O l’inconfessabile e circospetta richiesta di una sorta di complicità?
Aveva deciso di rivolgersi alla collega della stanza accanto che da mesi corteggiava senza esito e la cui immagine chiudeva le sue giornate solitarie prima di addormentarsi.
«Ciao, Katia, ti va un caffè?».
Avvenente, dai riccioli castani che le scendevano sulle spalle , con quell’espressione assorta, vagamente sensuale e fanciullesca che la faceva assomigliare all’angelo che suona il piffero di sir Edward Burne-Jones, Katia accennò di sì col capo.
Dopo i soliti convenevoli e qualche complimento di troppo l’ing. Landi con prudenza toccò l’argomento.
«Lo sai, Katia, che ci sono società che attraverso intermediari internazionali portano rifiuti tossici in vaste aree dell’Africa? E così si inquina un altro pezzo della nostra terra!».
Katia lo guardò con aria stralunata, come se avesse visto per la prima volta un marziano improvvisamente atterrato nella piazza centrale del paese.
Landi capì di aver fatto un buco nell’acqua e cambiò discorso.
Quelle carte che inchiodavano l’intero consiglio amministrativo e più d’un dirigente le aveva trovate sulla scrivania la mattina appena entrato in ufficio, ma dopo qualche ora, precisamente dopo la pausa pranzo, erano nuovamente sparite. Senza dare nell’occhio Landi si era premurato di farne delle fotocopie. Non si sa mai, aveva pensato.
Poi per un paio di giorni sondò con cautela il terreno con altri suoi colleghi.
«Se vi capitassero tra le mani dei documenti scottanti, magari su traffici illeciti, su tangenti pagate a questo e a quello, che fareste?».
Giovanni, il collega con cui commentava a lungo e con fervore partite e campionati di calcio, la prendeva a scherzo: «facci una bella palla e tira in porta… e, mi raccomando, segna!».
Giorgio, l’altro collega con cui si accapigliava su questioni politiche, invece non aveva dubbi: «Andrei in procura!».
Antonella, la collega che era al corrente delle sue pene sentimentali, prendeva tempo:
«Dici sul serio?».
E quando i colleghi da lui interpellati, tutti indistintamente, gli chiedevano a che pro facesse quella domanda, il Landi si schermiva. Non era un caso di coscienza, era tanto per sapere, diceva.
Passò una settimana e nessuno si domandava come mai il Landi fosse assente dal lavoro già da quattro giorni, salvo l’ufficio del personale dove nel suo fascicolo era annotato: “assenze ingiustificate dal”.
Fu Antonella a dare la notizia, rattristata e incredula: «L’avete letto sul giornale…? sì, di Nicola… proprio in fondo alla pagina delle notizie locali… pare che l’abbiano trovato in casa penzoloni nel vuoto, con una corda attaccata al candelabro e una sedia gettata a terra… non posso crederci… un così bravo collega!».
Quel che il giornale non diceva era che durante il sopralluogo il commissario, alla ricerca di possibili indizi, aveva scorto la lettera attratto dalla bella grafia dell’intestazione scritta a penna, tutta curve e svolazzi, e forse contravvenendo ai suoi doveri l’aveva aperta. Ma quale fu la sua sorpresa nel constatare che la lettera era vuota. Anche una lettera vuota ma sigillata può contenere un segreto.