Nell’ambito del cosiddetto centrosinistra, tra i primi ad annunciare la sua candidatura alla carica di primo cittadino della Capitale, lanciata ad ottobre 2020, c’è Carlo Calenda che nel suo sito internet dedicato alla contesa elettorale romana, per raccontarsi si rivolge direttamente agli elettori, che definisce “datori di lavoro” del sindaco.
“Ho girato quasi tutti i quartieri della nostra città, ascoltando le persone e studiando soluzioni concrete. Ora voglio metterle in pratica. Per cambiare Roma non basta un nuovo Sindaco, serve anche una nuova classe dirigente competente e onesta” scrive tra l’altro. E aggiunge: “la mia è una candidatura civica, lontana dai partiti e dalle persone che hanno paralizzato la città negli ultimi anni. Roma – conclude – non è ingovernabile. Nessuna maledizione ci condanna al declino. Dipende da noi”.
Con un’unica lista (civica) a supporto il leader di Azione, che si definisce un “socialista liberale”, in questa campagna elettorale sembra stia puntando tutto o quasi sull’intercettazione del consenso degli indecisi, tentando di sfilarsi dall’etichettatura politica. “Il tema vero è riempire” l’attività politica “di contenuti” ha spiegato, precisando che “ci sono cose amministrative che non sono né di destra né di sinistra”. E rientra forse in quest’ottica la sua proposta – subito rifiutata dal diretto interessato – di chiamare a fargli da vicesindaco Guido Bertolaso, a lungo in forse come possibile candidato del centrodestra. “Non avendo partiti alle spalle io potrò fare una squadra prendendo solo gente in gamba” ha dichiarato ai media a proposito della sua idea, che i suoi sostenitori non hanno per niente gradito (una valanga, infatti, i commenti negativi ricevuti). Aggiungendo poi che per lui “esiste una sola bussola per gli incarichi: persone esperte e indipendenti”, ha fatto sapere che pensa anche all’ex sindaco Ignazio Marino.
La corsa di Calenda, portata avanti sotto l’egida dello slogan “Roma, sul serio”, si concluderà il 1 ottobre a Piazza del Popolo. Appare difficile, almeno stando ai sondaggi, che il leader di Azione arrivi al ballottaggio. Resta da vedere come si comporterà (e quindi come indirizzerà i suoi elettori) quanto al secondo turno, anche alla luce sia delle critiche più o meno pesanti rivolte a Virginia Raggi (una su tutte: “Roma è peggiorata in tutti i settori base”) sia, soprattutto, dei rapporti non esattamente distesi con il Partito Democratico e Roberto Gualtieri.
Quest’ultimo, che molto probabilmente si scontrerà con Enrico Michetti al ballottaggio, ha iniziato la sua corsa per il Campidoglio dopo le primarie del Pd del 20 giugno, che gli hanno fatto da investitura ufficiale. Subentrato, come proposta iniziale del centrosinistra, all’ex segretario del suo partito Nicola Zingaretti (la sua candidatura è abortita a causa delle posizioni, in Regione, del Movimento 5 stelle: i pentastellati alla Pisana, infatti, avevano fatto sapere di non escludere ripercussioni in caso di discesa in campo per Roma del governatore del Lazio), il “comunista con la chitarra”, appoggiato da sette liste, ha dichiarato di voler essere “la politica che guarda e prova a risolvere i problemi” ed ha aggiunto, durante il comizio di apertura della sua campagna elettorale, che si impegnerà per “una città ridisegnata all’insegna della prossimità e della cura”.
Nel corso di un acceso confronto con gli altri principali candidati alla carica di primo cittadino di Roma, l’ex ministro dell’Economia del Conte bis, ha sottolineato l’importanza di lavorare per una Capitale “poliedrica”, con “luoghi di incontro, cultura e lavoro”. Ed ha aggiunto, riferendosi al Recovery plan, che “sono in arrivo complessivamente alcuni miliardi” e per impiegarli nel miglior modo possibile “serve attingere alla collaborazione delle forze migliori della città”. Ma non solo, perché Gualtieri tra le altre cose, sulla falsariga di quanto avvenuto a Barcellona (il cui sindaco, Ada Colau, ha sostenuto pubblicamente la sua candidatura), propone una maggiore partecipazione dei cittadini attraverso consultazioni da realizzare mediante piattaforme digitali.
Discorso a parte per il sindaco uscente Virginia Raggi, che ha quasi spiazzato il suo stesso partito lanciando la sua ri-candidatura già nell’estate 2020, prima ancora di avere il benestare del Movimento 5 stelle. Che forse, nell’ottica di possibili alleanze, avrebbe preferito puntare su qualcuno di meno divisivo.
La sua campagna elettorale, con tanto di call-concorso on line per coinvolgere i cittadini con idee da inserire nel programma (i proponenti delle indicazioni scelte sono stati poi candidati in una delle quattro liste civiche a sostegno di Raggi), l’ha vista almeno apparentemente abbastanza indietro rispetto agli altri contendenti (stando ai sondaggi sembra essere in corsa con Calenda per la terza posizione). Raggi, infatti, inevitabilmente si scontra con i problemi di Roma, secondo molti cittadini ancora drammaticamente non risolti dopo il suo mandato al Campidoglio. In primis la situazione relativa alla pulizia e al decoro, che ha visto un continuo battibecco con annesso rimpallo di responsabilità tra Raggi e il governatore Zingaretti. Questione rifiuti con annessa circolazione in città di cinghiali e altra fauna a parte, il sindaco uscente ha in questi giorni coraggiosamente affermato di essere in ascesa e si è detta certa di arrivare al ballottaggio con Enrico Michetti. “Non temo nessuno” ha dichiarato ai media.
Tanta sicurezza, almeno apparentemente, sembra però immotivata. Perché Virginia Raggi – che pure mantiene una certa percentuale di consensi, anche se abbastanza inferiore a quella del 2016 che le ha consegnato la Capitale – forse mal consigliata dai suoi collaboratori, non ha in queste settimane spiccato né per acume né per brillantezza.
Esemplificativi, in tal senso, due episodi: il primo è quello relativo al Museo della Shoah a Villa Torlonia, la cui cerimonia di inizio lavori è stata annullata dopo che la stessa comunità ebraica ha rifiutato l’invito ritenendo l’iniziativa inopportuna a pochi giorni dalle elezioni (in una nota all’Ansa aveva addirittura parlato di “protagonismi elettorali”). Il secondo è la querelle che ha visto il Campidoglio costretto a rimuovere una gigantografia di Raggi pagata da una partecipata del Comune nell’ambito dell’iniziativa “Storie di microcredito”: in proposito è addirittura intervenuto il Corecom (Comitato regionale per le comunicazioni), secondo cui lo scatto è da considerarsi come propaganda elettorale e dunque la sua esposizione viola la legge sulla par condicio. Uno scivolone non da poco insomma, peraltro denunciato pubblicamente dal Partito Democratico: chissà, se Gualtieri dovesse realmente andare al ballottaggio con Michetti, dopo questo scontro (che è solo uno dei tanti tra la pentastellata e i dem) come si evolveranno gli accordi per eventuali sostegni al candidato del centrosinistra.
Speriamo in Calenda.