Il nazionalismo ha recato all’Europa e al mondo immensi danni, ma almeno un aspetto positivo lo presentava: stornare verso l’esterno, magari sublimandolo sotto forma di amor di patria e di culto dell’onore militare, quelle pulsioni aggressive che – come c’insegna il padre della scienza etologica, il premio Nobel Konrad Lorenz – sono innate nell’animo degli animali, dunque anche dell’uomo, animale (a volte) razionale.
Quello che si sta verificando dal marzo dello scorso anno ne costituisce una conferma. Quando si cominciò a parlare del virus venuto dall’Oriente, la prima preoccupazione delle anime belle fu cercare di prevenire qualsiasi forma di sinofobia. Fu tutta una fioritura di slogan fra il ridicolo e il patetico, stile “abbraccia un cinese”, e infatti (per fortuna) nessuno spaccò le vetrine dei ristoranti in cui si servono i prodotti della cucina cantonese; tutt’al più preferì la pasta all’amatriciana agli involtini primavera. Limitare le presunte pulsioni xenofobe fu il primo obiettivo perseguito, con successo, ma da allora…
Quando fu imposto il confinamento sociale, l’aggressività cominciò a manifestarsi fra gli italiani, finita la fase deamicisiana dell’“andrà tutto bene” e delle lenzuola ai balconi. Complice la reclusione domestica in appartamenti spesso sovrappopolati (Lorenz anche in questo caso docet), vi fu chi denunciò il vicino che aveva introdotto amici o parenti a casa, o lo sportivo che si permetteva di diffondere il contagio prendendo il sole in una spiaggia deserta o correndo senza mascherina in un bosco rischiando di contagiare al massimo gli scoiattoli.
Quello che accadde la primavera scorsa tuttavia è nulla rispetto a quanto avviene da quando è stata prospettata la possibilità di debellare la pandemia attraverso il vaccino. Se in un primo tempo gli italiani se la presero con chi “saltava la fila” o contro categorie a torto o a ragione ritenute privilegiate, quando la prospettiva di conseguire l’immunità di gregge si è rivelata più impervia del previsto l’odio sociale ha cominciato a indirizzarsi (o a essere indirizzato?) nei confronti di quanti per intima convinzione o per cauto scetticismo riluttano a porgere il braccio alla siringa. I non vaccinati vengono quotidianamente paragonati a evasori fiscali, renitenti alla leva (per altro di fatto abolita), sabotatori della salute pubblica, in una campagna di odio senza precedenti, rispetto alla quale le pur deplorevolissime aggressioni nei confronti di alcuni virologi fanno sorridere. C’è persino chi ha proposto di fucilare come i disertori della grande guerra infermieri e medici che non si sono vaccinati (e magari ha fatto l’obiettore al servizio di leva e ha in tasca la tessera di Amnesty International). Dalle parole si è passati presto ai fatti, sia pure in forma meno truculenta, con l’introduzione del lasciapassare verde, il cui scopo dichiarato non è impedire il contagio, ma rendere la vita impossibile a quanti non si vaccinano. Il provvedimento va oltre le stesse direttive dell’Unione Europea, che raccomanderebbero di non discriminare chi non può o non vuole vaccinarsi, e introduce, se non de jure de facto drastiche limitazioni alla libertà personale per vastissime categorie. Oltre tutto, con la logica del maestro che punisce tutta la classe perché alcuni alunni sono stati cattivi, col risultato di renderli odiosi, viene paventata l’eventualità di nuove chiusure a ottobre se non verrà raggiunta l’immunità di gregge. Peccato che l’asticella delle percentuali di vaccinati indispensabili per ottenerla venga alzata sempre di più. Sono convinto che chi paragona la condizione dei refrattari al vaccino oggi a quella degli ebrei in Germania nel 1938 dica una sciocchezza di cattivo gusto, così come un anno e mezzo fa commetteva un’imperdonabile banalizzazione del Coronavirus, paragonandolo a un banale raffreddore. Mi pare di scorgere però – nei titoli dei quotidiani, ma anche nelle lettere al direttore, nei discorsi dell’uomo della strada, nelle proposte avanzate – accenti di odio sociale che non avvertivo dagli anni di piombo. C’è chi propone di far pagare a chi non si vaccina le cure mediche in caso di ricoveri da Covid, chi di togliergli la pensione (in tanti fin d’ora rischiano di perdere lo stipendio), chi di confinarlo in casa come un delinquente agli arresti domiciliari, dopo avergli sottratto, se genitore di minori, la patria potestà; per avere una carrellata sulle più gravi e pittoresche di queste provocazioni invito a connettersi al sito internet https://www.youtube.com/watch?v=hwwvSHovWFg. E tutto questo è minacciato a persone che non hanno violato nessuna legge, per il semplice motivo che non c’è nessuna norma che imponga l’obbligo vaccinale e nessuno ha ricevuto la cartolina precetto dalla Asl. Certo, nessuno ha il monopolio della faziosità e della cattiveria, e quando vedo qualche cosiddetto no-vax registrare con soddisfazione il decesso precoce e imprevedibile di qualche neo-vaccinato provo imbarazzo come quando i grandi quotidiani d’informazione riportano con enfasi la morte per Covid di un non vaccinato.
Non sono un virologo né uno statistico, per cui non posso onestamente esprimere un giudizio scientifico sulle ragioni dei no vax e dei loro avversari. Mi limito a constatare che quello che per comodità chiamo anch’io vaccino non è propriamente tale, perché chi lo fa rimane contagioso e contagiabile. E questo non per colpa dei ricercatori, ma del fatto che il vaccino – quello tradizionale – è una sorta di malattia bonsai, inoculata perché il paziente sviluppi gli anticorpi. Ma se chi si è ammalato di Covid si riammala, come si cominciò a constatare nei primi mesi dell’epidemia, a maggior ragione chi ha avuto inoculato un contagio bonsai sarebbe ancora più soggetto ad ammalarsi. Per questo sono convinto che se invece di puntare sui vaccini scienza medica e industria farmaceutica avessero concentrato le loro forze sulla ricerca di terapie o sulla valorizzazione di farmaci già esistenti, i risultati sarebbero stati migliori. Scettico per indole e per età, diffido sempre di quelli che Pareto chiamava i religionnaires e di quanti potrebbero sfruttare la paura – del virus, ma eventualmente anche del vaccino e delle sue conseguenze – per vendere i loro prodotti fisici o ideologici. Ho amici medici no vax e altri che invece mi scongiurano di vaccinarmi, vista anche la mia età che mi colloca nelle fasce a rischio. Ma l’arroganza di certi esponenti della sinistra che brandiscono la siringa come i loro padri brandivano negli anni di piombo la chiave inglese mi fa preferire pagare il pedaggio di un tampone al bisogno piuttosto che accettare un obbligo non scritto, ma imposto surrettiziamente, e ad ascoltare le voci di chi è ostile al vaccino.
Per questo motivo (e anche perché, debbo riconoscerlo, la sua sede dista meno di cento metri dalla mia residenza estiva) mi sono recato alla prima festa nazionale di Ancòra Italia, svoltasi presso il bagno Giusy Beach di Viareggio, sabato e domenica scorsi. Non pensavo di trovarmi di fronte a una ristretta accolita di scienziati pazzi o di pericolosi eversori, ma nemmeno dinanzi a circa un migliaio di persone che, con un lungo e disciplinato serpentone lungo la passeggiata a mare di Viareggio, si mettevano in coda per entrare, presentandosi all’ingresso per farsi registrare. E mi aspettavo interventi latrati e minatorii, non certo discorsi in genere largamente argomentati, ora con i vibranti toni comiziali di Francesco Toscano, ora con le calde ma pacate argomentazioni filosofiche di Diego Fusaro. Né sono mancati avvocati, medici, professionisti, studiosi. Ho ascoltato interventi talora urlati, ma comunque non fanatici; e non ho registrato attacchi personali, a parte qualche frecciata contro Grillo e i Cinquestelle. Anche la quantità e la qualità del pubblico mi ha colpito. È vero che i presenti provenivano da tutta Italia, ma per un partito (Ancòra Italia rivendica questa qualifica) appena nato, oltre tutto con le restrizioni ai trasporti a lunga percorrenza per chi non è provvisto di passaporto verde, riunire mille persone e mantenerle accampate sulla sabbia un giorno e mezzo, nonostante il sole cocente di un imprevedibile settembre, non è un successo da poco. Più che la quantità dei presenti, però, mi ha colpito la qualità. Seduti o distesi sulla sabbia ho trovato giovani palestrati e magari tatuati (pochissimi), ma anche famigliole romane col padre venuto con la giacchetta da travè, poi diligentemente ripiegata sulla rena, moltissimi trentenni, quarantenni, cinquantenni: le fasce d’età più penalizzate dai provvedimenti del governo, in caso di riluttanza al vaccino. In genere persone del tutto normali, pacate, ben lontane da ogni forma di fanatismo, civilissime anche nel non invadere, nonostante la mancanza di spazio, la spiaggia dei bagni adiacenti e nel non protestare per l’inadeguatezza del catering. Non escludo che nascosto fra loro possa nascondersi un fanatico, ma ho scorto nella platea soprattutto persone desiderose di capire e inclini – come ha detto un relatore – a preferire a un’ipotetica immunità di gregge l’immunità dal gregge.
Quanto all’orientamento politico del movimento, ho registrato, per utilizzare un grazioso eufemismo, una certa polifonia. Se Diego Fusaro cita Gramsci e Marx, in altri interventi ho respirato un gradevole profumo di Amarcord, con richiami alla “visione del mondo” e alla protesta e proposta di mennittiana memoria. E Cosimo Massaro, autore di un recente saggio intitolato Usurocrazia svelata, ha ricordato le teorie sulla moneta e sul signoraggio del professor Giacinto Auriti, che mezzo secolo fa era vicino al Movimento sociale e si candidò con la Mussolini alle Europee del 2004. Nutrita la presenza di cattolici, anche se più vicini a monsignor Viganò che a papa Bergoglio. Denominatore comune la critica al neoliberismo che rischia di condurre a una progressiva erosione delle libertà personali. Certo, qualcuno potrebbe scorgere una sottile malizia nelle analogie fra la grafica del logo del neopartito – arcigno profilo dantesco a parte – con quella del vecchio simbolo di Alleanza Nazionale. Ma altro è il logo, altro il logos, e i capisaldi teorici del movimento mi paiono delineati dall’intervento di Fusaro, che ha parlato di una ristrutturazione autoritaria del capitalismo favorita dalla pandemia, pur negando – con buona pace dei cosiddetti complottisti – la dimostrabilità di una creazione del virus in laboratorio finalizzata all’instaurazione di un nuovo ordine mondiale.
In realtà, più che sulla collocazione ideologica del neo-partito, sarebbe interessante valutare quale potrebbe essere la sua funzionalità nel panorama politico italiano. All’apparenza, il suo elettorato di riferimento potrebbero essere i delusi di Grillo e del grillismo, ma non è da escludere che Ancòra Italia possa attingere a delusi di tutti i partiti e al serbatoio elettorale della Lega o di Fratelli d’Italia. Un’attrattiva non indifferente potrebbe essere esercitata su esponenti di una sinistra non conformista, che si riconosce nelle posizioni di un Agamben o di un Cacciari, e che è rimasta priva di referenti politici, visto che la battaglia, a mio giudizio nobile, del no-pass (qualcosa di molto diverso dal no-vax, dal no-mask o peggio dal no-covid) viene oggi ingaggiata solo da partiti di destra.
Personalmente credo che in Italia di partiti ve ne siano sin troppi, mentre il raggruppamento che ha in Diego Fusaro il suo maître à penser potrebbe trovare una propria collocazione come movimento di opinione e strumento di pressione, e soprattutto come “serbatoio di pensiero”, sottratto alle miserie della politica politicante. Mi hanno colpito infatti, nella due giorni viareggina, il richiamo ai valori della cultura, la proposta di realizzare corsi di formazione politica (qualcuno ha prospettato la fondazione di una contro-università), la presenza fra i relatori di persone competenti, in tutti i campi, in spregio alla logica perversa dell’“uno uguale uno”, e persino il fatto che la prima giornata si sia chiusa con un concerto in notturna di musica lirica. In questo senso, considerato che la cultura è purtroppo la grande assente nei programmi e soprattutto nella prassi dei partiti del centrodestra, un movimento come Ancòra Italia potrebbe trovare una propria collocazione, svolgendo un apprezzabile ruolo non di concorrenza ma di operosa supplenza.
Quanto a me, dopo un giorno e mezzo di full immersion nel mondo cosiddetto no-vax, non ho cambiato atteggiamento. Da concittadino di Machiavelli, e soprattutto di Giuseppe Prezzolini, continuo a rivendicare il diritto a cercar di pensare con la mia testa, magari, come tutti, sbagliando. Non conosco la microbiologia, ma la storia sì. E la storia (soprattutto della rivoluzione francese) m’insegna che quando la gente smette di pensare con la propria testa incominciano a cadere le teste.
Se il nostro non fosse un popolo individualista, fazioso, settario, spesso anarcoide, quasi impossibile da governare (e pure poltrone, giacché vota per l’infame Reddito di Cittadinanza) potrei forse coincidere…invece mi scopro sempre più partigiano di de Maistre e della forca… Fusaro presenta insalate russe destra-sinistra indigeste ed immangiabili, a mio modesto parere…