Erevan – Ci avviciniamo a Erevan, capitale dell’Armenia, dove si concluderà il nostro viaggio lungo questa terra ricca di fascino e carica di spiritualità. Venire in Armenia, infatti, significa lasciarsi lentamente conquistare dalla sua energia perché tutto ciò che ti circonda ti racconta di storia, ti comunica di fede, ti parla di una vita semplice che scorre dentro famiglie ancora unite e allargate, quasi patriarcali dove l’armonia dei ruoli più che scandita si direbbe che scorre attraverso la gratuità di un amore vivo e palpabile, da marito a moglie, da figlio a padre, da nonno a nipote, da madre a figli, da fratello a sorella.
Il monastero di Geghard
Lungo la strada che porta a Erevan si trovano due posti di ammirevole fascino. Il primo è l’antichissimo monastero di Geghard, in parte scavato nella roccia e immerso in una natura incantevole che ha offerto ai monaci anche la possibilità di ritirarsi in grotte naturali per il raccoglimento ascetico. Anche questo monastero ha dovuto subire l’orda devastatrice delle varie dominazioni ma oggi si presenta ancora in piedi con un’architettura ricca di elementi decorativi di grande pregio, fra cui segnaliamo un bassorilievo spettacolare dove vengono rappresentati due leoni legati che sormontano un’aquila adunghiante con gli artigli un agnello. Il secondo posto è ancora più arcaico, risale ai tempi dell’Armenia pagana e ci fa sentire anche un po’ nella Roma antica, o meglio, nell’estrema periferia orientale dell’Impero romano.
Stiamo parlando del tempio di Garni, ovvero il tempio pagano più a est del mondo. Conservato benissimo, questo edificio colpisce subito l’occhio per la sua pietra in basalto nero, praticamente da brividi!
Siamo a Erevan, la “città rosa” per il colore dei suoi palazzi in tufo tipico, città antichissima anche se conserva poco della sua storia perché i sovietici praticamente la ricostruirono per intero. Città dinamica e vivace con il suo milione di abitanti, i locali sempre aperti e i tanti cantieri a lavoro. Il centro della città è un vero e proprio capolavoro di urbanistica dell’architetto Tamanyan che è riuscito a dare armonia e a unire in maniera equilibrata lo stile identitario armeno con le esigenze della cultura sovietica del tempo. Questa città, infatti, risulta piacevolmente molto originale rispetto a tanti altri centri caratterizzati da un’architettura molto rigida, squadrata e funzionale tipica dell’epoca sovietica. In centro è molto facile da visitare per la sua pianta circolare, dove sono distribuiti molti parchi verdi e tante fontane artistiche in cui giocano tanti bambini e trovano rinfresco le famiglie.
La “fontana” più famosa è certamente il complesso delle “Cascate”, una scalinata monumentale dove a ogni piano scorre acqua su più fontane artistiche e al cui interno ospita una vera e propria galleria d’arte moderna. Probabilmente lo spettacolo di questo monumento lo rende il posto più iconico di questa città benché i lavori non siano ancora terminati. Manca infatti l’ultimo piano che congiungerà alla sovrastante collina e al Parco della Vittoria, dove si trova l’imponente statua della Grande Madre Armenia al cui interno è ospitato un museo sulla Seconda Guerra Mondiale e sulla Prima Guerra per l’Artsakh. Questo vero e proprio “altare della Patria” è un imponente monumento mozzafiato che vuole celebrare la pace e l’indipendenza raggiunta con la forza dopo secoli di dominazioni straniere, ma rappresenta anche un tributo a tutte le donne armene che hanno sempre assunto un ruolo protagonista nella storia di questo Paese e nelle lotte per la sua libertà.
L’Armenia, benché sia una civiltà millenaria, ha da sempre dovuto subire i flussi delle dominazioni straniere che hanno percorso in maniera turbolenta questa terra di frontiera fra Oriente e Occidente. Nonostante ciò, la cultura e l’identità armena non si è mai lasciata assorbire ed è sempre sopravvissuta in maniera monolitica, un miracolo probabilmente dovuto a due fattori determinanti. Il primo è la lingua armena, con il suo particolare alfabeto, creata dal monaco Mesrop Mashtots all’inizio del V secolo. Questa straordinaria operazione linguistica consentì al popolo armeno di dotarsi di una propria letteratura e di acquisire una propria coscienza nazionale che pian piano la distingueva dalle altre popolazioni caucasiche, persiane e anatoliche, consentendone la difesa dall’assimilazione come avvenuto per altri popoli ormai scomparsi. Inutile dire che gli armeni sono innamorati della loro lingua alla quale hanno addirittura dedicato un parco monumentale con le lettere del suo alfabeto ma soprattutto il museo del Matenadaran, ovvero il tempio della lingua armena. Qui vengono conservati oltre ventimila manoscritti in armeno (e non solo), molti dei quali antichissimi e in ottimo stato di conservazione. Visitare questo posto significa immergersi in un mistico viaggio fra pergamene ricche di immagini, di arte, di letteratura, di scienze, di storie che raccontano silenziosamente la storia di un popolo che da sempre ha una grande sensibilità culturale.
Quando si parla di Armenia automaticamente si pensa anche al Cristianesimo, ed è questo il secondo elemento che ha contributo all’Armenia di preservare la sua identità e la sua sopravvivenza, nonostante questa fedeltà sia stata pagata spesso con il martirio. Due dei simboli di questo straordinario rapporto fra il popolo armeno, il primo nella storia ad abbracciare il Cristianesimo, e la sua fede ancora viva e profonda si trovano alle porte della città di Erevan. Il primo è Echmiadzin, la città più sacra di tutta l’Armenia perché qui si trova la sede del Catholicos, ovvero il capo della Chiesa Apostolica d’Armenia. Insomma, una sorta di piccolo Vaticano armeno, cuore e propaggine in tutto il mondo della fede armena ricca di sacerdoti molto attenti alla Verità rivelata ma soprattutto persone cariche di sensibilità e simpatia. Le intense chiacchierate con questi uomini di Dio, che hanno anche una visione geopolitica e culturale lungimirante, sono uno dei ricordi più intensi di questo viaggio.
Il secondo posto che rappresenta iconicamente il rapporto fra Armenia e Cristianesimo, sono i resti della cattedrale di Zvartnots, luogo capace di coinvolgere emotivamente e spiritualmente mentre si attraversano le volte delle colonne riccamente decorate. Anche questo sito è patrimonio dell’Unesco ed è così carico di storia che consigliamo una visita guidata per poterne apprezzare pienamente il valore storico e culturale.
Altri posti in Erevan che meritano di essere menzionati sono certamente la cappella di San Katoghike, ovvero la chiesa più antica sopravvissuta alla furia sovietica; la tomba di Sant’Anania, carica di devozione popolare; la Galleria Nazionale, nella centralissima e bellissima piazza della Repubblica, un museo che racconta tutta la millenaria storia di questa civiltà; la moschea blu, testimonianza del dominio persiano; l’Opera, cuore artistico della città; il Vernissage, ovvero il mercato dove poter apprezzare l’artigianato locale; la fortezza di Erebuni, per apprezzare quanto antica sia questa città; e in ultimo il Tsitsernakaberd, ovvero il monumento ai martiri del genocidio armeno. Quest’ultima è una tappa fondamentale se si vuole davvero vivere questa straordinaria terra che in sé patisce ancora il dolore di quella tragedia vissuta fra il 1915 e il 1918, e che ha portato allo sterminio di circa un milione e mezzo di armeni in quel progetto folle di pulizia etnica portato avanti dall’Impero ottomano. Una storia e una memoria, purtroppo, ancora da riconoscere in diverse parti del mondo, soprattutto in Turchia.
Siamo arrivati alla conclusione di questa esperienza ricca di emozioni e vogliamo pensare a tre costanti che abbiamo incontrato lungo le strade interne o principali percorse e che possono essere assunte in maniera significativa sia per il viaggiatore, sia per il popolo armeno stesso. La prima è la presenza di numerose fontane, simbolo di fertilità e di vita, simbolo di speranza nonostante le tante difficoltà che ancora questa terra attraversa. Un ragazzo in questi giorni ci ha detto che l’Armenia non è come le altre nazioni perché sempre deve combattere per la sua sopravvivenza e purtroppo anche le recenti cronache di guerra in Artsakh (regione dove ogni pietra parla armeno ma che lo scorso autunno è stata occupata quasi per intero dell’esercito azero) confermano questa tragica realtà che però non soffoca le speranze di pace degli armeni. La seconda sono i Khachkar (croci di pietra) distribuiti in ogni angolo, a ricordare l’orgoglio della propria identità che non può essere mai tradita poiché rappresenta l’unica vera forza per rispondere a ogni sfida. Infine, un’immagine che ci portiamo in maniera indelebile, sono le famiglie che ci hanno accolto con grande calore e ospitalità durante questo viaggio. Finché c’è famiglia c’è patrimonio, c’è comunità, c’è futuro, c’è speranza, c’è… Armenia!
La prima puntata del reportage Sulle strade d’Armenia/1