
Come si è avuto modo di dire in varie occasioni, più ci si allontana dal 1945 e più si insiste nella retorica del 25 aprile, della “resistenza”, della “lotta di liberazione”, dei Buoni di qua e dei Cattivi di là, del Bene Assoluto e del Male Assoluto, senza mezze misure, senza riconoscimenti alla buona fede, senza cercare di capire le ragioni di chi è stato sconfitto, di chi – questa volta – stava dalla “parte sbagliata” semplicemente perché ha perso, semplicemente quella opposta alla parte dei vincitori.
E’ la condanna di una nazione che non ha meditato, capito, ragionato sul suo passato, ma solo adottato lo schema semplicistico del vae victis!, della damnatio memoriae. E come sempre accade, la “parte giusta” ha bisogno dei suoi miti fondanti, che possono anche essere fasulli e artificiosi, ma ai quali occorre credere. Uno di essi, ancorché banale, è una canzone, quel Bella ciao che ormai in Italia e nel mondo indica la resistenza al cosiddetto “nazifascismo”, non invece all’oppressore in genere, dato che nelle sue strofe si parla solo di un non ben specificato “invasore”.
Inopinatamente la ricorrenza del 25 aprile 2021 e, a strascico, quella del 2 giugno, sono state più politicizzate del solito, quasi che i politici e le cariche dello Stato, compresa la suprema, avessero voluto recuperare il tempo perduto l’anno precedente, con l’emergenza sanitaria che aveva impedito manifestazioni pubbliche, per calcare la mano con parole e concetti in questo senso. La retorica l’ha fatta da padrona, ed è sembrato di essere tornati a settantacinque anni fa con la paura di un “revanscismo fascista”. Il fatto poi che, come si legge su Il Giornale del 7 giugno 2021, la sinistra italiana unita (dal PD ai 5 Stelle passando anche dai moderati renziani) abbia depositato alla Camera un progetto di legge per istituzionalizzare Bella ciao e renderne obbligatorio il canto il 25 aprile insieme o al posto dell’Inno di Mameli, ha dato esca a varie polemiche, nelle quali si è inserito il tuttologo principe del Corriere della Sera, Aldo Cazzullo, che sa e scrive di tutto e su tutto, dallo sport alla politica estera, con parole eccessive, lui che in genere cerca di dare un colpo a cerchio e uno alla botte, quasi fosse un democristiano nell’anima.
Sicché il 21 giugno gli ho inviato questa email:
“Egregio Cazzullo, indipendentemente dal fatto se questa mia verrà pubblicata o meno, mi sembra onesto riportarle quanto scrivono due noti specialisti, Virgilio Savona e Michele Straniero, che nel loro “Canti della resistenza italiana” (BUR, 1965, p. 74) a proposito di “Bella ciao” di cui si discuteva già quarant’anni fa e anche prima, e non solo adesso: “Presumibilmente Bella ciao non fu mai cantata durante la guerra partigiana, ma nacque nell’immediato dopoguerra. La sua popolarità ebbe inizio nel 1948, al Festival della gioventù di Berlino dove fu cantata con enorme successo, da un gruppo di studenti italiani”.
Questa dunque pare essere la verità storica che oggi non si ama ricordare per creare una leggenda ex post, come peraltro ha anche ricordato di recente Paolo Guzzanti citando un testimone. Se la si vuole ignorare e non si esprime nemmeno un piccolo dubbio in merito, questo non fa onore a nessuno.
Dato il luogo e l’occasione della sua nascita è quindi giusto definirla una “canzone comunista”, indipendentemente dal fatto che dopo il 1948 venne cantata da tutti i partiti democratici in Italia e nel mondo, ma con simili premesse le sue parole sul “Corriere” del 18 giugno – “Ma questo è un discorso perfetto per le polemiche politiche di oggi, magari per giustificar chi combatté per Hitler e Mussolini” – a questo punto mi sembrano fuori luogo. Così come l’idea di istituzionalizzare, come vorrebbero Pd, Iv , Leu e M5S, questa canzone che, in sostanza, è un falso storico. E infatti, lo stesso Giorgio Bocca, come si riporta spesso, scrisse che non la sentì mai cantare da nessuno in venti mesi di guerra civile. Magari qualche formazione partigiana sparsa qua e là la cantò, ma non è lecito generalizzare. E’ diventata un simbolo artificioso nel dopoguerra grazie alla strumentalizzazione comunista e come tale la si vorrebbe far passare quasi fosse verità storica. E ci vuole coraggio per andar contro una vulgata che tutti accettano senza obiezioni da 70 anni.
“Bella ciao”, come ha scritto Cesare Bermani, è stata l’ “invenzione di una tradizione”, che in precedenza non esisteva.
Questa la lettera, che non prevedeva ovviamente risposta, in cui avrei fatto bene a citare anche quello straordinario libro di testimonianze firmato da Sergio Tau, intervistato qui all’epoca, e intitolato La repubblica dei vinti (Marsilio, 2018), che ben racchiude le motivazioni ideali di quanti si schierarono dalla parte della RSI, dalla parte “dell’onore” e non “di Hitler e Mussolini” come scrive banalmente il giornalista piemontese, ma sul momento non ci ho pensato. Comunque, nella lettera sono riassunte le ragioni per cui, oggi, si vuol dimenticare come alle origini della fortuna di Bella ciao c’è stato il comunismo italiano e poi internazionale (e quindi ha ragione Ignazio La Russa a definirla “canzone comunista”). Bella ciao divenne popolare nelle feste de L’Unità del Pci e pian piano assunse l’emblema della “lotta al nazifascismo” anche se nella realtà della guerra civile 1943-1945 o non la cantò nessuno, o la cantarono poche formazioni sparse e non collegate fra loro: non di un inno resistenziale, diffuso e popolare si trattò, e questo lo si diceva già negli anni Settanta del secolo scorso, e lo testimonia addirittura Giorgio Bocca, ex fascista e razzista che divenne partigiano della libertà… Oggi lo si ignora e si vorrebbe trasformare un falso storio in qualcosa di ufficiale e ufficializzato. E’ stata appunto la “invenzione della tradizione”, come pare sia stato anche per il kilt, il gonnellino degli scozzesi.
Dopo tre generazioni siamo ancora a questo punto, su una Repubblica fondata sui falsi miti, ai quali contribuiscono purtroppo anche le alte autorità, rincarando la dose. Nessuno ha ancora il coraggio morale, civile e politico di cercare di uscirne, e dobbiamo farcene una ragione perché nessuno mai l’avrà. Ci sono tabù intoccabili anche se menzogneri: ultimo esempio il 23 giugno quando la sinistra ha aspramente polemizzato nei confronti del candidato di centrodestra alla Regione Calabria Nino Spirlì, il quale ha condannato Mussolini per le leggi razziali e la mancanza di libertà ma lo ha assolto ampiamente per tutta la sua vasta politica sociale… Qualcuno potrebbe negare che il Duce non l’abbia messa in pratica durante il Ventennio? No, ma a priori lo si deve per forza condannare.. Non se ne esce.
Il 25 aprile deve essere eternizzato: una conseguenza di “ora e sempre resistenza” dell’Anpi, di cui fa parte ancora solo qualche ultranovantenne, e Bella ciao deve continuare ad essere il suo simbolo per consolidare una tradizione che non è mai esistita.
Ottimo articolo.
Falso il canto così come falsa è la resistenza. Chi ricorda un episodio significativo della resistenza che non sia un massacro su persone e militi inermi e indifesi?
Se è per questo, anche Claudio Pavone negli anni Sessanta citava una “nuova canzone del partigiano” che però non conosceva, lui che pure aveva partecipato alla Resistenza…