Del Seicento portoghese figurano nell’antologia solo due nomi, quello di Francisco Rodrigues Lobo (1580-1622) – poeta e prosatore, una delle personalità più illustri della cosiddetta scuola camoniana, nonché figura centrale nella narrativa barocca manierista portoghese, e autore, tra l’altro, nel 1619, di un’opera di grandissimo successo dal titolo La corte nel villaggio [Corte na aldeia], una sorta di galateo, in sedici dialoghi didattici, sui precetti della vita cortigiana, in parte ispirato a Il libro del cortegiano di Castiglione – e quello di Francisco Manuel de Melo (1608-1666) – poeta, drammaturgo, apologista e storico, forse il più insigne rappresentante della cultura aristocratica peninsulare nell’epoca a cavallo della Restaurazione, ossia degli ultimi vent’anni del dominio spagnolo in Portogallo sotto i tre Filippi e dei primi venticinque della dinastia portoghese dei Braganza, con una vasta opera letteraria prettamente bilingue e nutrita dalle due culture, portoghese e castigliana.
Di Rodrigues Lobo, Prampolini traduce un sonetto e due endechas (7). La scelta di queste tre liriche non è stata affidata al caso. In tutte è presente l’elemento acqua, un elemento – come nota lo stesso Prampolini – che fu fatale all’autore, essendo morto annegato nel Tago [cfr. PRAMPOLINI, 1974: III, 331].
Quanto a Francisco Manuel de Melo, Prampolini opta per lo storico, traducendo un brano tratto da una delle cinque epanafore da lui scritte, la Epanáfora trágica. L’epanafora è un genere molto particolare, una specie di relazione storica, che in Francisco Manuel de Melo ha la caratteristica della testimonianza personale, con il ricorso costante all’animazione drammatica e all’osservazione concreta dei fatti. Come nel caso del brano scelto da Prampolini, che relaziona il naufragio dell’intera flotta di don Manuel de Meneses, sulla cui nave ammiraglia era imbarcato l’autore, allora diciannovenne, e occorso nel 1627 sulle coste mediterranee francesi.
Il Settecento portoghese è rappresentato nell’antologia dal solo Nicolau Tolentino de Almeida (1740-1811), tra le più eminenti figure letterarie nonché il massimo poeta dell’epoca illuministica in Portogallo. È, quella del Tolentino, poeta cortigiano, un’opera improntata sulla satira e l’ironia nei confronti dei costumi del tempo; il tutto, utilizzando un tipo di poesia dal linguaggio fondamentalmente prosaico che ha la capacità – come giustamente ricorda Prampolini – di meglio raggiungere «effetti comici deformando le proporzioni» [cfr. IBIDEM, IDEM: 334]. Ne sono testimonianza i due sonetti prescelti: il primo è volto a caricaturare le sproporzionate acconciature femminili epocali; il secondo ha come tema l’abbandono al suo destino, da parte del padrone squattrinato, di un vecchio ronzino, che se prima era il «più fedele e più veloce» ora è destinato a morire di fame.
Gli ultimi tre autori antologizzati sono João Baptista de Almeida Garrett (1799-1854), il caposcuola, insieme con Alexandre Herculano, del primo Romanticismo portoghese, Antero Tarquínio de Quental (1842-1891) e José Maria Eça de Queirós (1845-1900), i due maggiori esponenti della cosiddetta generazione del ’70 portoghese.
Almeida Garrett fu autore di racconti – è il caso de L’arco di Sant’Anna [O Arco de Sant’Ana], di contenuto storico –, di opere poetiche – come il celebre poema Camões, del 1823, al quale si suole far risalire l’inizio del movimento romantico in Portogallo –, di opere teatrali – prima fra tutte Fra Luís de Sousa [Frei Luís de Sousa], considerata il capolavoro del teatro moderno portoghese – e di un bellissimo libro autobiografico, Viaggi nel mio paese [Viagens na minha terra]. Data la poliedricità e la prolificità di Garrett, non era facile per chiunque fare una ristretta scelta antologica tra i generi e le singole opere. Prampolini ha optato per il solo poeta, traducendo, dalle ultime due raccolte di versi garrettiane Fiori senza frutto [Flores sem fruto], del 1845, e Foglie cadute [Folhas caídas], del 1853 – entrambe cristallizzazione di una drammatica esperienza amorosa dell’autore e di conseguenza intense quanto a intimità ed emozione –, rispettivamente, parte di una lunga poesia prosastica, prossima come struttura al versetto biblico, dal titolo Solitudine [Solidão], e una breve e bellissima lirica formata da tre quartine in ottonari, di reminiscenza lamartiniana, Voce e aroma [Voz e aroma].
Antero de Quental, morto suicida, fu come uomo e come scrittore una figura molto singolare, con un’opera sconfinata e variamente sfaccettata, in particolare quella poetica, specchio non di rado veritiero di un’anima perennemente combattuta tra misticismo e metafisica, sentimento e ragione, il che giustifica l’essere ritenuto dalla critica, insieme al grande Fernando Pessoa, uno dei pochi e autentici poeti-filosofi dell’intera letteratura portoghese. Così come per Garrett, anche per quanto concerne Antero, Giacomo Prampolini opta per antologizzare il solo poeta, tralasciando l’autore di scritti filosofici, storici, politici, di costume e critica letteraria. Dalla raccolta in versi anteriana più famosa, Sonetti completi [Sonetos completos], uscita in prima edizione a Oporto nel 1886, Prampolini traduce tre sonetti. I primi due, Idillio [Idílio] e Risveglio [Acordando], appartengono entrambi alla produzione giovanile di Antero, e la cui caratteristica è, rispettivamente, l’amore puerile tra due giovani che si confrontano, appunto idillicamente, con il divino presente nella Natura, e quella del sogno come unica evasione. Il terzo sonetto, Nella mano di Dio [Na mão de Deus], composto nel 1882 e che chiude la raccolta, appartiene a una fase per certi versi ottimistica del poeta, allorquando il pessimismo si attenua lasciando il posto a una certa serenità di spirito.
Eça de Queirós è il massimo esponente del Realismo portoghese. La sua carriera diplomatica, svolta prima a Cuba e successivamente a Newcastle e Bristol, in Inghilterra, e a Parigi, gli permise di entrare a contatto diretto con i movimenti d’avanguardia europei del tempo e, conseguentemente, di contribuire in maniera decisiva alla sprovincializzazione politica e culturale del Portogallo. Forse il maggiore romanziere portoghese di tutti i tempi, ma anche, come sottolinea lo stesso Prampolini, «narratore di significato europeo, universale» [IDEM, 1959-1961: VI, 118], Eça è autore di vari romanzi, molti dei quali tradotti nelle principali lingue, italiano incluso. Nell’antologia è presente con uno dei suoi romanzi più celebri, Il cugino Basilio [O primo Basílio], che racconta un caso tipico di tradimento coniugale. Di questo romanzo, Prampolini sceglie due lunghi brani, mirabilmente tradotti in termini di resa stilistica, senza tradire assolutamente, come lui stesso ha modo di definirlo, il «realismo asciutto e nervoso che Eça de Queirós introdusse nella letteratura del suo paese» [IDEM, 1974: III, p. 339].
Altrettanto mirabile è la sua traduzione, del 1935, di un altro romanzo queirosiano, La colpa del prete Amaro [O crime do Padre Amaro], romanzo di chiara intonazione anticlericale e che affronta il tema del celibato dei sacerdoti [cfr. QUEIRÓS, 1935].
Grazie anche alla splendida, seppur succinta, prefazione a quest’ultimo romanzo, ricca di preziose informazioni e apprezzamenti sulla vita e l’opera tutta di Eça de Queirós, Giacomo Prampolini è da ritenersi, non solo uno dei suoi primi introduttori e traduttori in Italia, ma anche, e soprattutto, il primo insigne scrittore e storico della letteratura italiano che si sia occupato, dal punto di vista critico, del celebre romanziere portoghese.
Le traduzioni dal portoghese di Giacomo Prampolini non si arrestano, però, a La colpa del prete Amaro e ai testi inclusi nella sua antologia della Letteratura universale.
Nei volumi III, IV e VI della sua Storia universale della letteratura trovano posto altre numerose traduzioni di brani estrapolati da opere di autori portoghesi. In particolare, quanto specificatamente alle traduzioni poetiche – a volte, solo pochi versi di una poesia o un poema, altre, brevi e conchiusi componimenti –, è adottata quasi sempre la prassi del testo a fronte, il che dà un tocco di scientificità ulteriore al lavoro traduttivo di Prampolini. Si può, così, meglio apprezzare la fedeltà filologica – ma non per questo necessariamente asettica, ossia basata su un semplice processo di traslitterazione – di molte sue traduzioni. Da quelle di vari versi estrapolati da celebri cantigas e romances e da alcune tra le più belle liriche camoniane – redondilhas (8), sonetti, canzoni, elegie; a quelle di tre strofe del toccante poemetto polimetro La croce mutilata [A cruz mutilada] di Alexandre Herculano (1810-1877) e di una quartina de Il sentimento di un occidentale [O sentimento de um ocidental], tra le più belle composizioni di quel poeta d’eccezione – per il suo linguaggio antiletterario, tra il realistico e il crepuscolare – che fu Cesário Verde (1855-1886). Da quelle, in ambito simbolista, di un vilancete (9) di Eugénio de Castro (1869-1944), tratto dal volume, d’impronta folcloristica, Dopo la messe [Depois da ceifa], e del sonetto O vergini che al tramonto passate [Ó virgens que passais ao sol poente] di António Nobre (1867-1900); a quelle, in ambito modernista, della poesia 7 e di una quartina della poesia Partenza [Partida], entrambe di Mário de Sá-Carneiro (1890-1916), e di Dopo la fiera [Depois da feira] di Fernando Pessoa (1888-1935), componimento tra i meno conosciuti del celeberrimo poeta e scrittore portoghese, pubblicato nel novembre del 1928 sulla rivista «Presença».
A conclusione della sua lunga digressione sulla storia della letteratura portoghese, Giacomo Prampolini darà, sugli ultimi tre secoli di quella che lui definisce «la letteratura colta del Portogallo» [IDEM, 1959-1961: VI, 138], un giudizio non del tutto positivo, poiché, a suo dire, «la formula letteraria di regola trionfò sulla purezza e sulla profondità della concezione artistica» [LOC. CIT.].
Al contrario, la lirica popolare portoghese dello stesso periodo rappresenta «un tesoro di pregio inestimabile, sia per l’intrinseca bellezza, sia per l’espressione dell’anima della stirpe» [IBIDEM, IDEM: 138-139].
Ciò spiega la scelta, da parte del Prampolini critico e traduttore, di dedicare, in chiusura, molto spazio al «tesoro delle “trovas” popolari» [IBIDEM, IDEM: 138] (10) portoghesi – peraltro da lui ritenute nettamente superiori alle coplas (11) castigliane, «per la più vasta gamma dei motivi, per l’intensità del contenuto, per l’eleganza della forma, del rilievo netto, classicamente preciso» [IBIDEM, IDEM: 139]. Lo fa abbondando in citazioni di versi, con il ricorso, anche in questo caso, alla prassi del testo a fronte. Per poi concludere a mo’ di chiosa:
«Levigate come i sassi dei greti e delle spiagge, le chiare “trovas” portoghesi cristallizzano il mondo interiore di un popolo, già pioniere di conquiste, il quale forse più non risorgerà a potenza politica, ma tuttora rappresenta, sul limite estremo d’Europa, in riva all’Atlantico, una complessa e geniale civiltà latina» [IBIDEM, IDEM: 148].
Note
(7) Le endechas sono composizioni poetiche tipicamente tradizionali, nell’originale portoghese in versi quinari, la cosiddetta redondilha menor, corrispondente al nostro senario.
(8) La redondilha rappresenta la cosiddetta medida velha, ossia le due tradizionali forme metriche portoghesi: redondilha menor, verso quinario, corrispondente al nostro senario; redondilha maior, verso settenario, corrispondente al nostro ottonario.
(9) Il vilancete è una composizione poetica generalmente composta su un motto, in versi corti e di natura campestre.
(10) Le trovas – letteralmente, canzoni, poesie trovadoriche – sono strofe di quattro versi.
(11) Brevi composizioni, generalmente formate da quartine.
(Fine)
Bibliografia di riferimento
– AA. VV., 1940. Relazioni storiche fra l’Italia e il Portogallo. Memorie e documenti. Reale Accademia d’Italia, Roma.
– ADORNO, Francesco et ali, 1974. Dizionario generale degli autori italiani contemporanei. Valecchi, Firenze, 2 voll.
– AVERINI, Riccardo, 1979. Premessa. In Luís de Camões, Rime. Scelte, tradotte e commentate da Riccardo Averini. «Estudos Italianos em Portugal», 41 (Numero speciale pubblicato in occasione del Quarto Centenario della morte di Luís de Camões), Lisbona.
– BERTONI, Giulio, 1940. Introduzione allo studio dei Lusiadi. In AA. VV., 1940, cit.: 187-197.
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– FARINELLI, Arturo, 1940. Camões e i poeti d’Italia. In AA. VV., 1940, cit.: 199-218.
– GAZANO, Michele Antonio, 1772. La Lusiade, o sia la scoperta delle Indie Orientali fatta da’ Portoghesi di Luigi de Camoens, chiamato per la sua eccellenza il Virgilio di Portogallo, scritta da esso celebre autore nella sua lingua naturale in ottava rima, ed ora nello stesso metro tradotta in italiano da N. N. Piemontese, insieme con un ristretto della vita del medesimo autore, e con gli argomenti aggiunti al poema da Gianfrancesco Barreto. Fratelli Reycends Libraj, Torino.
– MARTINS, José V. de Pina et ali, 1975, (catalogo a cura di). Camões e il Rinascimento italiano. Mostra bibliografica. Accademia Nazionale dei Lincei / Fundação Calouste Gulbenkian / Instituto de Alta Cultura, Roma.
– PAGGI, Antonio, 1658. Lusiada italiana di Carlo Antonio Paggi nobile genovese. Poema eroico del grande Luigi de Camões Portoghese Prencipe de’ Poeti delle Spagne…. Henrico Valente de Oliveira, Lisbona.
– PRAMPOLINI, Giacomo, 1959-1961 (3ª ed.). Storia universale della letteratura. Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino, 7 voll.
– PRAMPOLINI, Giacomo, 1974. Letteratura universale. Antologia di testi. Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino, 3 voll.
– QUEIRÓS, Eça de, 1935 (2ª ed. 1945; 3ª ed. 1969). La colpa del prete Amaro [tit. orig.: O Crime do Padre Amaro]. Traduzione di Giacomo Prampolini. Editore Mondadori, Milano.
– QUENTAL, Antero de, 1898. Sonetti Completi. Prima versione italiana pubblicata dall’autore di Fiori d’oltralpe [Tommaso Cannizzaro], eseguite dallo stesso e da Giuseppe Zupponi Strani, corredate dall’editore di notizie biografiche, bibliografiche e genealogiche; di lettere inedite ed altri scritti dell’autore e di uno studio di J. P. de Oliveira Martins. Tipi dell’Editore, Messina.
– TEZA, Emilio, 1872. Indoportoghese. Estratto de «Il Propugnatore. Studi Filologici, Storici e Bibliografici», vol. V.