Capito il “perché” – le “larghe intese” sono un bluff – resta da capire solo il “come” e, soprattutto, il “quando”. Il “chi”, infatti, è chiaro: nessuno – tranne il partito trasversale del Presidente (Napolitano) – vuole più sedere a fianco dell’altro. Non lo vuole il grosso del Pd – che unisce il fronte degli opposti, dal “correntone” a Matteo Renzi – per manifesta allergia all’intesa con il Cavaliere “pregiudicato”. Non lo vuole più il Cavaliere stesso, che – dopo il colpo di grazia della Cassazione – sa bene che solo il rilancio politico di se stesso può garantirgli la sopravvivenza dall’assalto finale delle toghe.
Già, la sentenza. È questo l’elemento impazzito che è arrivato come un fulmine anticipato sui piani di chi intendeva blindare – data una fitta agenda di appuntamenti, dal semestre italiano all’Ue fino alle Europee del 2014 – l’asse Letta-Alfano, in vista di una stabilità che avrebbe dovuto guidare il Paese ben oltre i diciotto mesi preventivati. E invece – dopo il tentennare dei primi mesi in previsione di superare lo scoglio della finestra elettorale di autunno e la sentenza della Consulta sul Porcellum – è opinione accettata (e auspicata) un po’ da tutti che per il governo sia solo questione di tempo.
Davanti a questo scenario, lo stesso Enrico Letta non ci sta a farsi cucinare a fuoco lento. In tal senso va tradotta – come spiega Franco Bechis su Libero – l’accelerazione sul tema dell’Imu: ossia la chiusura alla sua “eliminazione” che significa, chiaramente, la provocazione per eccellenza al Pdl che ha fatto dell’opposizione alla tassa la ragione del suo ingresso nell’esecutivo di responsabilità. Di fatto anche il premier entra in campagna elettorale (Renzi è avvisato). La battaglia “sulla casa” allora – con tutto l’immaginario legato a questa – sembra proprio il terreno perfetto sul quale consumare un divorzio consensuale: da una parte per il centrosinistra trattasi di misura poco spendibile elettoralmente (meglio parlare di disoccupati e giustizia), dall’altra per il centrodestra continua a rappresentare la dimostrazione di uno Stato iniquo e punitivo verso la proprietà.
Una crisi del genere aprirebbe potenzialmente la finestra elettorale (autunno o febbraio 2014), che potrà avvenire non prima però di aver chiuso la questione della questioni: la legge elettorale. Il quadro, come si capisce, è estremamente complicato: e toccherà ancora a Napolitano sciogliere il nodo tra un “salvacondotto” per Berlusconi complicato come rebus e tutte le idiosincrasie (interne ed esterne) della sinistra. La morale è che – da quel novembre 2011 – si ritorna, ancora una volta, al punto di partenza: garantire la governabilità e un vincitore certo alle urne. Ossia rendere esecutivo il voto degli italiani. L’unica “intesa” che, siamo certi, non si rivelerebbe un bluff.
@rapisardant