L’Italia di rugby non è una nazionale. È una Nazione. Lo ha dimostrato, di non essere solo una squadra ma un’idea che avanza palla in mano, battendo un’altra Nazione di rugby, ossia la Francia. Da ieri, possiamo dirlo, l’Italia ha rinnovato la sua affermazione di indipendenza e capacità. Questo perché in un campo di rugby non c’è furbizia. Né tantomeno esiste fortuna. Qui esistono due assi: vittoria o sconfitta (il pareggio è una sorta di gogna, non viene celebrato da nessuno dei contendenti). Ed è qui che si determina – ogni maledetta partita – la Storia.
Che tutto ciò sia stato ottenuto contro “loro”, contro i maestri, contro i francesi – giunti da noi, da vicecampioni del Mondo, con la voglia di vendicare in tutta fretta la sconfitta shock del 2011 e usciti invece dall’Olimpico battuti in tutti i fondamentali – assume poi un contorno tutto particolare. E stavolta i quotidiani dei nostri cugini d’oltralpe non potranno liquidare il tutto come una “beffa”. Dovranno riconoscere la superiorità di Roma.
Non sorprende che ci volesse un francese atipico che canta a squarciagola l’inno italiano, Jaques Brunuel, il nostro “guru” in panchina, per portare a galla la nostra migliore capacità: stupire. In fondo, dobbiamo essere amati dagli “altri” per essere capiti noi italiani. Non più solo prima linea allora. Non più solo mischia e pressione. Adesso l’Italia attacca, gioca, si diverte. Fa impazzire i francesi rinfacciandogli la loro stessa specialità: giocare alla mano, con la fantasia, con la voglia di danzare oltre la linea.
Identità dinamica ha dimostrato di avere questa nostra giovane nazionale. Disperata voglia di trovare un proprio accento in quella koinè che è la palla ovale. Perché italiani di mondo sono questi azzurri. Gente che calca i campi di mezza Europa alla ricerca della “via del rugby”. Moderni Marco Polo insomma, tutti esploratori, tutti affamati di conoscenza. E tutti consapevoli che il “tesoro”, l’arte devono essere portati qui. Perché una tradizione sia fondata.
Ecco l’Italia, allora, che da squadra assemblata diventa una Nazione. Ecco la partita perfetta. Luciano preciso come non mai nei calci e nelle aperture di gioco. Sergio oplita in campo aperto. Martin e Andrea che difendono e offendono per ottanta minuti. E tutti gli altri a placcare, a correre, a passare come un testimone di guerra la palla all’altro.
E così, nella calca, nella polvere, nelle botte, arriva l’armonia. Il muro, davanti alle belve francesi, non cede. E allora vai avanti. E non importa se quello dietro di te è un camerata, un compagno o un democristiano. E magari la sua flessione è leggermente sudamericana o australiana. È un italiano come te. Che lotta con te. Che ti spinge lì. In meta. Sei libera adesso, Italia.