Ho pubblicato tre articoli consecutivi dedicati alla natura pagana della festa del Natale, nelle sue varie manifestazioni, e nel Presepio napoletano. Certo in essi non veniva celata la mia natura panteista-atea; la quale non confligge con un cattolicesimo di fondo. Perché il cattolicesimo ha reinstaurato quel paganesimo che il cristianesimo di san Paolo e sant’Agostino avevano estirpato. Perché il cristianesimo è stato la forza che ha distrutto la civiltà antica, ma il cattolicesimo è riuscito a preservarne gran parte. Nelle tre successive Rinascenze, quella dell’età carolingia, quella del tredicesimo secolo e quella dell’Umanesimo della fine del Trecento e di tutto il Quattrocento, si è dedicato alla cultura classica quasi quanto alla Bibbia, pur nell’opposizione elevata dai rigoristi. Uno dei tesori della napoletana pinacoteca di Capodimonte è un quadro di Masolino da Panicale raffigurante Papa Liberio che scava le fondamenta della basilica di Santa Maria Maggiore: indicato il luogo, sull’Esquilino, da una potente nevicata che si vuole avvenisse il 5 agosto del 358. Il pontefice, venerato dalla Chiesa come Santo, venne fatto esiliare da un orrendo personaggio storico, l’imperatore Costanzo II. Questi, criminale quanto il padre Costantino e dominato dall’eunuco Eusebio, sostenitore dell’arianesimo, si occupò più di teologia che di reggere l’Impero; e per tutta la vita oscillò ossessivamente fra l’accettare e il combattere una formula del Credo, il consubstantialem Patri, ossia che il Figlio “è della stessa essenza del Padre”. I seguaci di Ario lo negavano, ritenendo il Figlio una divinità subordinata. Onde scrive il Gibbon che il vile Costanzo non osò proibire ciò che non voleva accettare.
Le fattezze del Santo dipinto da Masolino sono quelle di uno dei miei idoli, Niccolò V, che fu Sommo Pontefice dal 1447 al 1455, anno della morte. Egli è anche ritratto quale Sisto II dal Beato Angelico. Tommaso Parentuccelli, ligure di Sarzana, prima di esser proclamato cardinale, passò una vita da legato pontificio. Ovunque si recasse, dall’Inghilterra alla Francia alla Germania, acquistava codici antichi, per lo più conservati nelle abbazie dell’Ordine benedettino. Fu in relazione di amicizia con Poggio Bracciolini, che ritrovò il De rerum natura di Lucrezio, Lorenzo Valla, Leon Battista Alberti, Enea Silvio Piccolomini, che gli successe quale Pio II. Gli acquisti librarî di Niccolò V furono il primo nucleo della Biblioteca Apostolica. Da Papa egli diede ordine di tradurre in latino la letteratura greca, affinché potesse venir letta da tutti (bei tempi!); la sola edizione metrica di Omero gli costò diecimila fiorini. “Quel ch’egli non conosceva”, scrive Enea Silvio, “non rientra nell’ambito dell’umana scienza”. Il più grande dolore della sua vita fu la caduta di Costantinopoli, la difesa della quale egli tentò invano di promuovere: ai monarchi europei interessava di più contrattare coi Turchi. Niccolò V doveva appartenere alla vasta schiera di Papi atei; ma costoro, considerando la difesa della fede come un aspetto della loro politica di volontà di potenza, fecero per la Chiesa più di loro santi confratelli. Credo che nessun cultore della civiltà possa non dirsi cattolico; e qui oso storpiare il titolo di un saggio di Benedetto Croce, Perché non possiamo non dirci cristiani.
Ora mi sia concesso un omaggio alla candida fede, quella che non sa nemmeno distinguere fra cristianesimo e cattolicesimo. Honoré de Balzac si proclama credente, e credente fa persino il suo più ambizioso personaggio, Eugène de Rastignac, animato da gigantesca volontà di potenza. Penso che da parte del sommo narratore sia un atteggiamento, essenziale per la costruzione del suo personaggio. Si legga la sua meravigliosa biografia di Stefan Zweig. Tuttavia uno dei più bei panegirici della candida fede è una sua novella, apparsa la prima volta nel 1836, La Messa dell’ateo. I personaggi sono due grandi medici che tornano, ciclicamente, in varie altre opere di Honoré, Desplein e Bianchon, allievo prediletto del primo. L’allievo si accorge per caso che il suo maestro, ateo professo, di nascosto assiste devotamente alla Messa presso l’altare della Madonna in San Sulpizio. Lo incomincia a seguire di nascosto e si accorge che, in un anno, ciò accade quattro volte.
Allora si permette di interrogarlo. E questi gli narra la sua storia. (All’interno di essa, l’aforisma splendido sulla “battaglia orribile, incessante, che la mediocrità scatena contro l’uomo di superiore intelligenza”) Poverissimo studente di provincia, a Parigi vive in una soffitta senz’aver neanche i soldi per comperarsi i libri di testo. Piomba nella disperazione. Nella soffitta accanto alla sua abita un altro sventurato, un avergnate trovatello che fa il portatore d’acqua. Occorre ricordare che l’acqua corrente nelle case è una conquista abbastanza recente: ancora sotto la Restaurazione gli acquaioli giravano col carretto, o portandosi la botte in spalla, per tutta la città, e salivano col pesantissimo carico per ripide scale. L’avergnate ha risparmiato tanto da comperarselo, il carretto; ci rinuncia per far da padre a Desplein: vive con lui, si sostenta a pane e acqua per pagargli gli studî. Nei suoi sacrifici, è sorretto da un’ardentissima fede, in particolare verso la Vergine. Lo studente diviene medico; riesce, una prima volta, a guarire il pover’uomo, minato dagli stenti; poi questi gli spira fra le braccia. Morendo gli chiede una cosa sola: d’istituire perpetuamente quattro Messe all’anno. Il più grande ippocratico parigino lo fa scrupolosamente, e se non diviene credente rispetta con tutta la profondità dell’animo suo la fede del portatore d’acqua.
Non si può leggere la novella senza provare un’altrettanto profonda commozione. E qui mi piace esporre una mia vecchia idea. Si può al tempo stesso essere un ateo ed essere un vir religiosus: ma quest’espressione è intraducibile, e “uomo religioso” ne è una pallida versione. Religio, da religare, onde viene il nostro religione, è innanzitutto un vincolo: che ci lega alla Natura, alla Storia, alla Civiltà.
*Da Libero Quotidiano del 16.2.2019