Dopo aver pianto vincendo e perdendo Wimbledon, ha pianto aspettandolo, per l’ultima volta. A luglio prossimo, Andy Murray lascerà il tennis. Soffre per un logoramento dell’anca destra (ha anche già subito un intervento chirurgico), che lo tormenta al punto di scandirne i tornei: «avevo bisogno di mettere un punto perché stavo giocando senza alcuna idea di quando il dolore si sarebbe fermato», a riprova dell’essere andato oltre se stesso per stare dietro ai grandi del suo tempo: Roger Federer, Rafael Nadal e Novak Djokovic. Un tennista fuori posto, un catenacciaro con un ottimo rovescio, capace di alternare trasgressioni e incapacità, però anche di portare a casa – in un periodo difficile e da umano con Djokovic: suo vero rivale, sciolto e simpatico a dispetto dei suoi insoddisfatti musi storti – pragmaticamente due titoli a Wimbledon (l’ultimo britannico era stato Fred Perry, 77 anni prima), due ori olimpici (consecutivi: Londra e Rio), uno Us Open e una Coppa Davis (praticamente da solo), niente male per barbaro che si tiene lontano dalla rete (45 titoli su 67 finali disputate), ex numero uno del mondo, è rimasto in cima per 41 settimane dal 7 novembre 2016 al 20 agosto 2017. Uno scomposto, aggressivo, che ogni volta doveva riprendere le misure ai campi e agli avversari. Partito da Dunblane (Scozia centro meridionale, 8000 e fischia abitanti), formato in Spagna, risolto a Londra. Sarà la madre, Judy Erskine, istruttrice di tennis a fargli amare la racchetta – ci riuscirà anche con l’altro figlio, Jamie – e a fargli scavalcare i problemi geografici, poi la cura Ivan Lendl lo porta a vincere Wimbledon, infine Amélie Mauresmo e Jamie Delgado gli regalano una maggiore mobilità. Rimangono i suoi bui, come quello memorabile con Fabio Fognini a Napoli nel 2014, che lo frega con le palle corte. I momenti di emotività che potremmo chiamare: “Oh Andy, puoi fare molto di meglio”. Non è mai stato una icona, non ha mai conquistato le masse, ma vederlo smarrito in conferenza stampa per gli Australian Open, vederlo debole e in lacrime non ha fatto piacere a nessuno. «Ho giocato con il dolore all’anca destra per tanti anni. Non è semplicemente iniziato al Roland Garros durante quella partita contro Stan (semifinale 2017 contro Wawrinka). È soltanto arrivato ad un livello che non mi ha più consentito di recuperare, oltre il limite».
In questi anni ha giocato una doppia partita: quella contro il dolore e quella contro gli avversari, subendo una pressione psicologica da trincea. «Ci sono cose che non sono più in grado di fare sul campo. Il fatto è che potrei anche giocare con questi limiti, ma con questo dolore no. La competizione, l’allenamento, tutte quelle cose che amo del tennis, con questo dolore non riesco proprio a godermele». Andare oltre il dolore non è un programma facile, quando poi questo comincia nelle piccole cose come «allacciarsi le scarpe e infilarsi un calzino» figurarsi andare in movimento, spingere sulle gambe, o respingere le obiezioni degli avversari sotto forma di palle velocissime. Andy Murray si è consumato sui campi da tennis – nonostante abbia solo 32 anni, ormai pochi per lasciare – lo abbiamo visto trasfigurarsi per raggiungere la vittoria e inveire come un pazzo, abbaiando e sconnettendo fino a scavalcare il normale comportamento degli altri tennisti. Ricordava, nelle invettive, un McEnroe ma senza lasciare intravedere Broadway alle spalle. È stato un tennista respingente in ogni respiro, fino a quando le lacrime lo hanno riportato in una dimensione di accettabilità, da antipatico (con plauso) a simpatico (con pena). Rimarrà il suo carattere, in associazione all’erba – è lì che ha dato il meglio, non solo in termini di titoli ma anche di partite migliori – che gli ha permesso di esorcizzare i demoni inglesi del tennis, non è poco. [uscito su IL MATTINO]
Antipatico come pochi, Murray per dignità del tennis, non solo personale, si poteva risparmiare il teatrino lacrimoso di Melbourne. Se non puoi purtroppo più giocare non è una tragedia cosmica. Ma dopo. Non lo annunci prima d’incontrare Agut, per avere tutto il pubblico con te, in un incontro ad emotività esagerata, che per poco non gli riesce di vincere… Poco etico. E poi questa storia di Wimbledon, sì, no, forse, vedremo… Fai, caro Murray, come tutti gli altri. Se potrai, e te lo auguro, giocherai, altrimenti no. La tua parte di fama l’hai avuta e quella nessuno te la toglie. Abbi un po’ di stile in un momento difficile, perchè avere stile nei momenti buoni son quasi tutti capaci..