Si è svolto a Milano, il 14 dicembre scorso, un convegno che potrebbe costituire la premessa per un grande disegno culturale: la fondazione di un serbatoio di pensiero sovranista con ramificazioni transnazionali e interdisciplinari. Il convegno, in cui non si è parlato del viceministro Salvini ma di un oscuro filosofo della politica di nome Charles-Louis de Secondat, barone di La Brède e di Montesquieu, è stato organizzato dalla “Rivista Logos”, diretta e fondata da Giuseppe Valditara, docente di diritto romano e capo dipartimento per la Formazione superiore e la Ricerca presso il MIUR. È stato il piccolo, non ostentato capolavoro di un intellettuale alieno dai protagonismi, ma impegnato nelle istituzioni dal 1994 al 2013: prima nella Lega Nord, poi in Alleanza Nazionale, oggi in contiguità al progetto politico di Salvini. Un uomo che, è vero, ha cambiato spesso partito, ma solo – come avrebbe detto Churchill – per non dover cambiare le proprie idee.
Nonostante la partecipazione del presidente della Rai, come coordinatore di una delle tavole rotonde, il convegno ha avuto scarsa risonanza presso la stampa, e non certo perché si sia tratto di una riunione “carbonara”: nella sala Gaber del Grattacielo Pirelli era presente un alto numero di giornalisti, anche perché la frequenza al dibattito assicurava i crediti formativi richiesti per gli iscritti all’Ordine. Eppure lo spessore delle tematiche dibattute e la qualità dei relatori avrebbero dovuto fare notizia più delle diatribe sugli zero virgola o delle baruffe chiozzotte sugli ecobonus. Intorno al tema “Sovranità, democrazia e libertà” nelle sue declinazioni giuridiche, politiche, economiche si sono confrontati trenta studiosi, scrittori, giornalisti di tutta Europa e degli Stati Uniti, provenienti da venti sedi universitarie diverse. La prevalente presenza dei giuristi, visto il tema del convegno e anche la formazione culturale di Valditara, non ha comunque fatto ombra sull’analisi dei risvolti etico-politici, sociologici ed economici connessi alla crisi dello Stato nazionale.
Sarebbe impossibile rendere conto dei contributi di tutti i relatori alternatisi al microfono dalle dieci di mattina alle sette di sera, nelle cinque tavole rotonde in cui si è articolato il convegno. In alcuni casi, com’è fatale, vi possono essere state sovrapposizioni di tematiche, ma a tenere alta la soglia d’attenzione è stata sempre, insieme alla qualità degli interventi, la diversa estrazione geografica e culturale dei partecipanti, alcuni dei quali provenivano da Israele, dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna, dalla Nuova Zelanda, dalla Spagna, dall’Austria, dall’Ungheria e dalla Polonia. Fra i relatori italiani, insieme a un nutrito gruppo di costituzionalisti e filosofi del diritto, era presente un giudice costituzionale, il professor Nicolò Zanon, che ha messo in guardia contro la hybris di troppe corti inclini a sostituirsi al legislatore per l’affermazione di “nuovi diritti” abbandonando l’antica concezione di Montesquieu del magistrato come semplice “bouche de la loi”. Del resto, come ha rilevato il professor Mazzarolli, dell’università di Udine, già oggi in Italia la Corte Costituzionale tende a farsi giudice, invece che interprete, delle stesse norme costituzionali che dovrebbero essere parametro della sua giurisprudenza, con quella che il professor Bernasconi, dell’università di Brescia, ha definito “l’inesorabile riduzione dell’insindacabilità degli atti del potere politico”.
Contributi illuminanti sono giunti da studiosi stranieri, anche per la loro capacità di esaminare problematiche comuni sotto angolazioni diverse. Per fare un esempio, Mordechai Kedar, docente all’università di Tel Aviv, ha messo in evidenza il valore quasi teologico che l’emigrazione, esemplata sull’Egira di Maometto, presenta per i musulmani, e, con una frase a effetto, ha fatto notare come gli algerini, più che emigrare in Francia, abbiano ormai portato in Francia l’Algeria. John Tasioulas, del King’s College di Londra, ha criticato l’ossessione per la giuridicizzazione dei diritti umani, che sta fagocitando altri diritti fondamentali, come la democrazia e la sicurezza. Non da un giurista, ma da uno scrittore, Douglas Murray, autore di un best seller sulla “Strana morte dell’Europa” edito in Italia da Neri Pozza, sono venute alcune amare ma penetranti osservazioni sull’eutanasia di un continente in cui il principio di legalità è sottoposto a una colossale erosione, la distinzione fra cittadino e non si va facendo sempre più sbiadita e l’Esercito, invece di essere schierato a presidio dei confini, è utilizzato con compiti di difesa da una minaccia terroristica che proprio l’abdicazione alla tutela delle frontiere rende più pressante.
A inquadrare il convegno in una dimensione storica ha provveduto, nel corso della tavola rotonda da lui coordinata, il presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, Alessandro Galimberti, osservando che, se il ‘900 si è chiuso con la riscoperta della libertà, gli anni dieci del nuovo secolo sono caratterizzati da una rivalutazione della sovranità. Anche perché, si potrebbe aggiungere, la crisi della sovranità è la premessa per la fine della libertà.
È vacuo parlarte di sovranità quando siamo ‘occupati’ in casa nostra!
Bisogna pur iniziare per non esserlo più…
Sì, ma le parole generano solo parole….
Come i decreti di espulsione, o sono disattesi o rimandano il problema di 6 mesi al massimo, quando l’espulso torna o le autorità del suo Paese se ne liberano rimandandolo subito da noi con il primo barcone disponibile!
Cominciamo a parlare di sovranità mandando a casa questo governo incapace e ladro!