La crisi dell’azienda Melegatti poteva essere soltanto una fra le tante crisi che investono le piccole e medie imprese nel sistema del libero mercato. Quando, nell’ottobre del 2017, la società veronese sembrava essere oramai giunta ad esalare l’ultimo respiro dopo una lunga e dolorosa sofferenza, della Melegatti sembrava essere rimasto soltanto il ricordo dei fasti pas- sati. Ma, nel sistema del libero mercato, notoriamente poco incline alla pietà, il fattore “ri- cordo” non conta molto, anzi: spesso viene considerato piuttosto come un fardello, un ingom- bro del quale sbarazzarsi prima che inceppi i meccanismi.
In tempi in cui aleggia nel discorso politico lo spettro della “decrescita felice”, si potrebbe fraintendere la mia osservazione. Non è mia intenzione, in questa sede, accusare il sistema del libero mercato di crudeltà, di disumanità: perché ritengo che tale sistema sia pur sempre voluto e condizionato dagli uomini. E se, personalmente, non considero i sostenitori del libero mercato gente crudele, in ogni caso non credo che li si possa accusare di essere disumani –né loro né la loro creatura. Certo, si può semmai dire che hanno uno spiccato senso della realtà. E, da realisti, sanno che di ricordi non si campa, sanno che di ricordi non si vive (o non si dovrebbe vivere) e sanno pure che di ricordi non ci si sviluppa.
Sarò sincero: la campagna social che fu messa in piedi in quel 2017 per promuovere l’acquisto di prodotti Melegatti, allo scopo di salvare l’azienda ma, soprattutto, i suoi dipendenti, mi commosse. Fu un’iniziativa del tutto spontanea che dimostrò come i social-media possono essere sfruttati virtuosamente. Ma, soprattutto, fu un’iniziativa civile che dimostrò come le persone siano ancora ben disposte ad attivarsi per solidarietà. Ma solidarietà verso chi, verso che cosa? Anzitutto verso i dipendenti, naturalmente: non soltanto singoli individui, ma intere famiglie rischiavano di perdere il posto di lavoro ed i vantaggi che questo comporta. Ma quella solidarietà si rivolse anche verso la vittima, per così dire, “simbolica” della crisi, ovverosia l’azienda stessa.
La storia dell’azienda
La società Melegatti, nata nel 1894 a Verona, ed a Verona rimasta sempre, è diventata col tempo un’istituzione, piuttosto che un’impresa. E, come accade in ogni situazione analoga, ad un certo momento si manifesta un inconveniente: come istituzione, non dovrebbe fallire; ma come impresa, può fallire. Ma, siccome un’azienda non è, sostanzialmente, un’istituzione, è sull’impresa che si dovrebbe appuntare l’attenzione e si dovrebbero concentrare le energie.
La buona volontà di coloro (tra i quali il sottoscritto, che riempì casa di pandori) parteciparono all’iniziativa mediatica sulle ali della solidarietà, nel piccolo del loro privato tentativo, hanno dimostrato che il “ricordo” può diventare energia spendibile nel sistema del libero mercato. In effetti, hanno dimostrato che la libertà di scegliere cosa comprare è davvero la ratio intrinseca del libero mercato: il sistema è umanamente condizionato, basta che le persone scelgano di condizionarlo. “Noi siamo il mercato” è una battuta pleonastica e scorretta: noi non siamo il mercato perché siamo umani, siamo persone e non cose o sistemi. Noi condizioniamo il mercato, scegliamo dove questo debba andare, perché, da umani, abbiamo la facoltà di scegliere. Un sistema di mercato “umanizzato” non è un’utopia, o un progetto, ma un dato di fatto, che purtroppo viene troppo spesso dato per scontato.
Purtroppo, il tentativo del 2017 fallì. Ma questo non inficia affatto il ragionamento comples- sivo. Ora, nel 2018, l’azienda Melegatti è stata rilevata ed i suoi forni torneranno a scaldarsi per preparare altri pandori, che io comprerò (anche perché sono bòni, come si dice in To- scana). La speranza, per l’azienda e per i suoi dipendenti, rinasce. Proprio come si rigenera il lievito madre conservato con dedizione durante il periodo di chiusura da Matteo Peraro e Davide Stupazzoni, due dipendenti dell’azienda che in molti, attraverso, anche stavolta, canali social, sono stati proposti all’investitura di cavalieri del lavoro. Lo meriterebbero davvero quel titolo. Non solo per la generosa dedizione alla loro impresa; ma, soprattutto, perché incarnano l’umanità del sistema del libero mercato: che, in quanto, appunto, umano, mantiene sempre viva la speranza.
Speriamo che una cosa del genere avvenga pure per Pernigotti. Ovviamente un caloroso in bocca al lupo alla nuova Melegatti e ai suoi dipendenti.
Contro le regole del mercato nulla può funzionare.
Oh signore! La pubblicità televisiva va assumendo la petulanza angosciosa delle ossessionl. Tutte le volte che pigio un tasto della pulsantiera sono assalito dallo sgomento di vedermi comparire davanti l’immagine di quel bravuomo casalingo, dallo sguardo infantile che, estasiato dalla schiuma d’un detersivo per stoviglie, si lascia sfuggire dalle mani una pila di piatti. Confesso che comincio a provare per lui un fastidio, non antipatia, ma un senso di rifiuto, d’una sazieta angustiata che prelude al vero e proprio incubo. Non esagero se affermo che oggi viviamo in un umore che è fortemente influenzato dalla stucchevole cultura che trasuda dai luminosi chiarori del Mulino Bianco e dalla artefatta naturalezza del veterinario che salva un cavallo che smerda sorseggiando un rinomato amaro, sfiorandoci con un occhiata agreste e amichevole. È stato poi calcolato che durante la proiezione d’un film vengono mandati in onda trenta minuti di pubblicità. A volte, pur essendo attratto dalla trama dello sceneggiato, confondo le scene del film con quelle dei messaggi commerciali con grande dispiacere di mia moglie. Tutto ho sopportato pur di conoscere la conclusione del film: i pannolini che trattengono la pipì, le piacenti signore che soffrono di incontinenza, i giovani con giacca nera in guerra con forfora, il caffè di montagna che più lo mandi giù e più ti tira su, ma quando, all’improvviso, inframezzato alla scena più toccante della pellicola, è ricomparso l’uomo con la pila di piatti pericolosamente inclinata, non ho retto più e ho spento il mio televisore. Ho avuto subito bisogno di trasmigrare in un’altra stanza, lontano dai malvagi, dagli imbecilli, da chi vuol farmi consumare un formaggio che NON mi piace!
Antonio. L’eccesso di cattiva pubblicità non piace a nessuno, come i film americani che mettono dentro a forza i neri (e qualche asiatico, mentre i discendenti d’italiani continuano ad essere mafiosi e loro non sono protetti da alcun politically correct…). Però tu pensa se preferiresti l’URSS di Breznev…L’Italia del Ventennio già trasudava di pubblicità, certo non televisiva…
Smettiamola con “decrescita felice”, corporativismi inesistenti, fantasia al potere… In economia non inventi nulla. L’Italia non può essere autarchica, ma può esportare molto di più, ma bisogna produrre, bene, a costi competitivi. La difesa del mercato interno non va condotta tanto con dazi, ma con qualità, inventiva, molto buon lavoro da parte di tutti. E fiducia, perdio, oltre le mostruosità ed irresponsabilità di una classe politica perniciosa, non solo dilettantesca e incapace.
Oddio, quanta commozione, quante lacrime, quanta retorica, quanti eroismi… Siate felici…Buone Feste a tutti!