Si è presto dimenticato che Karl Marx condannava già la concorrenza sleale rappresentata dai lavoratori immigrati per il proletariato autoctono: l’immigrazione era, secondo lui, l’ “Esercito di riserva del capitale “. Negli anni ‘ 1950, il Partito Comunista, nello stesso momento in cui denunciava la contraccezione e l’aborto come “vizi borghesi”, era sulla stessa linea: internazionalismo e cosmopolitismo non erano, ai suoi occhi, sinonimi. Jean-Claude Michéa lo ripete oggi: la globalizzazione non è altro che l’estensione planetaria di un capitalismo speculativo e aterritoriale di cui i popoli fanno le spese. Non dimenticate, neppure, le prese di posizione di André Gérin, ex sindaco comunista di Vénissieux (” L’ immigrazione non è una possibilità per la Francia “) né quelle del sindacalista comunista Jacques Nikonoff, ex presidente di Attac (“bisogna fermare l’immigrazione e organizzare il ritorno su una base volontaria”) né, naturalmente, la lettera inviata nel 1981, in un’epoca in cui il Fn era ancora un gruppo, da Georges Marchais al rettore della moschea di Parigi: “L’allarme è stato raggiunto. Lo puntualizzo: bisogna fermare l’immigrazione ufficiale e clandestina.”
Una statistica a questo proposito: secondo un sondaggio Ifop dello scorso gennaio, il 51 % degli elettori della sinistra di Mélenchon trova che l’immigrazione avvenga in Francia ad un ritmo troppo elevato, contro solo il 31% registrato tra gli elettori di Emmanuel Macron. Uno su due! In realtà non è un segreto che la Francia insoumise abbia due elettorati del tutto diversi. È questo che spiega la guerra sempre meno ovattata che si consuma nelle sue fila tra i “progressisti libertari” del tipo Danièle Obono e Clémentine Autain, e i sostenitori di un vero populismo di sinistra”.