Fra qualche centinaio di anni, quando il progresso si sarà esaurito, le vestigia della nostra epoca rimarranno. Al posto di Atlantide, il mare ospiterà delle Server farm ormai spente e i pesci magari deporranno le loro uova vicino a dischi dove in passato erano ospitate le vostre agghiaccianti foto di facebook. Stiamo delirando? Forse no, ma andiamo con ordine.
Uno dei problemi principali nell’industria moderna è la gestione del calore prodotto dagli impianti. Aziende di ogni tipo hanno coinvolto fior di esperti per capire cosa fare di questa enorme quantità di energia, ritrovandosi coinvolte nella soluzione di un problema termodinamico classico. La soluzione per, una casa automobilistica come ad esempio l’Audi, è stata semplice: riutilizzare il calore e rimetterlo in circolo nella produzione.
In ambito informatico il calore prodotto nelle server farm è una seccatura di prim’ordine, in quanto serve a ben poco e deve essere “dissipato” il prima possibile, per evitare surriscaldamenti che rovinerebbero l’hardware. La dissipazione del calore richiede però ulteriore energia e una spesa annuale non indifferente, che per aziende come Microsoft e Facebook rischia di essere un salasso.
Le big dell’informatica però sono furbe e negli ultimi anni hanno deciso di sfruttare le leggi naturali. Partendo dalla regola principale, per cui il calore si sposta da un corpo caldo ad un corpo freddo e tenendo conto che se la temperatura esterna è di 30 gradi, fornire il “freddo” su cui scaricare il calore alle macchine risulta estremamente disagevole, l’uovo di Colombo è stato trovato banalmente dove la temperatura esterna è molto più bassa. Facile no?
Microsoft ad esempio ha pensato bene di immergere un Data Center di 864 server al largo della Scozia, alle isole Orcadi, ottenendo ottimi risultati. L’esperimento sfrutta l’energia delle maree per produrre elettricità e quindi oltre a diminuire i costi di gestione del calore, diminuisce anche quelli della produzione di energia. L’utente finale di tutto questo ovviamente non saprà nulla, anche perché il Cloud Computing ci ha già largamente abituati a non conoscere la posizione fisica dei nostri dati. Il progetto, nome in codice Natick, è attivo da un paio d’anni ed è stato portato a compimento negli ultimi mesi.
L’azienda di Bill Gates non è l’unica che ci prova. Facebook un paio d’anni fa ha aperto un Data Center a poche miglia dal Circolo Polare Artico, in Svezia a Lulea, dove la temperatura invernale è di -20 gradi. Al posto di produrre aria fredda, basta convogliarla dentro la server farm, dove si scalda e viene poi utilizzata per riscaldare gli uffici. Questa soluzione riporta a quella della già citata Audi. Un’altra azienda, Kolos, farà qualcosa di simile nell’estremo nord della Norvegia. Sia in Svezia che in Norvegia c’è fra l’altro una sviluppata industria idroelettrica, facendo sì che questi Data Center, che consumano gigawatt di elettricità, siano meno impattanti del previsto.
La riduzione dell’utilizzo di idrocarburi, derivante da queste soluzioni, è evidente, il che non è certo un male per la nostra salute.
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