L’ Internazionale sovranista, vagheggiata da Viktor Orbàn, Marine Le Pen, Matteo Salvini ed altri meno illustri esponenti della congregazione populista in visita delle elezioni europee della prossima primavera, è un ossimoro politico. Irrealizzabile, ma tuttavia suggestivo. A dal manforte ai nostrani utopisti, adesso ci si è messo Steve Bannon, ex-guru di Donald Trump, che ha addirittura creato “The Movement”, uno strumento ancora avvolto in una nebulosa per supportare gli “internazionalisti sovranisti” che senza molto senso del limite, della misura e dell’iperbole si fanno fare da padrino un americano. Non c’ è bisogno di aggiungere altro per sottolineare la “leggerezza” di tale vagheggiato progetto.
Ciò che prime aggiungere, invece è il non trascurabile particolare insito nel codice genetico stesso della sovranità dei popoli, delle nazioni e degli Stati: il dato della “separatezza”, della specificità, della rivendicazione delle differenze che non può essere frullato, neppure per motivi contingenti, come farebbe capire la tendenza oggi in atto nella galassia anti-europeista. Immaginare, perciò, che i nazionalisti europei possano stare insieme sia pure allo scopo di guadagnare seggi in un consesso rappresentativo continentale, sarebbe come ammettere che quei caratteri richiamati vengano demoliti d’incanto e, dunque, la stessa logica sovranista cadrebbe di conseguenza.
La sovranità implica – al di là del giudizio che su di essa è lecito dare, e per quel che mi riguarda, se correttamente intesa, la ritengo qualificante la politica comunitaria e nazionale – un primato che non necessariamente è il presupposto di inevitabili conflitti. Al contrario, il riconoscimento delle ragioni di popoli, nazioni e Stati costituisce il fondamento dell’armonia politica quando le sovranità liberamente e costruttivamente s’incontrano per dal luogo a comunità intenzionate e superare i particolarismi senza rinunciare alle identità che sono a fondamento delle aggregazioni organiche dotate di strumenti condivisi, fino a quelli in grado di assicurare la governance dei complessi sovrastatuali.
Da qui ad immaginare conglomerazioni sovraniste, una sorta di super-Lega, come ci è stato fatto intendere dai salviniani di complemento, più che dallo stesso Salvini, è un non-senso destinato ad infrangersi contro la dura realtà effettuale delle primarie esigenze statuali che ogni movimento con caratteristiche sovraniste intende gelosamente conservare. Cruciale, al riguardo, la mancanza di solidarietà tra gli stessi per ciò che concerne l’immigrazione. Se un governante italiano dovesse chiedere ad un governante ungherese – uniti dalla critica all’Unione europea riguardo la gestione dell’immigrazione – un po’ d’aiuto nel prendersi cura di qualche centinaio di “dannati della terra” di sentirebbe rispondere picche, e lo stesso accadrebbe se all’Eliseo ci fosse la Le Pen.
Ma non solo. Gli interessi di qualsivoglia genere sarebbero messi in discussione dai sovranisti nel momento in cui si profilasse un attacco agli stessi e ciò non dovrebbe stupire dal momento che la nozione di sovranità non consente vie di fuga da linee comportamentali che non siano coerenti con la difesa del primato nazionale. Lo ha ben compreso Donald Trump disposto, come abbiamo visto, perfino a mettere a repentaglio i tradizionali strategici rapporti con l’Europa in ossequio al principio dell’ America first.
Dunque, un’Internazionale per fare che cosa? Delle liste comuni? Già immaginiamo le dispute infinite conoscendo quelle che almeno in casa nostra registriamo per attribuire posizioni e collegi. Un programma abbastanza simile? Ma ce li vedete i concorrenti di “Svezia democratica” insieme con i leghisti salviniani, i lepenisti con belgi e olandesi, i polacchi ed i cechi con tutti i possibili movimenti sovranisti mediterranei a cominciare dai greci di “Alba dorata”? Si leggano le loro dichiarazioni, si approfondiscano le sensibilità che al di là delle dichiarazioni di principio li distinguono e non si potrà non convenire che tra un austriaco ed uno sloveno, nonostante antiche consuetudini imperiali, non ci sono soltanto gli ottanta chilometri che dividono Klagenfurt da Lubiana, ma un modo stesso di concepire i rapporti politici e culturali che tra sovranisti non possono davvero essere fraterni.
Il nazionalismo, del resto, è all’opera anche senza autorappresentarsi. Non è di questa categoria un Emmanuel Macron quando respinge i profughi alle frontiere italiane e pratica un sostanziale neo-colonialismo in Africa, particolarmente accentuato in Libia ai nostri danni? E non ne subisce le suggestioni la stessa Angela Merkel la cui politica dissimulata tendente ad una riedizione del Nach Osten, tutt’altro che insensibile alle pulsioni che nel profondo agitano i gruppo di Visegrad, ne fa una nazionalista – ancorché non ideologicamente “sovranista” – incline a curare gli interessi di una Grande Germania il cui destino, da oltre centocinquant’anni, viene giocato dai suoi governanti soprattutto dalle parti dell’estrema Europa?
E’ inquietante come la propaganda faccia premio sulla cultura di questi tempi. Al contrario, nessun sovranista, o meglio anti-immigrazionista funzionale, penserebbe ad una Internazionale senza ridere almeno un po’ di se stesso.