C’è molto da rallegrarsi, per il ritorno nelle librerie italiane della casa editrice Giometti & Antonello. Nelle “migliori librerie d’Italia”, verrebbe da precisare come nelle réclame di un tempo, assecondando quell’impostazione mitteleuropea, predilezione novecentista – ovvero la capacità di rendere piaceri esclusivi (anche nella dimensione materiale, dell’oggetto libresco) testi poco o male frequentati – che ammanta di fascino le uscite cartacee del sodalizio maceratese.
Un catalogo eleusino e laterale, coraggiosamente elitario quanto stimolante per chi abbia semplicemente buon gusto, soprattutto se confrontato alla pigra pubblicistica dominante (quella meritevole d’edicola, nel volersi fare tirannica tappezzeria in megastore), che comprende preziosità di Osip Mandel’štam, Arsenij Tarkovskij, J. Rodolfo Wilcock/James Joyce, Kurt Wolff, Jacques Prevel/Antonin Artaud, oltre a tasselli prima mancanti dei nostri cari Pierre Drieu La Rochelle ed Ernst Jünger. Dopo un periodo di riorganizzazione, forzatamente legato alla morte del poeta e co-editore Danni Antonello, riprendono ora le attività col curioso Qui non può trovarmi nessuno, raccolta di articoli, più agile epistolario in appendice, di Milena Jesenská; titolo “assenteista” assai pertinente, al di là della poetica intimista, perché mette al riparo il punto d’osservazione dell’autrice dagli eventi in fieri, conferendo quindi grande lucidità alla narrazione. Copertina biancastra comme d’habitude, illustrazione deliziosamente piovigginosa di Giuditta Chiaraluce, scelta dei testi a cura di Dorothea Rein, traduzione di Donatella Frediani.
La giornalista praghese, fino ad ora conosciuta tra i kafkiani più ortodossi, principalmente per il legame amoroso-intellettuale che ebbe con l’autore de Il Processo – curiosa la similitudine di tormenti, con quell’altra coppia mancata: Friedrich Wilhelm Nietzsche e Lou von Salomé – si dimostra in queste pagine come una donna sveglia, emancipata, viaggiatrice proto-moderna e, soprattutto, attenta osservatrice delle piccole e grandi cose che le capitano attorno; è la Storia, Fräulein! locomotiva che passa veloce scavallando il secolo, ed ella ne percepì in presa diretta il drammatico deragliamento.
L’impero materialista della tecnica livellante, sta per abbattersi come una tempesta d’acciaio sull’antico ordine umanista. Così alcune donne, passano dai merletti all’uncinetto all’inchiostro su rotative, perle e piume di struzzo dismesse, sostituite poi da talune con tarocchi, magie lunari, solfiti e macchine da scrivere. Milena è in buona compagnia ideale: Leda Rafanelli, Helena Petrovna Blavatsky, Marina Cvetaeva, Virginia Woolf, Amelia Rosselli e, spirito ereditario anticonformista, conferito alla figlia Jana Černá. Grandi femmine, bramose di vedere dove va a finire la notte del ‘900. Dai subbugli avanguardistici primonovecenteschi all’avvento del cinema, dall’artificiosa bohème parigina con uso di droghe (morfina) alle autocolonne di blindati, dalle stazioni liberty d’Europa alla tirannide meccanica dei campi di concentramento; visioni, fatti raccontati senza filtri in stile brillante, ma con un certo candore da testimone oculare, da frenetica viaggiatrice in cerca di un rifugio per l’anima.
L’importanza del libro risiede nella minuta cronaca mondana (Chaplin, la pubblicità, l’America), in certi vezzi confidenziali (Elogio del kitsch) o saggi d’iperrealismo (I sobborghi), vergati freschi nell’atto di accadere, proprio all’incrocio con mutamenti traumatici, con sconvolgimenti epocali:
“La via che conduce a un nuovo inizio non corre lungo i binari ferroviari che portano nel mondo. C’è una sola strada per arrivare a un nuovo mondo interiore: avere il coraggio di assistere al crollo del vecchio”.
Timori non elusi: la narrazione della Jesenská, dà al contempo la misura di ciò che stava accadendo in Cecoslovacchia, in Europa e nel mondo, partendo non già da massimi sistemi politico-filosofici, bensì dalla radiografia dei dettagli. Persecuzioni, limitazione della libertà, militarizzazione del vivere civile, il forestaro jungheriano sta per estendere i suoi domini, col pugno di ferro; croce uncinata o falce e martello poco importa. Così, lo spirito del tempo – del bel tempo austroungarico, schiacciato dai nuovi totalitarismi, da una marea montante d’odio indifferenziato – diventa in quel preciso istante, null’altro che passato, oblio prima delle macerie e delle montagne di cadaveri ammassati. Da ciò una vena malinconica, peculiarità boema, frammista al coraggio documentaristico di guardare negli occhi il mostro e di denunciarne i misfatti. Infine, per i feticisti di Franz Kafka (che ella chiama Frank), il volume ospita otto missive indirizzate al di lui amico, fiduciario e biografo, Max Brod. In quelle lettere febbrili, spedite a un intermediario custode, si trova conferma della personalità volitiva della Jesenská, seppure qua e là velata da fragilità emotive, fino al tracollo psicofisico. Come se la vita stessa dell’autrice, viaggiasse di pari passo con le sorti d’Europa.
Morì difatti a Ravensbrück, il 17 maggio 1944, in seguito a deportazione.