La trattativa Stato-mafia c’è stata. Lo dice la sentenza di primo grado emessa dal tribunale di Palermo. Le condanne poi sono di quelle che pesano. Secondo i giudici, infatti, tre importanti ufficiali dei carabinieri e Marcello Dell’Utri hanno «minacciato» gli organi dello Stato per conto di Cosa nostra con l’obiettivo di costringere i governi ad alleggerire la presa nei confronti dei mafiosi. «È una sentenza che dopo cinque anni d’istruttoria dibattimentale più che mettere un punto su di una vicenda, sembra aprire altri scenari». Carolina Varchi deputato palermitano di FdI, espressione della cosiddetta generazione Atreju, parla da donna di legge e da militante della destra no-mafia.
Onorevole, attende anche lei le motivazioni della sentenza?
«Per deformazione deformazione professionale sono abituata a non commentare vicende processuali delle quali non conosco le carte. Certamente non nego che sotto un profilo sociale e politico, al netto dei commenti giuridici, il dispositivo lascia riflettere appunto per la condanna di uomini dello Stato che tuttavia erano stati assolti in altri procedimenti».
In questi momenti il pensiero non può non andare al morte di Paolo Borsellino, giusto?
«Paolo Borsellino aveva delle forti perplessità. Prima di essere ucciso disse alla moglie: “Se anche la sarà la mafia a uccidermi, saranno altri ad averlo voluto”. Una frase che proprio in questi giorni echeggia più forte di prima».
E che sentimenti suscita in lei e nella sua comunità?
«È chiaro che, per rispetto alla sua memoria, scenderemo in piazza con maggiore vigore. Per chiedere verità su quegli anni e ricordare che Paolo Borsellino rappresentava quella parte di Stato – che ha servito fino in fondo – che lottava contro la mafia senza se e senza ma».
Qual è la missione della destra patriottica in Parlamento nel contrasto alle mafie?
«Partiamo da qui: c’è stata un’antimafia molto urlata in questi anni. È stato ricordato che Paolo Borsellino era un militante della destra universitaria ed è rimasto fino in fondo un simpatizzante dell’Msi. Però lui stesso ha dimostrato, nel momento stesso in cui è entrato in magistratura, di essere uomo di destra in quanto uomo di Stato. E come rappresentante dello Stato, come servitore fino all’estremo sacrificio della vita, lui ha realizzato un’antimafia dei fatti».
Un modello vincente, fino a prova contraria, o no?
«Certo. Ha realizzato uno lotta fatta di processi istruiti e vinti sulla scorta di prove. Una lotta alla mafia assai diversa dall’antimafia di maniera. Tutt’altro che urlata e sguaiata. Non come quella assistita negli ultimi anni».
Non crede sulla scorta dei fallimenti di una certa antimafia che la politica sia diventata agnostica sul tema?
«Io credo al principio secondo il quale la lotta alla mafia debba essere un prerequisito e non l’obiettivo di un’azione politica. Un prerequisito fondante, tenendo presente, come insegnava Borsellino, che un conto sono gli aspetti giuridici, un conto è l’opportunità politica».
E come si traduce tutto ciò?
«Beh, nel nostro piccolo, io e la mia comunità siamo stati sempre coerenti con questo principio. Adesso, nel corso della legislatura, con il gruppo parlamentare di Fratelli d’Italia, saremo in prima linea nell’elaborazione di iniziative parlamentari finalizzate al sostegno della lotta alla mafia».