Due ‘collabos’: Arletty e Céline. Titolo falso, ovviamente. La famosa attrice Arletty, che aveva già oltre 40 anni, parecchi all’epoca per una seduttrice seriale, si limitò ad amare un ufficiale tedesco, giudice militare (ben rievocata da un film televisivo di Arnaud Sélignac, del 2015, con Laetitia Casta nella parte di Arletty, une passion coupable); il grande scrittore – e medico – Céline, invalido della I Guerra Mondiale, già autore di libelli pacifisti, pur antisemita (molto naïf), mai collaborò con gli occupanti. Pubblicò qualche articolo. Quindi l’equazione collaborateur=quisling=traditore e criminale, nel loro caso, come in vari altri, è totalmente assurda. Confusione tra la sfera del privato, o della residua vita sociale della gente della cultura e del cinema, con i destini della Madrepatria occupata; tesi aggravata dal fatto che loro due non erano neppure collabos.
Il «generale a titolo provvisorio» Charles De Gaulle, già Sottosegretario alla Difesa nel Gabinetto Reynaud (marzo-giugno 1940), aveva passato gran parte della guerra in un comodo ufficietto di Londra, o ai microfoni della BBC, arrogante e sbruffone come la caricatura d’un francese patriotard (je suis la France, dirà senza senso del ridicolo, oltre Luigi XIV, che si era limitato ad affermare, si racconta, l’État c’est moi!); un insopportabile trombone retorico, disprezzato dalla maggioranza degli inglesi, detestato da Roosevelt e poi anche da Eisenhower. Sul campo si era dimostrato un comandante mediocre come altri.
Quando le cose girano male per la Germania, nel ’44, egli diventa però utile agli Alleati anglo-americani. Il Paese transalpino, sconfitto senza appello in poche settimane nel 1940, ora si trova idealmente dalla «parte giusta», per quanto riguarda France Libre, ma senza armi, né territorio continentale. De Gaulle si accoda allo sbarco in Normandia degli anglo-americani e fa dipingere con vernice bianca la Croce di Lorena sugli autocarri cedutigli. Con faccia tosta infinita diventa primo attore della mistificazione, del gioco di prestigio geopolitico e la Francia si sommerà ai vincitori. Occuperà persino una parte della Germania (lo stesso tenterà di fare con l’Italia!), quindi siederà al Tavolo dei Vincitori della WWII ed avrà poi un seggio permanente al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con diritto di veto (riservato ai Cinque Grandi). Mentre il legittimo Capo dello Stato Francese, l’ultraottantenne Maresciallo Philippe Pétain, il vincitore di Verdun, messo lí da un democratico e legale voto del Parlamento, alla vigilia della resa nel giugno 1940 – onde evitare ulteriori, inutili morti ed ottenere una resa onorevole – diventa un traditore. Rientrato volontariamente dalla Svizzera, dopo l’esilio obbligato di Sigmaringen, Pétain è arrestato e processato nel ’45; condannato a morte ed incarcerato fino ad un mese dal decesso, a 95 anni, alla degradazione e confisca dei beni. Con lui sono incriminati tutti coloro che avevano cercato la sopravvivenza della Francia restando, non scappando, pensando al destino della madrepatria, alla sorte dei prigionieri in Germania, nei giorni più buî, che non avevano avuto alternative per salvarsi, se non una difficile ed ambigua collaborazione.
Eccessi e colpe
Ci furono eccessi e colpe; alcuni burocrati (ad esempio coloro che attivamente concorsero alla deportazione di ebrei, come la Rafle du vel d’hiv) spinsero la collaboration oltre il dovuto, chiaro, ma la persecuzione dei postumi ‘vincitori’ si accanì poi contro tutti. I veri, autentici collabos furono, se non un pugno, qualche centinaio di persone e spesso non commisero alcun crimine, se non ideologico (per adesione ad un ideario fascisteggiante od ai valori cattolici e conservatori dell’État Français); la maggioranza semplicemente si adattò alla situazione, barcamenandosi nei rispettivi ámbiti professionali o di attività. Il fallait bien vivre…Tra questi ultimi i due più famosi potrebbero essere proprio il maggior scrittore francese del ‘900, Louis Ferdinand Destouches/Céline, e l’attrice allora più amata, Léonie Bathiat /Arletty. Con la fama e la popolarità che il cinema muto transalpino aveva già concesso a Mistinguett.
Si rovesciano le parti. Pétain diventa un immondo traditore ed il già traditore de Gaulle, Capo di France Libre – alleato di coloro che affondarono la flotta a Mers-el-Kébir il 3 luglio 1940, uccidendo 1300 marinai, e poi bombardarono senza pietà obiettivi civili nella Francia occupata – il legittimo rappresentante della stessa! De Gaulle usa gli strumenti tipici dei traditori codardi, quando, senza merito proprio, hanno la meglio. S’identifica con l’«l’onore, la Patria, la Francia eterna e la sua grandeur». Contemporaneamente s’inventa una Resistence che apparve, e timidamente, solo all’ultimo e si allea con i comunisti. Quelli che nel ’40, vigente l’accordo Molotov-Ribbentrop, si guardarono bene dall’ostacolare la resa della Francia. Già da Londra egli sveva stabilito una sorta di canale di comunicazione con Stalin, irritando molto Churchill.
Dopo l’occupazione alleata di Parigi, a seguito dello sbarco in Normandia, il nuovo «Capitan Fracassa» si accanisce contro coloro che non sabotarono apertamente il Governo di Pétain, con accuse infondate o esagerate che non risparmiano industriali, scrittori, intellettuali, attori, artisti, a cominciare da Brasillach, fucilato, e proseguendo con l’anziano Maurras (condannato alla detenzione perpetua) e molti altri. Pur di far fucilare Pierre Laval, de Gaulle organizzò un processo-farsa, facendoselo consegnare da Franco, essendosi Laval rifugiato in Spagna. Avendo il condannato tentato il suicidio prima dell’esecuzione, ed in stato confusionale, gli vennero praticate una dozzina almeno di lavande gastriche…per trascinarlo moribondo davanti al plotone! Un dramma truculento da Théâtre du Grand-Guignol. Una ricerca disperata, sanguinosa e crudele, di legittimazione, mancando la ratifica di armi vittoriose.
Fedele alla sua personalità di bigotto ipocrita e petulante, de Gaulle non sarà neppure grato agli americani, ai quali pur deve molto, e tornato al potere nel 1958 farà uscire la Francia dal meccanismo integrato di difesa della Nato e proclamerà la tesi provocatoria, in piena Guerra Fredda, di un’«Europa unita dall’Atlantico agli Urali». Odiatore viscerale degli italiani fino alla morte, pure agli inglesi egli riserverà frequenti manifestazioni di ostilità, non solo l’opposizione al loro ingresso nella CEE, giungendo a gridare a Montreal, in Canada, «Vive le Québec Libre!» nel 1967, a sostegno della fazione francofona indipendentista.
Ai suoi connazionali, per non essere da meno, l’ampolloso generale-presidente prometterà, infine, di conservare l’«Algérie française», quando già pensava al disimpegno, cioè alla resa ed alla fuga dalla colonia, dopo oltre 130 anni. L’OAS attentò, quindi, alla sua vita, senza fargli un graffio, ma egli non concesse alcuna grazia. Il tenente colonnello Jean-Marie Bastien-Thiry, ingegnere aeronautico – che considerava de Gaulle un dittatore, un tiranno, un traditore – finì, come Laval, davanti al plotone d’esecuzione l’11 marzo 1963, nel Fort d’Ivry.
Lì Charles de Gaulle, come organizzatore, s’esprimeva al meglio e fece le cose in grande…
Tre libri recentemente apparsi, in Francia ed Italia, sono la premessa al medaglione qui offerto e parte rilevante dello stesso.
Lettere alle amiche, di Louis-Ferdinand Céline, a cura di Colin W. Nettelbeck, (traduzione in italiano di Nicola Muschitiello, Adelphi, Milano, 2016), dopo quasi 40 anni dall’uscita di Lettres à des amies (Paris, Gallimard, 1979), ha provocato curiosità e molti commenti, svelando le contraddizioni dell’autore e stimolando, altresì, l’interesse, osteggiato ma vivo, per l’autore “maledetto”. All’inizio di quest’anno la Francia ha, peraltro, nuovamente censurato gli scritti antisemiti di Céline. Dopo settimane di polemiche sulla ristampa dei tre noti pamphlet – Bagatelle per un massacro (1937), La scuola dei cadaveri (1938) e La bella rogna (1941) – l’editore Gallimard, che sta curando la ristampa di tutta l’opera di Louis-Ferdinand Destouches, ha gettato la spugna: “Non esistono le condizioni metodologiche per un giudizio sereno”. Sul caso era intervenuto anche l’Eliseo, naturalmente obbedendo agli ukase di organizzazioni sioniste: “Quei libri non devono essere letti perché rappresentano un incitamento insopportabile all’odio antisemita e razzista”. Anche Voltaire sarà d’ora in poi censurato?
L’epistolario attraversa un periodo che va dal 1932 al 1948. Impasto di lascivia, sincerità, vacuità e poesia. Non emergono sentimentalismi ed il cielo conserva il colore plumbeo della sua opera maggiore, il Voyage au bout de la nuit (1932), magistrale ritratto, in un linguaggio gergale, grossolano, della brutale assurdità della guerra, del colonialismo sfruttatore, paradiso di pederasti:
Il rendez-vous è con sei donne, diverse per nazionalità, carattere, posizione sociale. Accomunate dalla passione per un uomo che rifugge l’amore. Un carteggio che è inno alle gambe: non la fiamma del cuore, ma l’idolatria delle cosce: ‘L’Humanité ne sera sauvée que par l’amour des cuisses. Tout le reste n’est que haine et qu’ennuie’. Continua Céline: “Mi piacciono sempre le ballerine. Non mi piace nient’altro, addirittura. Tutto il resto m’è orribile”. È questa sete di concretezza, aspirazione al conseguimento di una pienezza esistenziale non astratta, bensì carnalmente spirituale, a spingere l’autore a celebrare un primato vitalistico in cui l’eros è potenza superiore alla finzione artistica. “Questi letterati – scrive Céline– s’eccitano molto con le parole e basta. Il mio disprezzo della letteratura è grande, la letteratura è Morte. A tenerci in vita è solo l’affetto per le persone e le cose. Tutto il resto è niente”. Il pessimismo è radicale: “Gli anni passano nella diffidenza, nella vergogna e nella noia… Ho voglia di morire più che di vivere per dirla tutta”. Le Lettere non tratteggiano un uomo diverso dall’autore del Voyage. Esiste un filo tra il viaggio al termine dell’umanità ed il tragitto alla fine dell’amore. Uno sguardo che occhieggia la voragine dei sentimenti. Ed il sentimento definitivo è carnale, all’insegna di una lacerante violenza autodenigratoria: “Già vecchio, depravato, non ricco, malmesso insomma. Tutt’altro che un buon partito…”*.
Non vi sono neppure lettere a Léonie Bathiat/Arletty, che pure fu una sua amica sincera e per la quale Céline scrisse nel 1948 un copione, mai portato al cinema: Arletty, jeune fille dauphinoise. Scénario.
Un altro libro recente, di Marco Fagioli e Stefano Lanuzza, Arletty, Sartre e Louis-Ferdinand Céline (Firenze, 2016). Arletty, jeune fille dauphinoise è un copione, un’idea per un possibile adattamento cinematografico (mai andato in porto per la mancanza di finanziatori) che Céline scrisse per la sua fedele amica. Un testo rimasto allo stato di abbozzo, che cerca di proporre un “parlato sonoro” capovolgendo la lingua. L’altro scritto è À l’agité du bocal, un libello che si scaglia contro Jean-Paul Sartre, il quale nel Portrait de l’antisémite accusava Céline di essere stato, oltre che simpatizzante dei nazisti, da loro pagato: accusa totalmente falsa. La risposta di Céline, ferito nell’animo ed esausto per le difficoltà vissute è durissima, definendo Sartre: «un bolo di veleno scatologico con escrescenze linguistiche superespressive».
Nell’idea di Céline spiccano l’ammirazione ed il desiderio onirico suscitato dal corpo snello e misterioso di Léonie Bathiat. Che nasce il 15 maggio 1898, da una famiglia di modesta condizione sociale. Come l’attrice scriverà poi nell’autobiografico La Défense (1971), vede la luce, come Céline, a Courbevoie, cittadina dell’Île-de-France, al 33 di Rue de Paris, «in un oscuro piano terreno, rischiarato dal sorriso dei miei genitori». È figlia di Michel Bathiat, montatore-tornitore dei tram di Parigi, e di Marie Dautreix, lavandaia. Ha un fratello maggiore, Pierre. Léonie riceve un’istruzione religiosa, ma il cattolicesimo non lascerà in lei tracce profonde…
La Guerra del 1914 stronca presto sul campo di battaglia la vita del suo primo amore, soprannominato ‘Ciel’ per il colore dei suoi occhi. Disillusa, la ragazza giura che mai avrà un marito e dei figli. Suo padre muore il 2 dicembre ’16, schiacciato da una vettura. Rimasta orfana a diciotto anni, la sua famiglia espulsa dalla casa per gli addetti della Compagnie des tramways de Paris, Léonie nel ’17 si lascia sedurre dal giovane banchiere svizzero ed ebreo Jacques-Georges Lévy, che la porta a vivere nella sua villa di Garches, una località ad ovest della Capitale.
Levy diventa il suo Pigmalione. Egli è intelligente, colto. Lei lo soprannomina ‘Edelweiss’. Lui le insegna a stare a tavola, a leggere Proust. Le fa scoprire Venezia ed il Monte Bianco. Lei non è una sciocca orgogliosa e mette a frutto buone maniere e conoscenze. Sua madre non l’accetta e Léonie rompe i rapporti, pur soffrendo. Ama veramente il generoso Levy? La giovane soprattutto lo stima. Non aspira ad una vera al dito. Essi hanno per vicini Coco Chanel e André Brulé, attore di teatro e cinema. Jacques-Georges le fa conoscere il teatro, i grandi sarti, gli artisti, i buoni ristoranti, l’alta società della Capitale. E si lasceranno come amici. È il genio d’Arletty, che lascia buoni ricordi ai suoi amanti, anzi, in qualche modo entra nelle loro nuove famiglie, spose e figli la trattano come una cugina…
Léonie abbandona Jacques-Georges per il marchand Paul Guillaume – amico di Picasso, di Modigliani, del russo Chaïm Soutine, che la raccomanda a Armand Berthez, direttore del Teatro dei Cappuccini. La donna fa, quindi, il suo ingresso nel mondo teatrale come attrice di varietà e di prosa. Per circa un decennio interpretò soprattutto commedie musicali e pièces brillanti. Già modella di Paul Poiret – grande ed audace couturier, precursore dell’Art Déco – con lo pseudonimo di Arlette (dal personaggio di un romanzo di Maupassant), Léonie lo anglicizza poi in Arletty, ispira i pittori Kees van Dongen, Moïse Kisling, Fujita, Jean-Gabriel Domergue, Marie Laurencin, che la contrattano come modella. Lei ha ora come amante Pierre de Régnier, scrittore e cronista, figlio naturale di Pierre Louÿs, poeta e scrittore d’erotismo. Non dura. Dal 1928 Jean–Pierre Dubost, uomo d’affari di buona famiglia, che resterà sempre suo fedele compagno.
Nel 1930 Arletty debuttò nel film Douceur de vivre, in un ruolo di secondaria importanza. È una fortuna, la sua, di essere entrata tardi nel mondo del cinema, ma nel cinema già sonoro, ove la sua lingua affilata, pungente, di donna del popolo (una Gavroche al femminile, fu detto) ha piena possibilità di esprimersi e di piacere al pubblico con il suo argot sfacciato di ‘fille de métallo, pur produit de la classe ouvrière parisienne’ , con il suo accento dei faubourgs, le sue risposte sferzanti. Nessun’altra incarna come lei il fascino della donna del popolo, con una peculiare intensità, con una voix gouiailleuse, sfacciata e provocante, senza eguali. Caratteristiche esaltate da Prévert et Carné. L’attrice apporta ad ogni ruolo spontaneità e vigore. La sua bellezza è altera e popolare, con un talento comico eccezionale. Stringe amicizia con Sacha Guitry, attore e regista, con Michel Simon, attore ginevrino, con Fernandel e Jules Berry, con Louis Jouvet. Frequenterà, tra gli altri, Colette, Cocteau, Marcel Aymé, Drieu la Rochelle, Rebatet. Ed avrà un rapporto particolare, complice, di stima, con il concittadino Céline.
Se Arletty è incostante nell’amore, disinibita, senza pregiudizi, donna di «liberi costumi» che non si negava neppure trasgressioni di tipo saffico, è fedele nell’amicizia. Le sue amicizie appaiono a volte paradossali, dissonanti. Lei va de Bernstein a Prévert, da Prévert à Guitry, da Guitry a Céline, senza cambiare umore e tono. Lei non appartiene ad alcuna conventicola. Si presta, ma non si dona. Non è scelta, è lei a scegliere. La stessa guerra non la cambierà. Insolente e vitale, fiera e solitaria, famosa, diventa amante del lusso e della mondanità, ma senza malizia politica. Nella sua autobiografia, Arletty si dirà anarchica. Come i suoi amati Prévert e Céline. A quest’ultimo, in particolare, si sente presto legata da comuni radici, da una grande ammirazione artistica, dall’anarchismo pacifista integrale, come le verrà pure rinfacciato. Non è certo una libertaria filosofica o militante, ma una donna intelligente, libera, coraggiosa. Arletty, figlia della classe operaia e fiera d’esserlo, da un anarchismo culturalmente di sinistra inclina progressivamente verso un anarchismo di destra, individualista, che stinge a sua volta verso il nichilismo. Non casualmente ammirerà Roger Nimier, il cui romanzo Le Hussard bleu (1950) darà il nome al movimento letterario degli «Hussards», in opposizione all’esistenzialismo ed alla figura dell’intellettuale politicamente impegnato, a Jean-Paul Sartre.
Nel 1934 Arletty, una bella donna bruna che dimostra meno dei suoi anni, riesce ad imporsi all’attenzione del grande pubblico con Pension Mimosas, diretto dal belga Feyder. Durante la lavorazione del film, Léonie conobbe il ventottenne Marcel Carné, assistente alla regia di Feyder che, alcuni anni più tardi, la chiamò ad interpretare, insieme a Louis Jouvet, Hôtel du Nord del 1938. Arletty come « Mme Raymonde » dans Hôtel du Nord interpreta un ruolo memorabile che la rende celebre. Segue Le Jour se lève del 1939, a fianco di Jean Gabin. Questi film, coronati da un grande successo di critica e di pubblico, consacrarono la fama di Léonie, divenuta ormai una delle attrici più apprezzate e pagate di Francia. Arletty, musa dei faubourgs, ha segnato come nessun’altra la settima arte del suo Paese, con le sue doti artistiche, la sua forte personalità, la sensualità, con la gouaille, la prontezza di spirito insolente, tipicamente parigina. “Arletty n’est pas charmante, elle est le charme”, dirà Jacques Prévert. Fu anche un’icona gay, prima di altre.
Nella prima metà degli anni ’40 e durante la guerra, l’attrice raggiunse la sua piena maturità espressiva con due film, diretti ancora da Marcel Carné durante l’occupazione tedesca: Les Visiteurs du soir del 1942, nel quale aveva come partner Alain Cuny, e Les Enfants du paradis, girato nel 1943-1944, ma presentato al pubblico nel ‘45. Entrambi i lungometraggi, frutto della collaborazione di Carné con Prévert, che ne scrisse i soggetti e le sceneggiature, sono considerati fra i capolavori assoluti del realismo poetico francese. Quando Carné le offrì la parte di Garance in Les Enfants du paradis, Arletty aveva già 45 anni, ma apparve subito l’interprete ideale. Garance è ironica, tenera, spregiudicata, fatale, bravache e solaire, capace di dar vita, insieme al trasognato Baptiste Debureau (Jean-Louis Barrault) e ad altri interpreti, ad una vicenda commovente ed un po’ crepuscolare, che fa di questo film una delle più affascinanti creazioni di tutti i tempi. La critica francese nominò, nel 1995, il film «la miglior pellicola mai girata».
Il 25 marzo 1941, presentato dalla sua amica Josée de Chambrun – moglie del conte René Pineton de Chambrun, discendente di Lafayette, avvocato, e figlia di Pierre Laval, Presidente del Consiglio dei Ministri di Vichy – Arletty inizia une relazione sentimentale con Hans Jürgen Soehring, ufficiale tedesco della Luftwaffe. È una grande e durevole passione. Disinteressata quanto pericolosa. Durante le riprese di Les Enfants du paradis, Arletty, incinta del suo amante, decide di abortire. Arletty «Biche» pagherà cara la sua passione per il boche «Faune», come si soprannominano. Alla Libération, sarà arrestata ed imprigionata durante alcune settimane per tradimento e collaborazione con il nemico, seppure mai condannata. La sua unica vera colpa era stata, infatti, quella di essersi innamorata di Soehring, di stanza nella Capitale.
Hans Jürgen Soehring nasce nel 1908 à Istanbul, figlio di un diplomatico germanico inviato nella Capitale Ottomana. Studia a Berlino, a Lipsia, a Grenoble, a Parigi e Londra. È poliglotta, innamorato della douce Francia come tutti i tedeschi. Prima della guerra entra in magistratura. Allo scoppio del conflitto è tenente colonnello della Luftwaffe, destinato come Giudice Militare a Parigi. Alla fine del conflitto non subirà incriminazioni o particolari persecuzioni, mentre Arletty è colpita dalla sospensione professionale e dal confino fuori Parigi per tre anni.
Dopo la guerra, Soehring diventa scrittore; vicino a Hans Werner Richter, fa parte del cenacolo letterario «Gruppo 47», dall’anno della sua fondazione. Al movimento appartengono i più noti scrittori tedeschi del dopoguerra, dal Premio Nobel Heinrich Böll a Günter Grass. Egli traduce in tedesco l’autobiografia di Charles Lindbergh, The Spirit of St. Louis, nel 1956. Entrato al servizio del Ministero degli Esteri della Repubblica Federale, Soehring nel 1960 è nominato Ambasciatore di Germania presso la nuova Repubblica del Congo. Muore durante un viaggio con la famiglia sulle rive del fiume Congo in circostanze oscure, mentre sta prendendo un bagno con il figlioletto. Il suo corpo non sarà mai trovato, forse divorato dai coccodrilli. Fino alla sua morte precoce Hans Jürgen conserva l’amicizia di Arletty, che rende visita alla vedova a Bad Godesberg.
Un altro libro recente e significativo: Arletty. “Si mon cœur est françáis” di David Alliot, Tallandier, 2016. «Arletty et son beau nazi» (etichetta falsa, Soehring non fu mai un nazista convinto) è certamente la storia più celebre dell’Occupation. Di questa passione fino a pochi anni fa si conosceva quasi solo la mordace battuta, più o meno veritiera, detta dall’attrice agli investigatori, i «resistenti della 25ma ora»: “Si mon coeur est français, mon cul est international!” Settant’anni dopo i fatti, termine legale per l’apertura degli archivi, David Alliot, già autore di vari saggi su Céline, ha così preso visione del Dossier judiciaire et policier d’Arletty alla Libération. Confezionando un libro, se non stupefacente, assai interessante sulle dinamiche di un periodo storico tormentato e sul maggior simbolo della cosiddetta Collaboration horizontal.
Occhieggiando il libro qui e là… Il 17 gennaio 1942 Hermann Göring è in visita nella capitale francese, dopo aver incontrato il Maresciallo Pétain à Vichy, e il Tout-Paris intellettuale ed artistico si accalca per vedere il voluminoso ‘uomo forte’ della Germania, designato successore di Hitler. Nell’Ambasciata tedesca, tra molti invitati, Arletty è della partita e viene presentata al Reichsmarschall Göring, Comandante in capo della Luftwaffe, e quindi di Soehring. Che, però, verrà poi misteriosamente degradato, forse per la sua eccessiva notorietà e frequentazioni, e mandato a combattere al fronte italiano. Per essere alfine reintegrato nel grado.
Cambia il vento della storia, la grande e la particolare. Dopo lo sbarco alleato in Normandia, nel luglio 1944, Arletty ha rifiutato l’offerta di Otto Abetz, ambasciatore del Reich a Parigi, di raggiungere la Germania. Poche settimane prima, durante una licenza a Parigi, ‘Faune’ aveva caldeggiato tale ipotesi. Nulla da fare. Arletty ostinatamente non vuole lasciare la Capitale. Cambia domicilio in varie occasioni. È pure ospite della principessa di Broglie, che le confessa, anzi, di essere una résistante ultra! Il 20 ottobre 1944 gli ispettori Martignac, Soirat e Bigot procedono all’arresto e reclusione dell’attrice alla Conciergerie, nuova Maria Antonietta. Il giorno seguente inizia l’interrogatorio. Le prime domande vertono sui suoi rapporti con ‘Faune’. Arletty si difende con coraggio, anche se forse non dirà testualmente il sarcastico: “Se non volevate che li frequentassimo, non dovevate farli entrare!” come rivendicherà poi. La sua argomentazione di fondo è lineare, semplice e vera: “Mi si rinfaccia di aver avuto come amico un ufficiale tedesco, ma nulla io ho fatto di riprovevole verso il mio Paese”:
“Ho rifiutato categoricamente di girare i film collaborazionisti di Pierre Dehérain, figliastro del Maresciallo Pétain: Monsieur des Lourdines e Paméla, che mi avrebbero reso molto denaro. Nonostante tutte le pressioni ho sempre opposto un energico rifiuto…Nessun mio film è stato girato in Germania, né ho viaggiato mai a quel Paese, nonostante le pressioni subite…Il mio affaire è stato puramente sentimentale, non avendo esso alcuna relazione con gli avvenimenti politici”. Circa i suoi legami con gli occupanti, Arletty rivendica di non avere mai avuto nulla da loro: “Mai ho posseduto autorizzazioni speciali rilasciate da Autorità tedesche, mai nessun’auto mi è stata messa a disposizione…Tutti i miei movimenti sono sempre stati fatti con mezzi pubblici o propri, métro, biciclette, taxi…”.
Il 7 novembre 1944, considerata la debolezza dell’imputazione, la Direzione della Polizia Giudiziaria libera l’attrice, comminandole non un rinvio a giudizio, ma il confino fuori Parigi. Molto peggio andò a Robert Le Vigan, attore ed amico de Céline, condannato a 10 anni di lavori forzati, ed a molti altri, per la messa in scena della Résistance, della fantomatica «Francia che non si era mai arresa», omaggio alla Realpolitik ed alle ambizioni di revenants e parvenus.
Amoureuses et rebelles: Histoires d’amour et lettres inédites de Arletty, Edith Piaf, Albertine Sarrazin di Denis Demonpion, Textuel, 2008. Il libro aveva già rivelato aspetti sconosciuti di una passione che era continuata oltre la fine del conflitto. Lettere che furono restituite all’attrice, non senza eleganza, dalla stessa moglie dell’ex amante tedesco.
L’idillio con l’officier allemand continua, segretamente. Le lettere passionali esumate lo provano. Il 18 marzo 1946 scrive Léonie: “Ma vie, mon âme t’appartiennent”. Il 18 settembre: “Je désespère. Sauve-moi“. Il 9 novembre: “je t’aime si fort…”. Ma le circonstanze della storia separano i due amanti: Arletty è confinata e Soehring vive à Marquartstein, presso Monaco, nella Zona d’Occupazione Americana. Per raggiungerlo l’attrice ha bisogno di una autorizzazione amministrativa che mai arriva. Allora “Biche” gli manda delle sigarette Lucky Strike in Baviera e “Faune”, inguaribilmente romantico, contraccambia con orchidee di montagna…
Arletty si sente assai sola: “Après avoir été la femme la plus invitée de Paris, je suis la femme la plus évitée”, si lamenta. Appena la sua situazione giudiziaria viene chiarita, lei sale sul primo treno in partenza dalla Gare de l’Est e raggiunge l’amante in Baviera. Passano insieme il Natale del 1946. Soehring le chiede di sposarlo. Léonie ne è lusingata, ma rifiuta, ponendo una decisione ormai lontana e la propria indipendenza al di sopra di tutto. Ormai prossima ai cinquant’anni, pur ben portati, la donna deve immaginare, altresì, che difficilmente potrebbe conservare al suo fianco un marito appena trentottenne…Sei mesi più tardi, quando scade l’assurdo divieto impostole, la pestiférée del cinema francese si trova nuovamente di fronte ad una cinepresa, quella di Carné, per La Fleur de l’âge. Scrive emozionata a Soehring: “Aujourd’hui, premier maquillage depuis le 31 mars 1944”. Le riprese portano il cast a Belle-Île-en-Mer, in Bretagna. Arletty sogna di giocarci a ‘Robinson Crusoe’ con l’amante tedesco. “Ho comprato per te, oggi, prima di lasciare l’isola, una piccola casa bretone” gli scrive il 26 luglio 1947. Ma ‘Faune’ non ci metterà mai piede. Léonie e Hans Jürgen si ritroveranno nel 1949, a Parigi. L’intuitiva Arletty avverte subito che un’altra donna è entrata nella sua esistenza. La loro passione si spegne dolcemente nella distanza. Sarà, pare, l’ultimo uomo della sua vita.
Arletty se ripresenta, dunque, in scena, a teatro e sul plateau cinematografico. Prima che un glaucoma degenerativo stenda un velo permanente sulla sua quotidianità, dall’inizio degli anni ’60. Le rimangono le visite di ammiratori, il sostegno di Jean-Claude Brialy (detto Mère Lachaise), la devozione del secretario-confidente Michel Souvais – che scrive con lei alcuni libri – e saltuari omaggi, come quando, al compiere 90 anni, anche Marcel Carné sarà della partita**.
Donna di carattere, Léonie ha saputo affermare la sua indipendenza di pensiero e di azione ad ogni tappa della sua lunga vita. Non le importerà nulla di essere guardata da non pochi con freddezza. Non tradirà nessuna vecchia amicizia. E del «politicamente corretto» del tempo non si curava affatto! Dopo la guerra, Josée Laval, contessa di Chambrun, riprende la consuetudine dei pranzi, sempre nello stesso appartamento della Place du Palais-Bourbon. Attorno a lei un gruppo di fedeli. In quel Vichy après Vichy, come diceva qualcuno, Arletty può conversare con Paul Morand, Coco Chanel, Jean Jardin, René Bousquet, Marcel Jouhandeau, Emmanuel Berl, Edmonde Charles-Roux, ma pure con personaggi che contano, come il patron della stampa Pierre Lazareff o il Ministro gaullista principe Poniatowski.
Negli anni Cinquanta Arletty s’impose nuovamente all’attenzione del grande pubblico e della critica con alcune pregevoli interpretazioni, come quella di Mme Blanche in Le Grand Jeu, del 1953, a fianco di Gina Lollobrigida, e quella di Blanche le Garrec in L’Air de Paris, ancora di Carné, interpretato con Jean Gabin. Nel 1958 fu scelta da Marc Allegret per il ruolo di Juliette Harmier in Un drôle de dimanche. È praticamente il suo canto del cigno. Venendole meno la vista, Arletty partecipa ad alcuni programmi televisivi, documentari, interviste, raccontandosi al suo pubblico o commemorando gli amici scomparsi, Prévert, Brassens, Bernard Blier e l’amato Céline, il mutilato di guerra, il viaggiatore, il ‘medico dei poveri’, le reclus, le maudit… Uno scrittore peculiare anche per la sua solitudine di scrittore. Non frequentava l’ambiente, non si mischiava. Senza complicità ideologiche o falsificazioni storiche: la grande solitudine, la sua arte e l’umana, disperata pietà. “Je n’ai pas admiré quelqu’un, écrivain, comme j’admire Céline; il y a Céline, et les autres… et très loin les autres“ dirà l’attrice.*** In fondo, Arletty non sembra molto diversa da Céline, nella sincerità e nella visione disincantata della vita.
Destino beffardo. Léonie Bathiat, dite Arletty, sopravviverà al suo ultimo amante per oltre tre decenni, spegnendosi, ormai cieca da molto tempo, a 94 anni, il 23 luglio 1992.
È sepolta a Courbevoie, dove una via ne porta il nome, in una tomba con i suoi familiari.
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* Cfr. Isabella Cesarini, Libri. La passione per le cosce salverà il mondo: le “Lettere alle amiche” di Céline, in http://www.barbadillo.it/53720; Luca Siniscalco, Cultura. Vanità e poesia di Céline nelle “Lettere alle amiche”, in: http://www.barbadillo.it/54514-cultura-vanita-e-poesia-di-celine-nelle-lettere-alle-amiche; http://www.treccani.it/magazine/atlante/cultura/Celine_lettere_alle_amiche.html.
** Cfr. Olivier Rajchman, Arletty: pourquoi elle a fait le serment de n’avoir ni mari, ni enfan, in: https://www.telestar.fr/277473. (16 agosto 2017).
*** Cfr. http://www.lepetitcelinien.com/2012/05/ils-ont-connu-celine-arletty.html; Arletty évoque Céline (1971), in : https://www.youtube.com/watch?v=v9eUGUatrxo.
* già ambasciatore d’Italia in El Salvador e Paraguay