Amore, corpo, emozioni e mente. Teorie, prassi ed enigmatiche supposizioni suggeriscono facilmente una situazione che più che una teoria si rivela quasi un dato di fatto, perché come dice il protagonista durante i titoli di testa: “Il nostro corpo è abitato. Quello che sperimentiamo non finisce nel cervello ma si miniaturizza da qualche parte nell’organismo, nei nostri organi, nelle ossa, nei denti. I ricordi si annidano nel nostro corpo e a volte prendono il comando e si sostituiscono a quello che stiamo vivendo”.
Denti, il film dopo la svolta. Gabriele Salvatores, dopo un’esplorazione densa della distopia nei contorni del cyberpunk, esplora con disinvoltura le sfaccettature di un uomo in crisi di identità, Antonio, professore di filosofia, la cui ricerca di sé inizia con una frattura, quella dei propri incisivi. Denti, un film mistico, esoterico, tratto dall’omonimo romanzo di Domenico Starnone. I denti diventano la metafora di una barriera tra il protagonista, il suo corpo, le sue paure e le sue emozioni. Denti che mordono la vita, che incutono timore, di cui ci si vergogna, sembra che il corpo sia un impedimento, soggetto all’umore altalenante di emozioni contrastanti.
La menomazione vista come ricerca, l’assalto ad una memoria somatologica in cerca di ricordi da riassemblare nell’organismo a cui viene affidato il compito primario di scacciare i fantasmi di Antonio, tenendo conto delicatamente della sua fragilità. Una fragilità in cerca di un superamento, per raggiungere il quale Antonio dovrà attraversare il proprio inferno personale, rappresentato da una Napoli ancestrale, fatta di magia popolare, di stregoni/dentisti, di sortilegi e di tecnologie. La paura del dentista e di ciò che rappresenta è ciò che lo attanaglia. Ne dovrà incontrare diversi, che corrispondono ai diversi nodi da sciogliere. Denti è un viaggio dantesco dentro di sé, contro i propri incubi, un superamento dell’ombra che conduce ad una luce nuova.