Siamo troppo in ritardo per gli dei, troppo in anticipo per comprendere l’Essere.
Martin Heidegger
Nel 1956 con l’uscita di The Outsider, uno scrittore giovane e disoccupato si ritrovò di colpo sotto la luce abbagliante dei riflettori della celebrità, il suo nome era Colin Wilson (1931-2013). Cosa ancor più sorprendente The Outsider (Lo straniero, Lerici, 1958), non era un romanzo, ma un saggio improntato sullo studio delle biografie di artisti e scrittori, o comunque di uomini di genio che avevano lasciato la loro impronta nella storia. Ma la vera novità del libro di Wilson risiedeva nell’approccio innovativo con cui veniva condotto il suo lavoro basato su un accurato esame delle psicologie dei vari autori. In questa maniera lo scrittore britannico pervenne a conclusioni inedite riguardo personaggi come: Dostoevskij, Van Gogh, Nietzsche, Shelley, Hemingway, Gurdjieff, ecc. Il fatto è che Wilson, intellettuale raffinato dai molti interessi, ebbe il merito, lui per primo, d’intravedere la luce dove altri non scorgevano che ombre. In The Outsider egli sostiene che questi uomini di genio, ossia gli “estranei”, sono in realtà una sorta di “risvegliati” (in senso buddista e non solo), che si sarebbero resi conto dello stato di inconsapevolezza patologica in cui versa l’intero genere umano. Tuttavia questa presa di coscienza può rappresentare un grave pericolo per costoro, che trovandosi a metà strada tra il divino e l’umano, spesso non reggono all’enorme pressione dovuta alla loro scoperta: perciò arrivano a togliersi la vita. Questa premessa dedicata a The Outsider ci è sembrata d’obbligo considerata l’importanza che quest’opera ha avuto nel quadro della variegata carriera letteraria dell’autore che spazia tra l’occultismo, l’esistenzialismo, il misticismo e, naturalmente, la narrativa sia di tipo realistico che fantastico. Fra i suoi romanzi fantastici, un ruolo privilegiato rivestono quelli di genere fantascientifico. Tra essi vanno senz’altro ricordati: The minds parassites (1967), The Philosophers Stone (1969) e The space vampires (1976); da cui fu tratto il famoso adattamento cinematografico del 1985 diretto da Tobe Hoopher. Ora la collana “Urania Collezione”, ripropone, proprio in questi giorni, The minds parassites, I parassiti della mente. Il volume è corredato da una postfazione a cura di Giuseppe Lippi, e da un estratto dell’introduzione originale al romanzo opera di Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco che accompagnava la prima edizione della Fanucci del 1977.
Ci troviamo di fronte a un romanzo molto particolare in cui confluiscono, in un crescendo multiforme, parecchi temi diversi, ma tutti collegati fra loro in un insieme armonico e perfettamente coerente. Wilson, autore di razza, a suo agio, come su evidenziato, sia con il mainstream che con la narrativa di genere, riesce a spaziare, nei i vari momenti della narrazione, e nella pagina stessa, con una libertà e una sicurezza invidiabili. Il tratto è deciso, la mano audace. La prosa utilizzata è peculiare, nel senso che sa farsi quasi mimetica strizzando l’occhio, specie nella prima parte del libro, a quella di Lovecraft, autore da lui apprezzato, e da cui trae, in tutta evidenza, ispirazione per questo suo lavoro. A tal proposito lo stesso Wilson nella presentazione al libro afferma, che fu Auguste Derleth, vecchio amico del Solitario di Providence e suo continuatore, a invitarlo a scrivere un romanzo fantastico.
Procedendo con la lettura, la prosa sfuma in uno stile più vicino a quello dell’autore, divenendo asciutta e diretta pur mantenendo una certa eleganza. Wilson sa passare con grande abilità da un registro linguistico all’altro; sa affabulare, incuriosire, sorprendere come ogni autore di talento e complessità intellettuale. Il ritmo della narrazione è opportunamente cadenzato e, man mano, che si va avanti, e la vicenda prende corpo, si definisce, si rivela nei suoi meandri narrativi, nelle sue trame sotterranee; si fa più serrata, assumendo le caratteristiche e la forza d’un thriller. Inoltre l’autore gioca con grande perizia (in puro in stile lovecraftiano) la carta dell’espediente mistificatorio. Sembra divertirsi con un gioco di specchi, con rimandi, con citazioni di vari personaggi famosi, siano essi filosofi del calibro di Nietzsche, mistici come Gurdjieff, o scrittori alla Goethe. Utilizza, con sapienza e arguzia, lo strumento delle note al testo, mescolando, con l’abilità d’un illusionista, verità e finzione, conferendo credibilità e verisimiglianza al tutto. Discorre appassionatamente per bocca del protagonista (il libro è narrato in prima persona), della fenomenologia di Husserl, allude ai più inconfessabili misteri della mente umana, disquisisce su temi legati alla psicologia, alle facoltà extrasensoriali ecc. Un puzzle assai articolato ma assolutamente convincente, che coinvolge il lettore, e lo attira nel vortice di una storia emozionante e ricca di suspense. In questo modo I parassiti della mente con i suoi meccanismi interni ed esterni alla narrazione, si configura (come opportunamente evidenziato nell’eccellente introduzione di de Turris e Fusco) come un romanzo dai molti piani di lettura nel senso che, a seconda del livello di conoscenza dei vari elementi presentati, il lettore potrà rintracciarvi tutta una serie di riferimenti. Un libro complesso dunque, ma non difficile, e anzi del tutto fruibile, a patto d’amare la letteratura fantastica. La trama è ricca, articolata, con frequenti colpi di scena, e presenta un intreccio chiaro e solido. La vicenda si sviluppa fra atmosfere alla Lovecraft, le suggestioni dovute all’inconscio collettivo di Jung e alla sua “psicologia del profondo”, il tema della possessione da parte di entità aliene in una sorta di “invasione degli ultracorpi” ma in una dimensione mentale e spirituale, in cui l’umanità vede minati il suo sviluppo, e la sua capacità di rigenerazione.
“La facoltà più straordinaria dell’umanità, sostiene Weissman, è il potere dell’autorinnovamento o della creazione. L’esempio più semplice è la specie di rinnovamento che si produce quando un uomo dorme. Un individuo stanco è già nella morsa della morte e della follia.”
In tal modo il genere umano soggiace, inconsapevolmente, al dominio di misteriose e malevole creature aliene che albergano nella mente delle persone, manipolandone le scelte e i pensieri, e limitandone lo sviluppo intellettuale come pure l’elevazione spirituale. Tale dominazione è in corso dall’anno 1800, periodo in cui avvenne, appunto, l’infestazione delle menti, e che segna un importante spartiacque da cui prende inizio un’epoca di decadenza senza precedenti per l’intera umanità.
“Perché entriamo in un secolo in cui metà degli uomini più geniali si uccidono o muoiono di tubercolosi? Spengler sostiene che le civiltà invecchiano come le piante, ma questo è un salto improvviso dalla gioventù alla vecchiaia.”
Di più, questi parassiti svolgono una continua operazione di sabotaggio psichico allo scopo di evitare lo sviluppo delle capacità telepatiche e telecinetiche dell’uomo, capacità che gli consentirebbero di individuarli e distruggerli. Inoltre, come si scoprirà nel corso della vicenda, questi esseri incorporei si nutrono delle energie degli individui, infiacchendoli e rendendoli vulnerabili ai loro condizionamenti. Solo una ristretta cerchia di “illuminati” (sorta di superuomini), appaiono in grado di combatterli e perfino annientarli, ricorrendo all’immenso potenziale insito nella mente umana, potenziale che i più ignorano, ma che porterà la nostra specie a spiccare un impressionante salto evolutivo verso una nuova e più alta forma esistenziale.
“Le grandi epoche si succedono: l’età di Leonardo, l’età di Rebelais, l’età di Chaucer, l’età di Shakespeare, l’età di Newton, l’età di Johnson, l’età di Mozart… Appare evidente che l’uomo è un dio che supererà tutti gli ostacoli.”
In questo modo Colin Wilson, sfruttando al meglio la mitologia di Chuthulu, fra città sepolte e dimenticate, straordinari poteri telecinetici, astronavi futuristiche, lune dal potere nefasto, esseri alieni dai fini perversi, e quant’altro occorrente a una storia nel più puro stile fantascientifico, ci regala un romanzo di notevole valore letterario, un’opera che supera agevolmente gli steccati artificiali e artificiosi tra i generi.
Ma al di là delle riflessioni legate alla natura fantascientifica del libro e al suo indiscusso valore artistico, non si può non scorgere, sotto la superficie di questa trama multidimensionale, tutta una serie di tematiche di stringente attualità. Basti pensare a certi elementi negativi della così detta modernità capaci di insidiare, nel profondo, lo sviluppo dell’autoconsapevolezza nell’uomo. Certo non si tratterà di forze aliene desiderose d’invadere la nostra realtà: ma dopotutto, cosa sono dei semplici parassiti psichici in confronto degli agenti del pensiero unico globale? Un mondo massificato e massificante, in cui l’uomo è un atomo di desolazione, con un Grande Fratello sempre in agguato come nell’incubo letterario di Orwell?
In vista di ciò I parassiti della mente, romanzo visionario dal soma paranoide, ci appare quanto mai attuale. Infatti, a ben vedere, in esso è contenuto un monito di grande potenza che vuole, oggi a distanza di tanti anni, metterci in guardia dai pericoli insiti nell’assopimento mentale di chi s’affida senza riserve al politicamente corretto, al buonismo imperante, al materialismo, all’opinione generale acritica. In altre parole a tutto ciò che rappresenta un plastificato surrogato della riflessione personale, dell’idea, di quell’esperimento divino che i filosofi d’ogni epoca hanno chiamato pensiero. Anche in questo risiede la bravura di Colin Wilson: nella sua personale visione del mondo e del suo futuro, nell’implacabile discernimento di quanto ci può attendere dietro l’angolo della storia. Egli, in un certo senso, sembra affidare a questo suo romanzo, nella stessa disposizione d’animo d’un naufrago che getta tra le onde la fatidica bottiglia, un’alta esortazione che è anche grido d’allarme: “Svegliatevi, poiché il sonno dello spirito è peggior cosa della morte!”
*”I parassiti della mente”, di Colin Wilson, Urania Collezione (2017), pag. 252