Lo scrittore Vincenzo Di Michele è da poco in libreria con il suo ultimo libro, “Cefalonia, io la mia storia” (Ed. Il Cerchio). Un romanzo storico, con riferimenti autobiografici, che può essere definito revisionista senza incappare in inesattezze o commettere eresie. “Per coloro – dice a Barbadillo Di Michele – che eventualmente mi criticassero per questa mia analisi sulle vicende di Cefalonia, nel senso di aver conferito giustificazioni e argomentazioni in favore dei soldati tedeschi, consiglio vivamente di leggersi un altro mio libro, L’ultimo segreto di Mussolini, peraltro anche in lingua inglese (“The last secret of Mussolini”), circa l’accordo sottobanco tra i tedeschi e il governo Badoglio. Dopodiché possono procedere in un giudizio definitivo circa la mia obiettività storica”.
In “Cefalonia, io e la mia storia”, lei dà ampio risalto ad una vicenda della sua famiglia.
Dentro di me già sapevo che prima o poi avrei raccontato la storia di un mio zio che non è più tornato da Cefalonia. Sì! Già sapevo che l’avrei tramandata ai miei figli così come i miei bisnonni l’hanno tramandata ai miei nonni e via via a me. Ogni altra cosa che ho fatto è stata solo un’opera di abbellimento di modo che tutti possano leggere al meglio questa mia storia biografica.
La pagina dell’Eccidio di Cefalonia è ancora da scrivere completamente?
L’intera vicenda storica deve essere affrontata nell’ottica di una diversa rivisitazione, a cominciare da una scomoda verità sulle debolezze del generale Gandin, che nei fatti consentì a quei pochi sovversivi di prevalere sulla massa dei deboli: “Dodicimila soldati italiani tutti obbedienti agli ordini”. E poi qualcosa di più a proposito del numero dei morti di cui non si ha ancora oggi un’idea precisa essendo i numeri molto diversi tra loro. Chi parla di duemila morti, chi di quattromila, chi di novemila. Non mi sembra che ci sia una trattazione esauriente a proposito dei disertori, perché secondo me furono molti i soldati che disertarono a Cefalonia. Inoltre, una rilettura a proposito degli eroi di Cefalonia che furono immolati in nome della Resistenza e consacrati nel corso degli anni come i salvatori della nuova Patria: “L’Italia antifascista”.
Si arrabbierebbe se qualcuno la definisse revisionista?
Se revisionismo significa ritornare indietro nell’analisi storica con nuovi elementi, con altre prove e, soprattutto, con ponderate riflessioni, senza pregiudizi ideologici e/o di parte dico e affermo: “sono un revisionista”. Alla resa dei conti: “La storia non la fanno i vincitori”. Ecco perché sono un revisionista.
Secondo lei, quanto accaduto oltre settant’anni fa ha contribuito a creare una coscienza nazionale?
Non credo che l’eccidio di Cefalonia fu significativo in quei tempi nel senso della creazione di una coscienza nazionale. Con il tempo però divenne un simbolo effettivo tanto è che si è parlato anche degli eroi di Cefalonia che furono immolati in nome della Resistenza e quindi consacrati nel corso degli anni come i salvatori della nuova Patria. Senza alcuna influenza di parte, io credo, come storico, che oggettivamente si debba parlare dei martiri di Cefalonia e di una tragedia che si poteva e doveva evitare.
Colpa principale dei comunisti presenti nelle nostre truppe e del generale Gandin, pace all’anima sua, che si fece trascinare da una minoranza su di una strada senza uscita…Si dovevano consegnare le armi ai tedeschi, non sarebbe morto nessuno, erano stati nostri alleati fino a quel momento, noi li avevamo traditi con la resa incondizionata di Cassibile e noi eravamo a Cefalonia anche grazie a loro, che ci erano venuti a salvare dopo le figuracce dell’inverno ’40-’41…. Non darle alla resistenza greca… Che poi i tedeschi non avrebbero dovuto procedere a fucilazioni sommarie e di rappresaglia in quelle disumane proporzioni è vero, ma è un’altra storia…
In effetti mettersi contro un esercito ben più forte come quello tedesco, per di più ex alleato, non è un’azione molto intelligente, ed ha le sue tristi conseguenze.
Con la resa l’Italia perdeva la sua condizione di Stato sovrano. Le sue truppe non avevano più referente gerarchico, se non l’occupante, nemico dei tedeschi! Se combattevano lo facevano in regime di autogestione…. Neppure quando, in modo rocambolesco, mesi più tardi, l’Italia del Sud dichiarò guerra al Reich ne aveva la capacità -stabilita dal Diritto Internazionale – per farlo, essendo prerogativa di Stati sovrani, non occupati e totalmente sottomessi all’invasore come lo era il nostro pseudo-governicchio di sciaboletta e Badoglio…