Tra le conseguenze principali del populismo c’è senz’altro la polarizzazione delle forze politiche; una rottura della fiducia reciproca che rischia di “inceppare” la macchina democratica. Non riconoscendosi a vicenda, gli schieramenti sottintendono che la vittoria altrui sarebbe “inaccettabile”. Questa polarizzazione si origina da ambo le parti, ma è specialmente necessità dei soggetti populisti qualificarsi come antisistema. E indubbiamente questi due poli corrispondono nella realtà anche a differenti comunità, con interessi e media differenti.
Tanti ritengono che il luogo per eccellenza dei populisti siano oggi i social media. Questo sia per un dato generazionale, sia perché i social media sono là dove, più che altrove, si sviluppa quella polarizzazione di cui sopra. Ma non sono un luogo esclusivo dei cd. populisti, bensì un terreno di incontro/scontro/confronto, quindi di definizione delle identità individuali e collettive. Da entrambe le parti.
Social media significa autoreferenzialità. I social media sono praticamente tutti gratuiti e il loro prodotto principale sono gli utenti stessi, venduti alla macchina del marketing aziendale. I social media hanno perciò necessità che gli utenti restino connessi il più a lungo possibile e per loro sviluppano il prodotto secondario: identità, socialità, interazione. I social permettono agli utenti di connettersi, conoscere persone e situazioni nuove, tramite profili individuali, gruppi, pagine più o meno serie.
Visto che siamo per natura portati a socializzare con chi ci assomiglia, a interessarci a ciò che già ci piace, i social hanno sviluppato algoritmi di filtraggio per far sì che gli utenti vedano solo ciò che piace loro. Ciò che potenzialmente ci disturba viene allontanato dalla nostra vista. In questo modo finiamo per vedere scorrerci davanti solo profili, pagine simili a noi, che confermano le nostre opinioni cercando di eliminare gli attriti di posizioni differenti.
Questo produce la radicalizzazione delle opinioni: viviamo in un mondo social in cui tutti la pensano come noi, in cui il conflitto è eliminato. E quando ci troviamo dinanzi chi non la pensa come noi? Siamo spaesati, confusi, impreparati. Se si produrrà un contrasto su questa differenza d’opinioni, sarà facilmente un conflitto violento e che “degenera” rapidamente perché coinvolgerà due parti scarsamente portate alla mediazione, al confronto con posizioni differenti dalla propria. E sarà sempre peggio.
I social portano così all’iperdiffusione di una distorsione cognitiva conosciuta come effetto Dunning-Kruger. Da wikipedia:
Questa distorsione viene attribuita all’incapacità metacognitiva, da parte di chi non è esperto in una materia, di riconoscere i propri limiti ed errori. Il possesso di una reale competenza, al contrario, può produrre la distorsione inversa, con un’affievolita percezione della propria competenza e una diminuzione della fiducia in se stessi, poiché individui competenti sarebbero portati a vedere negli altri un grado di comprensione equivalente al proprio. David Dunning e Justin Kruger, della Cornell University, hanno tratto la conclusione che: “l’errore di valutazione dell’incompetente deriva da un giudizio errato sul proprio conto, mentre quello di chi è altamente competente deriva da un equivoco sul conto degli altri”
Se quindi i social media ci fanno socializzare con persone simili a noi, che rafforzano le nostre opinioni, e se il nostro livello di competenza tecnica su un certo argomento è scarsa, ne conseguirà che i social media rafforzeranno la nostra falsa percezione di competenza circa un tema sul quale competenti non siamo. Questo quindi non solo accrescerà la radicalizzazione, ma acuirà il livello di scontro e l’impenetrabilità ad argomentazioni logiche delle opinione sviluppatesi secondo questo schema. Portandoci a quel fenomeno che, impropriamente, viene definito post-verità.