La principale fonte di nutrimento del Surrealismo pittorico novecentesco è rinvenibile in Sigmund Freud e nella sua elaborazione dell’inconscio. Nel presuntuoso atto di esplorarlo, molti artisti giungono direttamente al cospetto della materia magmatica: il sogno. La visione onirica figura l’apogeo fatale, il momento dove la ratio si assottiglia sino a scomparire. La frattura definitiva avviene con la logica, si infrangono i dettami della razionalità, in favore di un fluire libero e privo di riserve. Il linguaggio del sogno si scrive in associazioni e analogie. In uno scorrere affrancato dal criterio raziocinante, il bottino per immagini si fa latore del movimento surrealista. Fautore del gruppo è lo scrittore francese André Breton che nel 1924 redige il “Manifesto del Surrealismo”. Un teorema si erge sulla concezione che il sogno, occupando gran parte della vita di un individuo durante il sonno, può giungere a una realtà superiore. Tra la vita e l’onirico, si perviene a una terza dimensione di portata predominante.
Il Surrealismo si fonda sull’idea di un grado di realtà superiore connesso a certe forme d’associazione finora trascurate, sull’onnipotenza del sogno, sul gioco disinteressato del pensiero. Tende a liquidare definitivamente tutti gli altri meccanismi psichici e a sostituirsi ad essi nella risoluzione dei principali problemi della vita.
Il Surrealismo si pone dunque fuori dagli argini della ragione e nella totale libertà di immagini, archetipi e libere associazioni, prende corpo e vigoria. Il legame indissolubile in tale ambito va tutto nella memoria del re del Movimento, Salvador Dalí. Il tempo, in tale impero, pur nella grandezza e nell’eternità delle opere, si lascia custodire dal ‘900.
Spostandosi nella contemporaneità, l’immagine massima si agita nella figura dell’artista surrealista vivente, Evgeni Gordiets. Considerato, per le sue abilità, bambino prodigio sin dall’età di cinque anni, frequenta l’Accademia russa di Belle arti ed è riconosciuto in tutto il mondo mediante collezioni private ed esposizioni museali. Per l’artista la vita e la pittura rappresentano un continuum dove l’una alimenta l’altra.
La sua personalissima visione surrealista, si discosta dalla sorgente principale in un peculiare distacco da due approcci originati nei primi del ‘900. Gordiets, de facto, non fa degli “accostamenti inconsueti” il cuore della sua arte. Ancora, non rende cardine l’elemento suggestivamente deformante. La sua contemporaneità, fedele nel tratto e dentro una cristallina trasparenza, si dissocia da curiose alterazioni e improbabili accostamenti. Se Dalí, per affiorare e afferrare l’inconscio, si serve dell’automatismo psichico, ossia il metodo paranoico-critico, Gordiets, dentro una quiete tutta di pudore russo, trascina lo sguardo nell’ascolto del silenzio. L’opera del surrealista russo figura come un’epifania della quiete, la rappresentazione di un mondo in assenza di rumori e ancora l’accomodamento sotto la volta di un’arcadia scevra di qualsivoglia premura. Tutto scorre lentamente e si cristallizza in una potente percezione di eternità.
Il sogno di una natura incontaminata alimenta la visione onirica, anche nell’immagine di una donna eterea con virtù taumaturgiche. La figura femminile in un rosso che non si fa mai impudente o in un azzurro che richiama un cielo terso, figura il simbolo della bellezza nella quiete. Desiderabile nell’eleganza, commista alla natura di una farfalla o a quella di un pavone, confina con l’alto delle emozioni umane. L’opera di Gordiets non occhieggia il basso delle pulsioni, tutto è celestiale e nei confini di una tela che tratteggia la città incantata. Il sogno surrealista è il sogno dell’ideale. L’opera di Gordiets è distante e remota da un contemporaneo caotico e asfissiante sino all’annullamento dell’essere umano.
Il pittore Evgeni Gordiets figura un artista raffinato e al contempo coinvolto, scrigno di stile; richiede uno sguardo che non si arresti al semplice osservare, ma sosti a lungo sulla contemplazione nella veemenza dei suoi silenzi.