Dario Fo, amico e camerata di Giorgio Albertazzi, all’insegna del sovversivismo socialista di Salò? Che i due abbiano aderito alla RSI e combattuto nelle formazioni repubblicane è cosa nota. Altrettanto noto è che Albertazzi, sia pure battezzando la sua scelta come “anarchica” e “libertaria”, non ha mai sputato sul suo passato di “nero che più nero non si può”, mentre Fo, un “rosso” tanto acceso da esser stato vicino- anche in termini di sostegno economico- a tutti i possibili sprangatori antifascisti negli “anni di piombo”, si è sempre arrampicato sugli specchi a proposito della sua milizia repubblichina, negando ad essa ogni valore ideale e accampando a propria giustificazione la volontà di “coprire” il papà antifascista. Ed è noto, infine, che i due erano amici, si stimavano reciprocamente ed ebbero modo di collaborare, qualche anno fa, nel santo nome del teatro, a una serie di iniziative culturali tv. Ma quel che voglio raccontare è conosciuto da pochi intimi. In ogni caso, non può essere smentito, perché mi è già capitato di scriverne: gli interessati non hanno mai fatto una piega.
Dunque, siamo al Teatro La Pergola di Firenze, per la presentazione alla stampa dell’edizione 1998 del carnevale di Viareggio (l’attore ne sarà il protagonista col carro vincitore “Ma che male vi Fo”, di Silvano e Alessandro Avanzini). Presenti Fo, la Rame e Albertazzi. Le solite domande, le solite risposte, i soliti incensi. Inevitabili, peraltro, visto il Nobel attribuito a Dario l’anno prima. In ogni caso, stupisce un po’ l’affettuosa complicità che lega il “camerata” ai due “compagni”. Chiedo lumi a Franca che, dopo essersi informata su chi sono e a quali testate collaboro, dunque dopo aver ben realizzato che non appartengo né a parrocchie né a cellule, mi pone una domanda cruciale: “Ma perché voi fascisti che vi rifate all’esperienza di Salò state con Berlusconi? Che cosa ha a che fare un padrone, un anticomunista trinariciuto, un amerikano (“k” fortemente pronunciata), con gente che credeva nella rivoluzione?”. Chiedo lumi:” “Con chi dovremmo stare? E perché?”. Risposta: “Ma con la sinistra, col popolo di sinistra, con tutti i ribelli”. Rifletto un po’, e osservo: “ Cioè, mi sembra di capire, con tipi come Dario”. Sorride: “ E anche come Giorgio. Vanno d’accordo su tutto”. In effetti, i due, in un angolo della sala, parlano, ridono, l’uno sembra assentire a tutto quello che dice l’altro. Dico a Franca, salutandola: “Bè, ci faremo un pensierino ”.Ma lo faccio subito, il pensierino: RSI a parte, in questi settant’anni di dopoguerra, davvero Fo è stato, almeno una volta, un “ribelle”? Noi abbiamo l’immagine, piuttosto, di un “oppositore di Sua Maestà”. E Sua Maestà, non ci piove, è sempre stata la superconfomista vulgata antifascista che ha in schifo la RSI. E che esibisce prestigiosi “imprimatur” di poteri, sottopoteri e cosiddetti contropoteri. Fo, assolto da tutti i suoi peccati in camicia nera ed esaltato per la sua geniale “scomodità”, è già stato proclamato santo, su Albertazzi le scelte giovanili continuano a pesare. O no?