“Vogliamo sorprendere. Magari qualcuno ci sottovaluta, io dico che il nostro deve essere un fuocherello che deve divampare e diventare un incendio”: si era presentato così ai tifosi del Chelsea Antonio Conte, pochi giorni dopo aver concluso con onore l’avventura azzurra agli europei. Ora, dopo due partite di campionato, il funambolo salentino della panchina può dire di essersi calato in pieno nel clima della Premier, e di aver iniziato per il verso giusto, grazie a due vittorie sofferte e perciò in grado di creare subito il collante con la piazza sportiva e rafforzare il feeling con lo spogliatoio. Conte punta allo scudetto inglese in una stagione nella quale su tante panchine del torneo si parlerà italiano (a partire dal Leicester dei ricordi di Claudio Ranieri). Dopo aver vinto all’esordio con il West Ham una rovente stracittadina, sabato ha conquistato il primo “derby italiano” , battendo il Watford di Walter Mazzarri.
La stampa inglese sta cercando un soprannome da affibbiargli. I meno fantasiosi lo hanno chiamato “Special worker” ma il pugliese ha rispedito al mittente la definizione: “No, non mi piace. Mourinho si definì lo Special One? Io non sono molto bravo a trovare dei nomi diversi per me. E’ meglio che lo facciate voi giornalisti durante la stagione, sperando che sia un nomignolo positivo”.
L’itinerario tecnico-tattico di Conte ha registrato una duttilità impensabile dopo l’integralismo manifestato nel 4-2-4 messo in campo con il Bari. Sia con la Juve che in Nazionale il bell’Antonio ha adattato gli schemi agli uomini, chiedendo però una intensità agonistica e una devozione assoluta negli allenamenti e nell’assimilazione delle formule offensive e difensive: “Quando ero in Italia mi piaceva dire che l’allenatore è come un sarto che deve cucire il miglior vestito per la squadra e rispettare le caratteristiche e il talento dei giocatori. In passato ho cominciato stagioni con un’idea di calcio e poi l’ho cambiata”. Insomma la costruzione di un Chelsea esplosivo sarà soprattutto un percorso di rafforzamento identitario: “Voglio trasferire le mie idee e miei metodi ai calciatori. Lavorerò anche sulla mentalità, in modo da diventare forti e superare le difficoltà durante le partite”.
Come è nato il marchio calcistico “Conte”? Nel saggio “Tutti gli uomini che hanno fatto grande la Juventus F.C.” (pp. 250, euro 14,90, Ultrasport) di Nicola Calzaretta è tracciato un sintetico profilo da calciatore: “Con la Juventus, in tredici stagioni, ha vinto quindici trofei. In Italia, in Europa, nel mondo. Molti da capitano”. A Torino nel 1991 era arrivato come un panchinaro, un mediano per la panchina. Grazie all’impegno e al sacrificio ha colmato le sue lacune e raffinato il suo bagaglio tecnico, acquisendo le qualità per impostare la manovra, inserirsi nelle azioni offensive e garantire una implacabile interdizione. E’ stato definito l’erede di Furino o Bonini. Il suo palmarès bianconero? D’eccezione: 5 scudetti; 1 Coppa Italia, 4 Supercoppe italiane, 1 Coppa Uefa, 1 Champions League, 1 Coppa Intercontinentale, 1 Supercoppa europea e una Coppa Intertoto. Da allenatore ha iniziato come sempre in salita (ad Arezzo), è esploso a Bari (incredibile promozione), ha fatto bene a Siena e si è affermato nella Juve a cui ha restituito il vecchio blasone, grazie a tre scudetti di fila. Ora sogna di dominare la Premier. In linea con una scelta di campo lineare per chi ha battezzato la figlia con il nome “Vittoria” e ha sul display dello smartphone un motto da che recita ogni giorno: “Vincere è l’unica cosa che conta”.